Sebirblu, 24 febbraio 2015
Gentili Lettori, sebbene questo articolo risalga a diversi anni fa, al tempo in cui George W. Bush era presidente degli Stati Uniti d'America, ho deciso di pubblicarlo perché è arrivato il momento ormai in cui la gente deve essere assolutamente informata su cosa si nasconde dietro l'enorme commercio dei farmaci e quel che è peggio all'insaputa di tutti noi!
Il business alla base della ricerca
scientifica
e dell'eccessivo consumo di farmaci.
Un articolo di Steve Connor pubblicato
sull'inglese "The Indipendent" (1) è subito circolato tra
gli addetti ai lavori e gli interessati e ci ha informato di qualcosa
che, chi si occupa di medicina naturale, o anche più semplicemente
chi è un po' più attento alla propria salute, sapeva già da tempo
e cioè che quasi tutti i farmaci sono inefficaci in più della metà
dei pazienti. Quando addirittura non sono nocivi.
L'affermazione non è dell'uomo della
strada di turno intervistato all'uopo, ma è di un amministratore
capo della più grande compagnia farmaceutica inglese (è una tra le
più grandi del mondo), la Glaxo Smith Kline.
I dati forniti in questo articolo sono
veramente disarmanti, tanto più se consideriamo le autorevoli e
interessate fonti di provenienza per cui qualche maligno potrebbe
pure supporre che se le cifre rese pubbliche sono queste, quelle
reali potrebbero essere anche peggio.
Ma partiamo dal presupposto che abbia
trionfato la buona fede e la trasparenza e vediamo questi dati.
La frequenza di risposta, ossia la
percentuale di efficacia di alcune categorie di farmaci per le
principali patologie attuali è quella che segue:
Tabella della Frequenza di Risposta ai Farmaci
Settore Terapeutico e percentuali di
efficacia del farmaco
– Alzheimer: 30 % di efficacia
– Analgesici (Cox-2): 80 % di
efficacia
– Asma: 60 % di efficacia
– Aritmie cardiache: 60 % di
efficacia
– Depressione (SS RI): 62 % di
efficacia
– Diabete: 57 % di efficacia
– Epatite C (HCV): 47 % di efficacia
– Incontinenza: 40 % di efficacia
– Emicrania (acuta): 52 % di
efficacia
– Emicrania (profilassi): 50 % di
efficacia
– Oncologia: 25 % di efficacia
– Artrite reumatoide: 50 % di
efficacia
– Schizofrenia: 60 % di efficacia
Ma l'affermazione più drammatica e
riassuntiva la fa Allen Roses, vicepresidente della linea genetica
della Glaxo, quando afferma che "la stragrande maggioranza dei
farmaci – più del 90% – funziona solo nel 30-50% degli
individui".
Consiglierei di rileggere con molta
lentezza l’affermazione qui esposta e di fare una pausa riflessiva.
Credo che per qualsiasi umano di senno sia una pausa veramente
devastante…
Le domande che ci si accavallano in
testa sono tante. L'indignazione sale? Vaghi desideri del tipo "Rambo
2, la vendetta" si affacciano alla mente? Sicuri? O forse siamo
talmente abituati all'umiliazione quotidiana delle nostre coscienze
e dei nostri intelletti da digerire ormai qualsiasi cosa?
Il presente articolo avrebbe la
presunzione di scuotere l'animo (sempre ammesso che mi sia permesso e
che sia rimasto qualcosa da scrollare, visto che ormai, si può dire,
ci hanno shakerato tutti i visceri, niente escluso) e illuminare la
mente sui meccanismi reconditi di Big Pharma, il cartello
farmaceutico internazionale, così come viene chiamato nei paesi
anglosassoni, mostro a più teste da cui tutti dipendiamo e in cui
tutti riponiamo speranze e illusioni, specialmente nei momenti
peggiori della nostra esistenza e di quella dei nostri cari.
Direi che la base di partenza per le nostre riflessioni sia analizzare come questi farmaci vengono ideati e prodotti per poi dare risultati così scadenti.
Più che dare qualche altra cifra o
nome di farmaco inquisito o additato per la sua nocività o
inefficacia (Lipobay, Bactrim, AZT, Tamoxifene, ecc.) mi preme qui
andare alla radice del problema, ossia analizzare il processo di come
si arriva alla produzione e commercializzazione di un farmaco. Lì
c'è tutto.
Capito il funzionamento, capito tutto.
Per adesso e per sempre (se non cambia qualcosa). Va rimossa cioè,
la diffusa convinzione di fondo secondo cui le case farmaceutiche con
l'aiuto delle ricerche di scienziati di provato ingegno e bontà
d’animo lavorino per il benessere dell'Umanità alla ricerca di
farmaci che ne allevino la sofferenza.
Questo poteva essere vero sino agli
anni Cinquanta o forse Sessanta del secolo scorso. Sui meccanismi e
le finalità odierne delle fabbriche di medicinali sarei più
dubbioso. Certo non si può generalizzare ma vediamo come
in linea di massima si articola il processo di fabbricazione di un principio
attivo curativo.
Allora, forse non tutti sanno che ogni
farmaco deve superare varie fasi di studio e di sperimentazione per
poter poi entrare nel mercato ed essere venduto e somministrato ai
malati.
Una molecola munita di un'attività
terapeutica degna d'attenzione, generalmente riesce a diventare farmaco
in un tempo medio di 15 anni.
Negli ultimi anni, però, le
multinazionali del farmaco riescono ad aggirare il problema delle fasi
di studio e di controllo troppo rigide ricorrendo al reclutamento
convulso di cavie umane volontarie (pagate) in paesi del Terzo Mondo,
al fine di sperimentare farmaci i cui test non sono ancora stati
approvati negli USA. E dico USA perché Stati Uniti e Gran Bretagna
sono i paesi in cui si concentrano i due terzi dei profitti
farmaceutici mondiali. (2)
Le cavie a buon mercato per i
laboratori europei (svizzeri, tedeschi ecc.) sono reclutate invece
nei paesi periferici dell'Est europeo, paesi dove, al pari di altre
zone economicamente depresse del pianeta, il rimborso ottenuto per
farsi martirizzare è molto agognato.
Negli Stati Uniti una prova clinica su un paziente costa una media di 10.000 dollari, in Russia 3.000 e nelle regioni più povere del mondo ancora meno.
Ma i test di sperimentazione su cavie
umane nei paesi poveri consentono, oltre che un risparmio economico,
anche di risparmiare sui tempi, perché le case farmaceutiche
sottostanno in questo caso alle legislazioni locali solitamente meno
restrittive. Ciò permette di arrivare prima sui mercati e cioè di
brevettare prima.
Per capire l'importanza della velocità
nel processo di realizzazione di un medicinale, si deve ricordare che
un giorno di ritardo nel lancio di un farmaco costa in media ad
un'azienda farmaceutica 2 miliardi e 600 milioni delle vecchie lire.
(3)
Il valore vero della sperimentazione
quindi non è nel conseguire il miglior prezzo per cui poi vendere il prodotto o la sua migliore efficacia (come poteva essere decenni fa,
in cui forse il business aveva ancora un'anima umanistica), ma è
l'arrivare primi per brevettare prima. (4)
Seguire un protocollo di approvazione
di un farmaco costa più o meno 300 milioni delle vecchie lire. Ma
sono 1.000 i miliardi delle stesse che si possono ottenere sfruttando
in esclusiva il farmaco arrivando per primi ai brevetti.
Sì, avete letto bene: al plurale.
Per ogni farmaco si possono infatti
ottenere più brevetti per prolungare l'agonia di speculazione: un
brevetto sul processo di fabbricazione, uno sul metodo di
somministrazione (compressa, siero, fiala ecc.), uno sulla posologia,
uno sul principio attivo ecc. ecc.
Per dirla con le parole di uno
scienziato "pentito": "I test clinici sono oggi figli
di una sola necessità: la ricerca di margini sempre maggiori di
profitto. Non crederete mica che le società facciano esperimenti per
pura ricerca scientifica"; così Benno Leutold, medico,
scienziato e ricercatore per Roche, ha lavorato pure ad Harvard e poi
nei laboratori americani dei National Health Institute. (5)
È sempre Leutold che ci informa
inoltre che: "Nessun test è in grado di stabilire con esattezza
gli effetti collaterali e quelli clinici di un medicinale nell'arco
dei 5-6 anni della sua sperimentazione. Un tempo ragionevole sono 30
anni. Solo allora si comprende l'intero spettro di azione di un
farmaco". (6)
Anche su questo ci sarebbe da meditare
parecchio.
Qui sta la radice del problema: è
ovvio cioè che la qualità di un medicinale rimane un punto
interrogativo a lungo, checché ne dicano i mass-media e le riviste
scientifiche di turno.
E dopo vent'anni di vita il brevetto svanisce e il farmaco viene spinto fuori dal mercato per il prezzo troppo basso. (7) Si ha l'interesse quindi a cicli continui di nuovi prodotti.
E dopo vent'anni di vita il brevetto svanisce e il farmaco viene spinto fuori dal mercato per il prezzo troppo basso. (7) Si ha l'interesse quindi a cicli continui di nuovi prodotti.
A questo punto mi sembra importante
rilevare che a capo dei dipartimenti delle case farmaceutiche non ci
sono più medici o scienziati, come nei decenni addietro, ma
economisti esperti. Sono loro che decidono quali farmaci devono
restare sul mercato e quali devono essere ritirati.
Non vengono prese queste decisioni
sulla base dell'efficacia di un medicinale o di una moralità legata
allo stato terribile della sofferenza umana. Si decide sulla base del
migliore investimento e resa economica. Si investe in quel farmaco
che prospetta il maggior guadagno e si progetta un piano di lancio
mass-mediatico ad hoc.
Quando infatti un farmaco ha superato
il test di fase 1, e si inizia la sperimentazione sui malati, si
lascia trapelare la notizia ai giornali di un nuovo "miracoloso"
prodotto in arrivo e le azioni in borsa della multinazionale che lo
produce cominciano a lievitare. Spero di essere stato chiaro.
La scusa che i prezzi dei medicinali
sono alti perché le industrie farmaceutiche devono ricavare grandi
profitti da un farmaco per poter finanziare la ricerca e lo sviluppo
di altre medicine ancora, è ormai palesemente scoperta: le case
farmaceutiche investono nella commercializzazione dei loro farmaci il
doppio di quanto investono in ricerca e sviluppo. (8)
E la commercializzazione è, parimenti
alla sperimentazione, davvero senza scrupoli. Le case farmaceutiche
possono, ad esempio, arrivare ad ampliare deliberatamente le
indicazioni di un medicinale semplicemente per allargare il mercato
dello stesso quando questo abbia qualche problema di smaltimento o
abbia riscontrato scarso successo.
Un farmaco autorizzato per la lotta al
cancro in Europa può allora tranquillamente diventare un medicinale
contro l'emicrania in Africa e forse ad un prezzo decisamente
superiore che non nel Vecchio continente, e venduto pure senza alcuna indicazione contraria allegata. (9)
Questo strapotere delle case
farmaceutiche sta incontrando qualche resistenza in alcuni paesi del
Terzo Mondo.
Ma l'attuale presidente degli Stati
Uniti George W. Bush ha sostenuto di voler difendere a ogni costo il
copyright dei farmaci delle multinazionali contro le decisioni
"arbitrarie" di alcuni paesi come la Thailandia e il
Brasile che hanno iniziato a prodursi farmaci salvavita a prezzi
abbordabili aggirando "illegalmente" i diritti dei brevetti
delle case farmaceutiche occidentali.
Ma questo è un percorso scontato per
il presidente USA, dato che fra i primi finanziatori della sua scorsa
campagna elettorale figurano proprio le maggiori aziende
farmaceutiche americane (e non solo): Bristol-Myers, Squibb, Pfizer,
GlaxoSmithKline, Schering Plough, che in quell'occasione gli donarono
quasi 40 miliardi delle vecchie lire.
Per concludere, vorrei dire che tutto il processo rigidamente vincolato dagli interessi economici sin qui descritto sta degenerando intenzionalmente in una corruzione estesa a tutto l'ambiente medico e scientifico, per cui non si può più a mio parere fare molto affidamento sulle affermazioni di un foglietto illustrativo di un farmaco.
Tre anni fa si parlava già in Gran
Bretagna di una cifra ufficiale compresa tra l'1 e il 5% di ricerche
scientifiche contenenti dati e risultati falsificati, investigazioni
autorizzate alla mano. (10)
Per gli Stati Uniti la stessa fonte
riportava addirittura una cifra compresa tra il 24 e il 35% tra
violazioni dei protocolli e falsificazione dei dati. (11)
Ora la situazione è certamente
peggiorata, nel senso che c'è più coscienza anche nell'ambiente
medico che il fenomeno è generalizzato e che gli articoli e gli
studi che vengono pubblicati sulle riviste, che stabiliscono lo
status di un farmaco o di una ricerca, sono quasi sempre il risultato
di un finanziamento o di un interesse diretto delle case
farmaceutiche stesse.
Ad esempio, recentemente il "New
England Journal of Medicine", la rivista medico-scientifica più
autorevole degli USA, ha dovuto pubblicamente ammettere che alcuni
dei suoi articolisti più eminenti avevano interessi economici
diretti, seppur sino ad allora occultati, in alcune case
farmaceutiche che producevano farmaci della cui ricerca si erano
occupati.
La corruzione ha poi anche altri
aspetti.
In Portogallo un funzionario della Bayer ha "soffiato" ai giornali i nomi di 2.500 medici che risultavano
sul libro paga della multinazionale affinché prescrivessero
determinati farmaci. Il signor Pequito, il nome di questo impiegato,
nonostante la protezione della polizia, è già stato pugnalato due
volte ed ha rischiato la vita.
Si capisce che a questi livelli la
qualità e l'efficacia di un farmaco sono molto al di sotto come
importanza dell'ufficio marketing dell'azienda che lo produce.
Ma il fenomeno non è soltanto americano o
portoghese. Io credo sia piuttosto generalizzato. In Gran Bretagna ad
esempio: "Un terzo del comitato britannico per la sicurezza dei
medicinali ha dichiarato di aver dei vincoli economici con società
farmaceutiche sui cui prodotti sono chiamati ad emettere un'opinione".
(12)
Meditiamo ancora con una bella pausa su
quello che ciò significa.
Quindi, per finire, se ad esempio negli Stati Uniti la seconda causa di morte (anno 2006) dopo malattie cardiache e cancro è… l'uso di farmaci ed altre cause iatrogene (infezioni ospedaliere, interventi chirurgici, errori di medicazione ecc.) direi che possiamo permetterci di non stupirci. (13)
Questo non ci esime però dall'opporci.
Note
1) Connor, Steve, "Glaxo chief:
Our drugs do not work on most patients", in The Independent, 8
dicembre 2003.
2) DaI sito
http://www.comedonchisciotte.net/ che ne ha curato la traduzione.
3) Correggia, Marinella, "Big
Pharma va alla sbarra all'Aja", in Il Manifesto, 11 gennaio
2004.
4) Ginori, Anais, “L’Apartheid
delle medicine”, in La Repubblica, 5 marzo 2001, pp. 16-17.
5) "Adesso la regola è diventata
una sola, faster", così Lembit Rago, direttore del Dipartimento
farmaci dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Vedi il reportage
pubblicato su La Repubblica del 6 maggio 2001, pp. 14-15.
6) Intervista a Benno Leutold comparsa
su La Repubblica del 6 maggio 2001, p. 15.
7) Intervista a Benno Leutold, cit.
8) Al termine del brevetto i prezzi dei
farmaci crollano del 70%.
9) John Le Carré, "La mia guerra
all'industria del farmaco", in La Repubblica, 21 febbraio 2001,
pp. 38-39.
10) John Le Carré, "La mia guerra
all'industria del farmaco", cit.
11) Un agenzia Reuters da Londra del 15
gennaio 2001, ripresa e commentata dal dott. John Mercola nel suo
visitatissimo sito http://www.mercola.com/ lbid.
12) John Le Carré, "La mia guerra
all'industria del farmaco", cit.
13) In particolare negli USA le
medicine sono la terza (anno 2000 – nel 2006 ormai é divenuta la
seconda…) causa di morte comune. Che non è poco. Cfr. Journal of
the American Medical Association, vol. 284, 26 luglio 2000.
Articolo a cura di: Valerio Pignatta
per "mednat.org"
Relatore: Sebirblu.blogspot.it
Fonte: altrogiornale.org
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