Un prete in piedi sulla stretta cengia di fronte alla chiesa di Daniel Korkor |
Sebirblu, 6 novembre 2018
Fu un etiope ‒ stando agli Atti 8, 27
‒ il primo pagano convertito al cristianesimo ad essere battezzato
dall'apostolo Filippo lungo la strada tra Gerusalemme e Gaza.
Tuttavia, la storia di questa nazione risale a molto tempo prima, non solo all'epoca di re Salomone e della
regina di Saba, visto che la Bibbia ne parla sia in 1 Re 10, 1-10 che
in 2 Cronache 9, 1-12 e il Kebra Negast (il testo sacro etiopico) ne
sviluppa in modo approfondito la vicenda legata all'Arca
dell'Alleanza*, ma anche in ambito paleontologico che risale, dai
ritrovamenti, a circa tre milioni d'anni fa.
* (Già quattr'anni fa ho parlato della
mitica Arca, ved. QUI, in occasione di un evento drammatico, che però
nel tempo è stato ridimensionato da più voci, per l'inaffidabilità del sito di provenienza e per l'impossibilità di avere
riscontri dalla stampa, dovuti alla ferrea censura del Paese
abissino).
Nonostante ciò, la cristianità in
Etiopia ebbe inizio nella prima metà del IV secolo quando, come
racconta lo scrittore Rufìno di Aquileia (345-411) nella sua
Historia ecclesiastica, fu convertito il regno di Aksum.
Da allora, per 17 secoli il
cristianesimo ha forgiato la storia di questa nazione ed è penetrato
così profondamente nelle istituzioni familiari, sociali e politiche
del paese, che gli etiopici hanno resistito a pressioni e persecuzioni
esterne ed interne fino a quella scatenata per 17 anni (1974-1991)
dalla dittatura marxista.
La Chiesa ortodossa etiope, come
quella egiziana o copta alla quale è rimasta legata fino al 1959
diventando poi indipendente con un proprio Patriarca, ha accettato
i primi tre Concili ‒ di Nicea, Costantinopoli ed Efeso ‒ ma non
quello di Calcedonia del 451, che fissò la dottrina delle due nature
di Cristo, la divina e l'umana.
Etiopia - Timkat - Sacerdote con Croce copta. |
Gli etiopici, quindi, credono ad una
sola Natura Divina del Cristo (miafisismo) che si
discosta grandemente dal concetto cattolico di "vero Dio e vero
Uomo", ma che si avvicina moltissimo alla Realtà ultrafànica
trasmessaci dalle Purissime Intelligenze in questi ultimi anni. (cfr.
QUI, QUI e QUI).
Verso la fine del VI secolo Aksum entrò
in declino, e l'Etiopia fu presto accerchiata dall'espansione
islamica. Per questo motivo, cominciarono ad essere scavate nella
roccia, in luoghi inaccessibili come quelli delle alte montagne del
Gheralta, o nel sottosuolo come a Lalibelà, moltissime chiese per
isolarsi e proteggersi dall'avanzata musulmana.
Il territorio, infatti, è
contraddistinto da altopiani che si estendono oltre i duemila metri
di altezza dove il clima è piacevole anche nel periodo estivo che
inizia il 12 Settembre e termina a Marzo.
Un ottimo esempio di spiritualità "altissima" è l'Abuna Yemata Guh del Tigray, nell'Etiopia settentrionale.
Questa chiesa del V secolo è arroccata a 111 metri di altezza (oltre il livello dell'altopiano), sulla facciata di una guglia verticale di roccia.
Per raggiungerla, bisogna arrampicarsi senza corde o imbracature, avanzando pian piano lungo strette sporgenze e attraversando un ponte improvvisato, traballante.
Eccone il video, più che convincente.
Per raggiungerla, bisogna arrampicarsi senza corde o imbracature, avanzando pian piano lungo strette sporgenze e attraversando un ponte improvvisato, traballante.
Eccone il video, più che convincente.
Un prete guarda dall'unica finestra
della chiesa di Abuna Yemata. L'immagine è tratta dal libro
"Etiopia: Le chiese viventi di un antico regno".
I missionari hanno svolto un ruolo chiave nell'espansione iniziale del cristianesimo in Etiopia. I monaci
hanno tradotto l'antica Bibbia ed altri testi religiosi dal greco,
permettendo alle popolazioni di conoscere il Vangelo e la storia
sacra riguardante il Cristo e gli Apostoli.
Qui sotto, un monaco tiene aperta un'antica Bibbia di pelle di capra dipinta con vivide illustrazioni disegnate a mano e relativa accurata calligrafia.
Qui sotto, un monaco tiene aperta un'antica Bibbia di pelle di capra dipinta con vivide illustrazioni disegnate a mano e relativa accurata calligrafia.
Inoltre, gli stessi missionari sono
stati gli artefici delle decorazioni interne di queste chiese che
sebbene situate in luoghi impervi sono affrescate mirabilmente.
Ecco un altro monastero del VI secolo,
il Debre Damo, situato su una montagna dalla cima piatta chiamata in
amarico "amba", a poca distanza dalla città di Aksum, dove
l'unica via di accesso (per soli uomini) è una scogliera a picco di
quindici metri.
Fu fondato da Abba Aragawi, uno dei
"Nove Santi" che arrivarono dalla Siria e da Costantinopoli
per evangelizzare l'Etiopia; conserva una ricca collezione di
antichi manoscritti.
Il Monastero di Debre Damo circondato da orti, alberi da frutto e giardini |
Ed ora passiamo alle chiese della regione Amhara scavate nella roccia rossa tufacea e divenute patrimonio
dell'UNESCO nel 1978.
Dopo che il primo europeo, il sacerdote
Francisco Alvarez, scoprì la città santa di Lalibelà tra il 1521 e
il 1525 descrivendone le incredibili chiese rupestri (undici per
l'esattezza), i visitatori non hanno più smesso di esaltarne la
bellezza.
Chi si avvicina a questo sito magico
non vede nulla fino a quando letteralmente non poggia i piedi sugli
antichi monumenti. Sembra che "fioriscano" d'incanto dalla
pietra in tufo rosso a cui restano uniti alla base oppure ad uno o
più lati, ma sempre sotto il livello del suolo.
L'antica leggenda di questo luogo sacro
La costruzione di tali chiese
monolitiche è attribuita al re "Lalibelà" che si propose
di edificare nel 12° secolo una "Nuova Gerusalemme", dopo
che le conquiste musulmane fermarono i pellegrinaggi cristiani in
Terra Santa.
Il mito narra che egli sarebbe
cresciuto a Roha, dove suo fratello era re. Pare che sin dalla sua
tenera età uno sciame di api lo avesse cinto senza pungerlo,
profetizzando così la sua grandezza futura, l'impegno per il
progresso sociale e le vaste ricchezze a venire. (Da qui, il nomignolo "Lalibelà" che significa "le api lo
riconoscono sovrano").
La sorellastra, fattasi gelosa per i
vaticini sul fratello, tentò di avvelenarlo, ma il veleno gli causò
semplicemente una morte apparente che lo gettò nel sonno per tre
giorni. Durante questo tempo un angelo lo avrebbe accompagnato
spiritualmente in Cielo dove gli sarebbero state mostrate le chiese
che avrebbe dovuto costruire.
Risvegliatosi, si ritirò nel deserto
dove, di nuovo in spirito, fu condotto questa volta a Gerusalemme.
Il Cristo stesso avrebbe ordinato al re
di abdicare in favore di "Lalibelà". Questi, una volta
eletto col suo vero nome, Ghebrè Meskal (Servo della Croce), avrebbe
condotto una vita più severa di prima e avviato l'edificazione delle
chiese.
Sembra che di notte, mentre gli
intagliatori di pietre erano intenti a dormire, gli angeli
continuassero il loro lavoro, tanto che in ventiquattr'anni l'opera
monumentale venne ultimata. Il re "Lalibelà" è oggi
considerato santo dalla Chiesa ortodossa etiope. Dopo quarant'anni di
regno si ritirò dandosi all'eremitaggio.
Le chiese monolitiche, situate
sull'altopiano del Semien a 2500 metri sul quale svettano montagne
maestose come il Ras Dashan di 4549 metri, sono divise fra loro (5 da
una parte e 6 dall'altra) da un fiume artificiale scavato nella
roccia chiamato "Giordano",
proprio come quello che attraversa Gerusalemme. Ecco un interessante video su Lalibelà:
Tutto in questa città santa ricorda la Terra in cui ha vissuto Gesù: c'è la chiesa che celebra la Resurrezione di Cristo, Bete* Medhane Alem, dove viene conservato il gran Meskal, la croce ritenuta miracolosa che riluce in tutta la sua bellezza. La casa di Maria (Bete Maryam), la tomba di Adamo, il Monte degli Olivi e perfino il Golgota.
* (Bete:
termine che deriva da Beit El, ossia Casa di Dio).
Poi c'è Bete Gyiorgis (dedicata a San
Giorgio) la più bella: un tempio con pianta a croce greca, in
perfetta solitudine. Attorno alla chiesa, che sprofonda per quasi tredici metri nella roccia, si apre un oscuro labirinto di cunicoli, tunnel e
grotte che collegano fra loro le sacre strutture.
I passaggi sotterranei sono
completamente bui dove non è permessa alcuna forma di illuminazione; bisogna appoggiare la mano al muro e procedere fino a che la luce, prima fievole e poi sempre più accesa e vibrante, non abbacina...
così si esce allo scoperto per trovarsi in un altro posto, in un
tempio tutto nuovo del medesimo complesso.
Questi corridoi, oltre che per
spostarsi, hanno una funzione e un significato nascosto:
rappresentano il percorso dall'inferno al paradiso, la strada che il
fedele deve compiere per purificarsi e passare dall'Oscurità alla
Luce della Conoscenza e della Salvezza spirituale.
La grande ricorrenza di Lalibelà è il
19/1, in cui la chiesa etiope celebra il "Timkat",
l'epifania che commemora il battesimo di Gesù nel fiume Giordano.
Migliaia di fedeli vestiti di bianco prendono parte alla festa e
partecipano al battesimo collettivo, tra i monumenti rossastri e i
canti liturgici di tutto il clero riunito.
Dai Sancta Sanctorum di ogni chiesa escono in processione le "Talbot", copie delle Tavole Sacre dei Dieci Comandamenti, i cui originali sarebbero conservati nell'Arca
dell'Alleanza ad Axum (sempre che sia ancora là e non sia stata
trafugata come da link apposto sulla nota sopra contrassegnata da asterisco).
Una processione accompagna allora il
viaggio rituale delle "Talbot", protette da tessuti damascati per
sottrarle alla dissacrazione degli sguardi profani e portate sulla
testa dai monaci copti che, sotto preziosi e variopinti ombrelli
destinati a convogliare le energie celesti su loro e sui presenti,
avanzano tra canti e balli ritmati da tamburi, corni e sistri.
Raggiunta l'acqua (nel caso di Lalibelà si tratta di una grande vasca a forma di croce) tra profumi d'incensi e litanie, essa viene benedetta, mentre i fedeli si preparano ad una veglia di preghiera che dura tutta la notte.
Foto di Giovanna Corti - Timkat - Benedizione dell'acqua. |
I pellegrini si accampano sotto le tende o in
maggior parte sotto il cielo stellato.
Foto di Giovanna Corti - Timkat - Veglia notturna a Lalibelà. |
All'alba, avviene l'aspersione rituale pubblica con l'acqua santa che "spartanamente" viene spruzzata sull'immensa folla con canne o addirittura con secchi. L'indomani, festa di San Michele Arcangelo, le "Talbot" tornano alle singole dimore nella roccia.
Foto di Giovanna Corti - Timkat - Aspersione dell'acqua sui pellegrini. |
Chiosa finale
Per concludere, faccio mie le parole scritte da Alberto Elli in un passo dell'articolo pubblicato dall'Osservatore Romano il 26
ottobre 2017, QUI:
"La Chiesa etiopica possiede
un'importante e antica tradizione liturgica, spirituale e teologica
sua propria, un tesoro prezioso, inestimabile quanto poco conosciuto,
che risale ai tempi più antichi della storia, da trasmettere ai
cristiani del mondo intero.
Nonostante queste sue basilari
caratteristiche, il cristianesimo etiopico è stato da alcuni
letterati e scrittori, antichi e moderni, ridotto ad una mera
meccanica osservanza di riti, credenze, pratiche e leggi
fossilizzate.
Si tratta di un approccio «del tutto
primitivo», ora per lo più rigettato; sempre più studiosi,
infatti, esprimono il proprio convinto apprezzamento per il fenomeno
religioso etiopico, sottolineandone la profonda peculiarità."
Ed è proprio questo aspetto che il più
delle volte non viene percepito per l'eccessiva superficialità di
valutazione attratta e distratta dalle vivaci espressioni
folkloristiche, perdendo di vista nel contempo la profonda
spiritualità di questo popolo che è passato indenne da secoli di
insidie e condizionamenti, mantenendo viva e ardente la fiaccola
della vera fede in Cristo, Redentore del mondo.
Post Scriptum
Avendo spigolato per i diversi spunti qua e là, consiglio questi siti per gli interessanti contenuti ma anche e soprattutto per le immagini meravigliose:
http://www.etiopiamagica.it/index.htm
http://www.ilcornodafrica.it/
https://venets.wordpress.com/2017/12/23/in-etiopia-le-chiese-nel-cielo/
https://www.viaggionelmondo.net/33139-chiese-tigrai/
http://www.giovannacorti.com/portfolio-items/timkat-a-lalibela/
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