mercoledì 7 novembre 2018

"INTERRATE" o "IN CIELO" le Chiese sacre d'Etiopia


Un prete in piedi sulla stretta cengia di fronte alla chiesa di Daniel Korkor

Sebirblu, 6 novembre 2018

Fu un etiope ‒ stando agli Atti 8, 27 ‒ il primo pagano convertito al cristianesimo ad essere battezzato dall'apostolo Filippo lungo la strada tra Gerusalemme e Gaza.

Tuttavia,  la storia di questa  nazione  risale a molto  tempo  prima,  non solo all'epoca di re Salomone e della regina di Saba, visto che la Bibbia ne parla sia in 1 Re 10, 1-10 che in 2 Cronache 9, 1-12 e il Kebra Negast (il testo sacro etiopico) ne sviluppa in modo approfondito la vicenda legata all'Arca dell'Alleanza*, ma anche in ambito paleontologico che risale, dai ritrovamenti, a circa tre milioni d'anni fa.

* (Già quattr'anni fa ho parlato della mitica Arca, ved. QUI, in occasione di un evento drammatico, che però nel tempo è stato ridimensionato da più voci, per l'inaffidabilità del sito di provenienza e per l'impossibilità di avere riscontri dalla stampa, dovuti alla ferrea censura del Paese abissino).

Nonostante ciò, la cristianità in Etiopia ebbe inizio nella prima metà del IV secolo quando, come racconta lo scrittore Rufìno di Aquileia (345-411) nella sua Historia ecclesiastica, fu convertito il regno di Aksum.

Da allora, per 17 secoli il cristianesimo ha forgiato la storia di questa nazione ed è penetrato così profondamente nelle istituzioni familiari, sociali e politiche del paese, che gli etiopici hanno resistito a pressioni e persecuzioni esterne ed interne fino a quella scatenata per 17 anni (1974-1991) dalla dittatura marxista.

La Chiesa ortodossa etiope, come quella egiziana o copta alla quale è rimasta legata fino al 1959 diventando poi indipendente con un proprio Patriarca, ha accettato i primi tre Concili ‒ di Nicea, Costantinopoli ed Efeso ‒ ma non quello di Calcedonia del 451,  che fissò la dottrina delle due nature di Cristo,  la divina e l'umana.


Etiopia - Timkat - Sacerdote con Croce copta.

Gli etiopici, quindi, credono ad una sola Natura Divina del Cristo (miafisismo) che si discosta grandemente dal concetto cattolico di "vero Dio e vero Uomo", ma che si avvicina moltissimo alla Realtà ultrafànica trasmessaci dalle Purissime Intelligenze in questi ultimi anni. (cfr. QUI, QUI e QUI).

Verso la fine del VI secolo Aksum entrò in declino, e l'Etiopia fu presto accerchiata dall'espansione islamica. Per questo motivo, cominciarono ad essere scavate nella roccia, in luoghi inaccessibili come quelli delle alte montagne del Gheralta, o nel sottosuolo come a Lalibelà, moltissime chiese per isolarsi e proteggersi dall'avanzata musulmana.

Il territorio, infatti, è contraddistinto da altopiani che si estendono oltre i duemila metri di altezza dove il clima è piacevole anche nel periodo estivo che inizia il 12 Settembre e termina a Marzo.

Un ottimo esempio di spiritualità "altissima" è l'Abuna Yemata Guh del Tigray, nell'Etiopia settentrionale. Questa chiesa del V secolo è arroccata a 111 metri di altezza (oltre il livello dell'altopiano), sulla facciata di una guglia verticale di roccia.

Per raggiungerla, bisogna arrampicarsi senza corde o imbracature, avanzando pian piano lungo strette sporgenze e attraversando un ponte improvvisato, traballante.

Eccone il video, più che convincente.




Un prete guarda dall'unica finestra della chiesa di Abuna Yemata. L'immagine è tratta dal libro "Etiopia: Le chiese viventi di un antico regno".




I missionari hanno svolto un ruolo chiave nell'espansione iniziale  del cristianesimo in Etiopia. I monaci hanno tradotto l'antica Bibbia ed altri testi religiosi dal greco, permettendo alle popolazioni di conoscere il Vangelo e la storia sacra riguardante il Cristo e gli Apostoli.

Qui sotto, un monaco tiene aperta un'antica Bibbia di pelle di capra dipinta con vivide illustrazioni disegnate a mano e relativa accurata calligrafia.




Inoltre, gli stessi missionari sono stati gli artefici delle decorazioni interne di queste chiese che sebbene situate in luoghi impervi sono affrescate mirabilmente.

Ecco un altro monastero del VI secolo, il Debre Damo, situato su una montagna dalla cima piatta chiamata in amarico "amba", a poca distanza dalla città di Aksum, dove l'unica via di accesso (per soli uomini) è una scogliera a picco di quindici metri.




Fu fondato da Abba Aragawi, uno dei "Nove Santi" che arrivarono dalla Siria e da Costantinopoli per evangelizzare l'Etiopia; conserva una ricca collezione di antichi manoscritti.


Il Monastero di Debre Damo circondato da orti, alberi da frutto e giardini

Ed  ora  passiamo alle chiese  della  regione Amhara  scavate nella roccia rossa tufacea e divenute patrimonio dell'UNESCO nel 1978.

Dopo che il primo europeo, il sacerdote Francisco Alvarez, scoprì la città santa di Lalibelà tra il 1521 e il 1525 descrivendone le incredibili chiese rupestri (undici per l'esattezza), i visitatori non hanno più smesso di esaltarne la bellezza.

Chi si avvicina a questo sito magico non vede nulla fino a quando letteralmente non poggia i piedi sugli antichi monumenti. Sembra che "fioriscano" d'incanto dalla pietra in tufo rosso a cui restano uniti alla base oppure ad uno o più lati, ma sempre sotto il livello del suolo.

L'antica leggenda di questo luogo sacro

La costruzione di tali chiese monolitiche è attribuita al re "Lalibelà" che si propose di edificare nel 12° secolo una "Nuova Gerusalemme", dopo che le conquiste musulmane fermarono i pellegrinaggi cristiani in Terra Santa.

Il mito narra che egli sarebbe cresciuto a Roha, dove suo fratello era re. Pare che sin dalla sua tenera età uno sciame di api lo avesse cinto senza pungerlo, profetizzando così la sua grandezza futura, l'impegno per il progresso sociale e le vaste ricchezze a venire. (Da qui, il nomignolo "Lalibelà" che significa "le api lo riconoscono sovrano").

La sorellastra, fattasi gelosa per i vaticini sul fratello, tentò di avvelenarlo, ma il veleno gli causò semplicemente una morte apparente che lo gettò nel sonno per tre giorni. Durante questo tempo un angelo lo avrebbe accompagnato spiritualmente in Cielo dove gli sarebbero state mostrate le chiese che avrebbe dovuto costruire.

Risvegliatosi, si ritirò nel deserto dove, di nuovo in spirito, fu condotto questa volta a Gerusalemme.

Il Cristo stesso avrebbe ordinato al re di abdicare in favore di "Lalibelà". Questi, una volta eletto col suo vero nome, Ghebrè Meskal (Servo della Croce), avrebbe condotto una vita più severa di prima e avviato l'edificazione delle chiese.

Sembra che di notte, mentre gli intagliatori di pietre erano intenti a dormire, gli angeli continuassero il loro lavoro, tanto che in ventiquattr'anni l'opera monumentale venne ultimata. Il re "Lalibelà" è oggi considerato santo dalla Chiesa ortodossa etiope. Dopo quarant'anni di regno si ritirò dandosi all'eremitaggio.

Le chiese monolitiche, situate sull'altopiano del Semien a 2500 metri sul quale svettano montagne maestose come il Ras Dashan di 4549 metri, sono divise fra loro (5 da una parte e 6 dall'altra) da un fiume artificiale scavato nella roccia chiamato "Giordano", proprio come quello che attraversa Gerusalemme. Ecco un interessante video su Lalibelà:




Tutto in questa città santa ricorda la Terra in cui ha vissuto Gesù: c'è la chiesa che celebra la Resurrezione di Cristo, Bete* Medhane Alem, dove viene conservato il gran Meskal, la croce ritenuta miracolosa che riluce in tutta la sua bellezza. La casa di Maria (Bete Maryam), la tomba di Adamo, il Monte degli Olivi e perfino il Golgota.

* (Bete: termine che deriva da Beit El, ossia Casa di Dio).

Poi  c'è  Bete Gyiorgis  (dedicata a San Giorgio)  la  più  bella:  un  tempio  con  pianta a croce greca, in perfetta solitudine. Attorno alla chiesa, che sprofonda per quasi tredici metri nella roccia, si apre un oscuro labirinto di cunicoli, tunnel e grotte che collegano fra loro le sacre strutture.

I  passaggi sotterranei  sono completamente  bui  dove  non è permessa  alcuna forma di  illuminazione;  bisogna  appoggiare  la  mano  al  muro  e  procedere  fino  a  che la luce,  prima fievole e poi  sempre  più  accesa e vibrante, non abbacina... così si esce allo scoperto per trovarsi in un altro posto, in un tempio tutto nuovo del medesimo complesso.

Questi corridoi, oltre che per spostarsi, hanno una funzione e un significato nascosto: rappresentano il percorso dall'inferno al paradiso, la strada che il fedele deve compiere per purificarsi e passare dall'Oscurità alla Luce della Conoscenza e della Salvezza spirituale.



Foto di Luisa Puccini

La grande ricorrenza di Lalibelà è il 19/1, in cui la chiesa etiope celebra il "Timkat", l'epifania che commemora il battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Migliaia di fedeli vestiti di bianco prendono parte alla festa e partecipano al battesimo collettivo, tra i monumenti rossastri e i canti liturgici di tutto il clero riunito.

Dai  Sancta Sanctorum  di ogni  chiesa  escono  in  processione le "Talbot", copie delle Tavole Sacre dei Dieci Comandamenti, i cui originali sarebbero conservati nell'Arca dell'Alleanza ad Axum (sempre che sia ancora là e non sia stata trafugata come da link apposto sulla nota sopra contrassegnata da asterisco).

Una processione accompagna allora il viaggio rituale delle "Talbot", protette da tessuti damascati per sottrarle alla dissacrazione degli sguardi profani e portate sulla testa dai monaci copti che, sotto preziosi e variopinti ombrelli destinati a convogliare le energie celesti su loro e sui presenti, avanzano tra canti e balli ritmati da tamburi, corni e sistri.




Raggiunta l'acqua (nel caso di Lalibelà si tratta di una grande vasca a forma di croce) tra profumi d'incensi e litanie, essa viene benedetta, mentre i fedeli si preparano ad una veglia di preghiera che dura tutta la notte.



Foto di Giovanna Corti - Timkat - Benedizione dell'acqua.

I pellegrini si accampano sotto le tende o in maggior parte sotto il cielo stellato. 



Foto di Giovanna Corti - Timkat - Veglia notturna a Lalibelà.

All'alba, avviene l'aspersione rituale pubblica con l'acqua santa che "spartanamente" viene spruzzata sull'immensa folla con canne o addirittura con secchi. L'indomani, festa di San Michele Arcangelo,  le "Talbot" tornano alle singole dimore nella roccia.



Foto di Giovanna Corti - Timkat - Aspersione dell'acqua sui pellegrini.

Chiosa finale

Per concludere, faccio mie le parole scritte da Alberto Elli in un passo dell'articolo pubblicato dall'Osservatore Romano il 26 ottobre 2017, QUI:

"La Chiesa etiopica possiede un'importante e antica tradizione liturgica, spirituale e teologica sua propria, un tesoro prezioso, inestimabile quanto poco conosciuto, che risale ai tempi più antichi della storia, da trasmettere ai cristiani del mondo intero.

Nonostante queste sue basilari caratteristiche, il cristianesimo etiopico è stato da alcuni letterati e scrittori, antichi e moderni, ridotto ad una mera meccanica osservanza di riti, credenze, pratiche e leggi fossilizzate.

Si tratta di un approccio «del tutto primitivo», ora per lo più rigettato; sempre più studiosi, infatti, esprimono il proprio convinto apprezzamento per il fenomeno religioso etiopico, sottolineandone la profonda peculiarità."

Ed è proprio questo aspetto che il più delle volte non viene percepito per l'eccessiva superficialità di valutazione attratta e distratta dalle vivaci espressioni folkloristiche, perdendo di vista nel contempo la profonda spiritualità di questo popolo che è passato indenne da secoli di insidie e condizionamenti, mantenendo viva e ardente la fiaccola della vera fede in Cristo, Redentore del mondo.
Foto di Giovanna Corti

Post Scriptum

Avendo spigolato per i diversi spunti qua e là, consiglio questi siti per gli interessanti contenuti ma anche e soprattutto per le immagini meravigliose:

http://www.etiopiamagica.it/index.htm
http://www.ilcornodafrica.it/
https://venets.wordpress.com/2017/12/23/in-etiopia-le-chiese-nel-cielo/
https://www.viaggionelmondo.net/33139-chiese-tigrai/
http://www.giovannacorti.com/portfolio-items/timkat-a-lalibela/


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