venerdì 29 dicembre 2023

La Guida di C. Xavier narra la sua Vita da Senatore



Chico Xavier

Sebirblu, 29 dicembre 2023

Ripresento questo post, di otto anni fa, per dare seguito ad un altro articolo, appena riproposto QUI, affinché si conosca meglio il meraviglioso ed umile autore Chico Xavier che, per mezzo della "psicografia", ha diffuso in tutto il mondo innumerevoli messaggi dall'aldilà coi suoi preziosi scritti, toccasana per molte coscienze.

Uno di questi è «Duemila anni fa...», che si può "download-are" insieme ad altri libri QUI, da cui ho tratto i due brani correnti dettati dallo Spirito Guida Emmanuel che, nell'imperdibile film Nosso Lar, appare come Publio Lentulo.

Riporto qui la testimonianza della sua antica esperienza come senatore dell'Impero Romano in Palestina al tempo di Nostro Signore. 

Egli, inviato da Roma con ampi poteri, aveva allora una piccola figlia lebbrosa che era stata guarita da Gesù di Nazareth per via della fede e delle preghiere di sua moglie Livia.

Spinto anche dalla richiesta della sua figlioletta di affidarsi al famoso "Profeta", che molti malati miracolava, si avviò riluttante ed orgoglioso per incontrarlo... e vi riuscì... ottenendo alla fine, per i meriti di Livia, il completo risanamento delle piaghe che devastavano la piccola.



Del Parson

Ecco il "magico" incontro...

[...] Dalle acque calme del lago di Genezareth gli sembrava provenissero soavissimi profumi, che si univano deliziosamente all'aroma agreste delle fronde.

Fu in quel momento, mentre il suo spirito era come sotto il comando di uno strano e lieve magnetismo, che udì i passi delicati di Qualcuno che si dirigeva verso quel luogo.

Davanti ai suoi occhi ansiosi, si distingueva una personalità inconfondibile ed unica. Si trattava di un Uomo ancora giovane, che lasciava trasparire dagli occhi, profondamente misericordiosi, una bellezza soave e indefinibile.

Lunghi e morbidi capelli gli incorniciavano il volto compassionevole, come se fossero fili castani, lievemente dorati da una luce sconosciuta.

Con un sorriso divino, che rivelava immensa bontà e allo stesso tempo straordinaria energia, Egli irradiava dalla Sua melanconica e maestosa figura un fascino irresistibile.

Publio Lentulo, non ebbe difficoltà a riconoscere quella Creatura impressionante, ma nel suo cuore si agitavano ondate di sentimenti che fino a quel momento gli erano del tutto ignoti.

Nemmeno la sua presentazione a Tiberio, nella magnificenza di Capri, gli aveva provocato una simile commozione al cuore.

Lacrime cocenti gli scesero dagli occhi, che rare volte avevano pianto, e una forza misteriosa e invincibile lo fece inginocchiare sull'erba inondata dal chiaro di luna. Avrebbe desiderato parlare, ma aveva il petto soffocato ed oppresso.

Fu allora che, in un gesto di dolce e sovrana bontà, il semplice Nazareno camminò verso di lui, quale visione concretizzata di uno degli dei di sue antiche credenze e, appoggiando affettuosamente la destra sulla sua fronte, esclamò in un linguaggio carismatico, che Publio intese perfettamente, come se stesse ascoltando la sua lingua patria, dandogli l'indimenticabile impressione che la parola era da spirito a spirito, da cuore a cuore:




"Senatore, perché Mi stai cercando?" ed estendendo lo sguardo profondo sul paesaggio, come se desiderasse che la Sua Voce fosse ascoltata da tutti gli uomini del pianeta, concluse con serena nobiltà:

"Sarebbe stato meglio che Mi avessi cercato pubblicamente e nell'ora più chiara del giorno, perché tu potessi acquisire, in una sola volta e per tutta la vita, la lezione sublime della fede e dell'umiltà... Ma Io non sono venuto al mondo per violare le leggi supreme della natura e vengo incontro al tuo cuore triste!"

Publio Lentulo non riuscì ad esprimere nulla, oltre alle sue copiose lacrime, pensando amaramente alla figlia; ma il Profeta, come se non considerasse le sue parole appena pronunziate, continuò:

"Sì... non vengo a cercare l'uomo di Stato, superficiale e orgoglioso, che solo i secoli di sofferenza possono guidare verso le braccia di mio Padre; vengo per attendere alle suppliche di un cuore infelice e oppresso.

Ma anche così, amico mio, non è il tuo sentimento che salva la figlia lebbrosa e senza speranza per la scienza del mondo, poiché tu hai ancora una razionalità egoistica e umana, bensì è la fede e l'amore di tua moglie, poiché la Fede è divina... Basta un raggio solo delle sue energie poderose perché si polverizzino tutti i monumenti delle vanità della Terra..."

Commosso e rapito, il senatore pensò intimamente che il suo spirito si stesse librando in un'atmosfera da sogno, tali e tante erano le commozioni sconosciute e impreviste che gli si accumulavano nel cuore, e volendo egli credere che i suoi sensi reali si trovassero immersi in un gioco incomprensibile e di completa illusione.

"No amico mio, tu non stai sognando..." esclamò dolce ed energico il Maestro, percependo i suoi pensieri. "Dopo lunghi anni di deviamento dal buon cammino, attraverso un sentiero di errori clamorosi, tu incontri oggi un punto di riferimento per la rigenerazione di tutta la tua vita.

Dipende però dalla tua volontà approfittarne ora, o da qui ad alcuni millenni... Se lo sviluppo della vita umana è subordinato alle circostanze, tu sei costretto a considerare che ne esistono di tutti i tipi, poiché spetta alle creature l'obbligo di esercitare il potere della volontà e del sentimento, cercando di avvicinare i destini delle correnti del Bene e dell'Amore ai loro simili.

Suona per il tuo Spirito in questo istante un momento glorioso, se riesci ad utilizzare la tua libertà perché diventi nel tuo cuore, da questo momento, un cantico d'amore, di umiltà e di fede, nell'ora indeterminabile della redenzione, dentro l'eternità...

Ma nessun essere potrà agire contro la tua coscienza, se tu vuoi illimitatamente disprezzare questo minuto prezioso!

Pastore delle anime umane, fin dalla formazione di questo pianeta, da molte migliaia d'anni vengo per riunire le pecore smarrite, per tentare di portare nei loro cuori le gioie eterne del Regno di Dio e della Sua Giustizia!..."



Simon Dewey

Publio fissò quell'Uomo straordinario, la cui franchezza provocava ammirazione e timore.

Umiltà? Quali credenziali gli presentava il Profeta per parlargli così? A lui, senatore dell'Impero, investito di tutti i poteri davanti ad un vassallo?

In un attimo ricordò la Città dei Cesari, ricoperta di trionfi e glorie, i cui monumenti e potenzialità egli credeva in quel momento immortali.

"Tutti i poteri del tuo Impero sono ben fragili e tutte le sue ricchezze ben miserabili... Le magnificenze dei Cesari sono illusioni effimere di un giorno, perché tutti i savi, come pure tutti i guerrieri, sono chiamati al momento opportuno davanti ai tribunali della Giustizia del Padre Mio che sta in Cielo.

Un giorno cesseranno di esistere le sue poderose aquile sotto un pugno di miserabilissime ceneri. Le sue scienze si trasformeranno al soffio degli sforzi di altri operai più degni del progresso, le sue leggi inique saranno inghiottite dall'abisso tenebroso di questi secoli di empietà.

Poiché solo una Legge esiste e sopravvivrà alle rovine dell'inquietudine dell'uomo: la Legge dell'Amore istituita dal Padre Mio fin dal Principio della Creazione...

Ora, torna a casa, consapevole della responsabilità del tuo destino... Se la fede ha portato nella tua magione ciò che ritieni sia la gioia per la guarigione di tua figlia, non dimenticarti che questo rappresenta un aumento di doveri per il tuo cuore, davanti al Padre Nostro Onnipotente!..."

Il senatore avrebbe voluto parlare, ma la voce gli si ruppe in gola per la commozione e per i profondi sentimenti. Desiderò ritirarsi. Però, in quel momento, notò che il Profeta di Nazareth si trasfigurava, gli occhi rivolti al Cielo...

Quel luogo doveva essere un santuario delle Sue meditazioni e delle Sue preghiere, nel cuore profumato della Natura, perché Publio intuì che Egli pregava intensamente, osservando che lacrime copiose gli bagnavano il viso illuminato da una tenue luce che evidenziava la Sua bellezza serena e la Sua indefinibile melanconia...

Tuttavia, in quel momento, un soave torpore paralizzò le facoltà di osservazione del patrizio, che si acquietò impaurito. [...]




L'estratto che segue, invece, narra la partecipazione in incognito di Livia, travestita da semplice donna del popolo, ad uno dei raduni più celebri descritti nel Vangelo: il Monte delle Beatitudini e la Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci, onde ringraziare di persona, il "Grande Taumaturgo"...

[...] Il crepuscolo di un giorno caldo e sereno dava un riflesso di luce dorata a tutte le cose e a tutti i dolci profili del paesaggio.

Le placide acque del lago di Tiberiade si increspavano al soffio lieve degli zefiri delle ultime ore del pomeriggio, che erano impregnate del profumo dei fiori e degli alberi.

Le brezze fresche vincevano il caldo, spandendo gradevoli sensazioni di vita libera, nel grembo rigoglioso della natura.

Finalmente, tutti gli occhi si volsero verso un punto scuro che appariva sullo specchio trasparente delle acque, molto lontano, all'orizzonte.

Era la barca di Simone, che traghettava il Maestro per i suoi discorsi abituali. Un sorriso di ansietà e di speranza illuminò, allora, tutti quei volti che lo aspettavano nello sconforto delle loro sofferenze.

Livia osservò quella folla che, a sua volta, aveva notato la sua presenza estranea. Semplici operai, umili pescatori, molte madri nei cui visi sofferenti si potevano leggere le storie amare dei patimenti più incredibili, creature del popolo, anonime e doloranti, mogli adultere, pubblicani gaudenti, infermi disperati e numerosi bambini che portavano in sé i segni del più penoso abbandono.

Ella si manteneva a fianco del vecchio Simeone, la cui espressione di forza e dolcezza ispirava il più profondo rispetto a coloro che gli si avvicinavano; e quanti scorgevano il delicato profilo romano della donna, infilata nel semplice abito galileo, pensavano d'intravedere nella sua figura una qualche giovane di Samaria della Giudea, che fosse comunque venuta da lontano, attratta dalla fama del Messia.

La barca di Simone si era accostata dolcemente alla riva, permettendo che il Maestro si dirigesse verso il luogo solito per i suoi discorsi divini.



Del Parson

Il Suo volto appariva trasfigurato da una splendente bellezza. I capelli, come sempre, gli ricadevano sulle spalle, secondo il costume dei nazareni, agitandosi lievemente al bacio carezzevole dei soavi venti della sera.

La moglie del senatore non poté più distogliere gli occhi abbagliati da quella figura semplice e meravigliosa.

Il Maestro aveva dato inizio ad un discorso di inconfondibile bellezza; le sue parole sembravano toccare gli spiriti più insensibili, e pareva che i suoi insegnamenti echeggiassero nelle valli di tutta la Galilea, risuonando per il mondo intero, previamente curati per diffondersi ovunque, per l'eternità.

"Beati gli umili di spirito, perché loro sarà il Regno del Padre Mio che sta nei Cieli...

Beati i pacifici, perché erediteranno la Terra!...

Beati coloro che soffrono e piangono, perché saranno consolati con le gioie eterne del Regno di Dio!..."

E la Sua parola energica e soave disse della Misericordia del Padre, dei beni terreni e celesti, del valore delle inquietudini e angosce umane, aggiungendo che era venuto al mondo non per i più ricchi e i più felici, ma per consolare i più poveri e i diseredati dalla sorte.

La folla eterogenea Lo ascoltava estasiata nei suoi entusiasmi di speranza e gioia spirituale.

Una luce serena e carezzevole sembrava scendere dal monte Hebron, illuminando il paesaggio con tonalità celestiali d'opale e zaffiri. 

Era già tardi ed alcuni apostoli del Signore avevano deciso di portare alcuni pani per i più bisognosi di cibo. Furono portate due grandi ceste di frugali merende, ma gli astanti erano molto più numerosi.

Gesù però benedisse il contenuto dei panieri e, per divino miracolo, la scarsa provvista si moltiplicò in innumerevoli pezzi che furono religiosamente distribuiti a centinaia di persone. (Cfr. QUI, l'abissale differenza... ).




Anche Livia ricevette la sua parte e, mangiandola, sentì un sapore differente, come se avesse ingoiato una medicina capace di curarle tutti i mali dell'Anima e del corpo, perché sentì una specie di tranquillità che le anestetizzava il cuore flagellato e deluso.

Commossa fino alle lacrime, vide che il Maestro ascoltava caritatevolmente numerose donne, fra le quali molte, secondo quello che il popolo di Cafarnao diceva, erano di vita dissoluta e scellerata.

Il vecchio Simeone volle anche lui avvicinarsi al Signore, in quell'ora memorabile del Suo passaggio sulla Terra. Livia lo accompagnò automaticamente e, in pochi minuti, si trovarono tutt'e due davanti al Maestro che li accolse col Suo generoso e profondo sorriso.

"Signore", esclamò con rispetto il vecchio di Samaria, "Che cosa dovrò fare per entrare un giorno nel Vostro Regno?"

"In Verità ti dico, ‒ gli rispose Gesù amorosamente ‒ che molti verranno dall'Occidente e dall'Oriente, cercando le porte del Cielo, ma incontreranno il Regno di Dio e della Sua Giustizia solamente coloro che ameranno profondamente, sopra tutte le cose della Terra, il Padre nostro che sta nei Cieli, amando il prossimo come se stessi".

E facendo spaziare lo sguardo compassionevole e misericordioso su quella grande folla, continuò dolcemente:

"Molti, inoltre, di quelli che sono stati chiamati qui, saranno scelti per il grande sacrificio che si avvicina! (La persecuzione dei primi Cristiani e... degli ultimi, dico io, come sta succedendo adesso purtroppo! Ndr).

Questi Mi incontreranno nel Regno Celeste, perché le loro rinunce dovranno essere il sale della Terra e il sole di un Nuovo Giorno!"



Dale Terbush

"Signore, ‒ osò l'anziano con gli occhi pieni di lacrime ‒ tutto farei per essere uno dei Vostri prescelti".

Ma Gesù, fissando diritto negli occhi il patriarca di Samaria, mormorò con infinita dolcezza:

"Simeone, vai in pace e non aver fretta perché, in Verità, accetterò il tuo sacrificio al momento opportuno..."

Ed estendendo il raggio di luce dei Suoi occhi fino alla persona di Livia, che beveva le Sue parole con la sete ardente della sua attenzione, esclamò con la chiarezza profetica delle Sue esortazioni:

"Quanto a te, rallegrati col Padre Nostro, perché le Mie parole e i Miei insegnamenti ti hanno toccato il cuore per sempre. Vai e non perdere la fede, perché tempo verrà in cui saprai accettare i tuoi sacrifici santificanti".

Queste parole furono pronunciate con una tale espressione, che la sposa del senatore non ebbe difficoltà a comprenderne il significato profondo, per un lontano futuro.

Lentamente il grande assembramento di poveri, di infermi e di afflitti si disperse. [...]

Relazione, adattamento e cura di: Sebirblu.blogspot.it

Estratti dai capitoli: "Il Messia di Nazareth" e  
                                     "Le Prediche del Lago di Tiberiade"
                                 

martedì 26 dicembre 2023

C. Xavier: La "Folgorazione" sulla Via di Damasco




Sebirblu, 26 dicembre 2023

Oggi, giorno dedicato a santo Stefano, perseguitato da Paolo di Tarso e primo martire cristiano, dall'oscuro fondovalle in cui ci troviamo ho deciso di riproporre a tutti gli "scalatori" delle grandi altezze una chicca meravigliosa, affinché diventi sprone ed auspicio per il più straordinario e sublime evento che possa mai accadere ad un essere umano: il suo Risveglio interiore. (Ved. QUI).

Molti di voi, gentili Lettori, conoscono già Chico Xavier, medium brasiliano, che con la sua "psicografia" ha ricevuto tramite la Guida Emmanuel una quantità enorme di insegnamenti spirituali che hanno fatto il giro del mondo con i suoi libri tradotti in diverse lingue, ma anche con i film come "Nosso Lar" e un altro sulla sua vita. (Cfr. QUI e QUI; ma anche QUI e QUI).

Ebbene, nonostante una gran parte di persone sia ancora un po' riottosa ad approfondire veramente la sostanzialità del Cristo, qualcosa nel cuore degli uomini si sta ora muovendo, e presto assisteremo ad una vera Rinascita, non più in una fede cieca, ma in una Consapevolezza nuova che farà davvero gridare al Miracolo. (Cfr. QUI QUI). 




Sulla Via di Damasco

Saulo aveva consacrato il suo ideale a servire Dio con tutte le sue forze. Non esitava nell'esecuzione di tutto quello che considerava dovere, anche con azioni violente e rudi.

Se era chiaro che fosse circondato da numerosi amici e ammiratori, aveva anche potenti avversari, dovuto al suo carattere inflessibile nell'adempiere gli obblighi considerati sacri. Dov'era, allora, la pace spirituale che tanto desiderava negli sforzi comuni?

Nonostante consumasse tutte le energie per la sua causa, si vedeva come un laboratorio di inquietudini dolorose e profonde. La sua esistenza era segnata da idee potenti, ma nel suo intimo lottava con antagonismi inconciliabili. Le nozioni della Legge di Mosè non sembravano sufficienti alla sua sete divoratrice.

I risvolti del fato entusiasmavano la sua mente. Il mistero del dolore e dei diversi destini lo riempivano di enigmi insolubili e di oscure domande. Tuttavia, quegli adepti del falegname crocifisso sfoggiavano una serenità sconosciuta!

L'affermazione di ignoranza dei problemi più gravi dell'esistenza non prevalsero nel caso di Stefano, poiché aveva un'intelligenza poderosa e la mostrò nel momento della morte con una pace incredibile accompagnata da valori spirituali che gli infondevano stupore. (Cfr. Atti cc. 6 e 7). 

Nonostante i compagni lo chiamassero all'attenzione sui primi paesaggi di Damasco che si disegnavano a distanza, Saulo non riusciva a sottrarsi all'oscuro soliloquio. Sembrava non vedere i cammelli rassegnati, che si trascinavano con pesantezza sotto il sole ardente di mezzogiorno.

Invano lo invitarono a mangiare. Egli sostò per alcuni minuti in una piccola e deliziosa oasi, aspettando che gli altri finissero il leggero pasto, e poi proseguì nella marcia assorbito nell'intensità dei suoi pensieri più intimi.

Lui stesso non riusciva a spiegare quello che stava accadendo. I suoi ricordi avevano raggiunto i periodi della prima infanzia. Tutto il suo passato laborioso si rivelò nitidamente in quell'esame introspettivo.

Fra tutte le immagini familiari, i ricordi su Stefano e Abigail (la sua fidanzata fattasi cristiana e deceduta prematuramente di malattia; ndr) erano quelli che più affioravano, come a suggerirgli grandi domande.


La Lapidazione di Santo Stefano di Gustave Doré

Perché quelle due persone di Corinto avevano prodotto in lui tale ascendenza in ogni problema del suo ego? Perché aveva aspettato Abigail lungo l'arco di tutta la sua gioventù, nell'idealizzazione di una vita pura?

Ricordava gli amici più elevati, e in nessuno di loro aveva trovato le qualità morali simili a quelle del giovane predicatore del "Cammino" (Stefano; ndr), che affrontava la sua autorità politica e religiosa davanti a tutta Gerusalemme, disdegnando l'umiliazione e la morte, per poi morire benedicendo anche le sue risoluzioni malvagie e spietate.

Che forza univa quei due esseri nei labirinti del mondo, dato che il suo cuore non poteva più dimenticarli? La verità dolorosa è che si trovava senza pace interiore, nonostante la conquista e il godimento di tutte le prerogative e i privilegi tra le figure più eminenti della sua razza.

Sfilavano, nel pensiero, le giovani donne che aveva incontrato nel corso della sua vita, le predilette della sua infanzia, ma in nessuna di loro poteva trovare le stesse caratteristiche di Abigail, che aveva intuito i suoi desideri più segreti.

Tormentato dalle profonde domande che si accumulavano nella sua mente, sembrò svegliarsi da un grande incubo. Doveva essere mezzogiorno. Ancora lontani, i paesaggi di Damasco si presentavano con i loro contorni: fitti frutteti e cupole grigie che si delineavano a distanza.

Bene in sella, Saulo mostrava l'equilibrio di un uomo abituato ai piaceri dello sport mentre procedeva col suo atteggiamento dominatore.

Ad un dato istante però, quando a malapena si era risvegliato dalle sue angosciose elucubrazioni, si sentì avvolto da strane luci dalle tonalità solari. Ebbe il sentore che l'aria si squarciasse come una tenda sotto una pressione invisibile e potente.

Intimamente, si considerò preda di un'improvvisa vertigine dopo lo sforzo mentale, persistente e doloroso. Avrebbe voluto girarsi, chiedere aiuto ai compagni, ma non li vide, nonostante la possibilità di supplicare il loro soccorso.

‒ Giacobbe...! Demetrio!... Aiutatemi!... ‒ urlò disperato.

Ma la confusione dei sensi gli fece perdere l'equilibrio e cadde dall'animale, indifeso, sulla sabbia ardente. La vista, tuttavia, sembrava dilatarsi all'infinito.

Un'altra luce gli inondò gli occhi, abbagliandoli, e sulla strada, che l'atmosfera frammentava, vide apparire la figura di un uomo di maestosa bellezza, che dava l'impressione di scendere dal cielo per andargli incontro.


La Conversione di San Paolo di Nicolas Bernard Lépicié  (1735 - 1784) 

La sua tunica era fatta di punti luminosi, i capelli toccavano le spalle alla nazarena; occhi magnetici, seducenti di simpatia e di amore, illuminavano il suo volto serio e tenero, da cui traspariva una divina tristezza.

Il dottore di Tarso lo contemplava con profondo stupore e fu allora che, con un'inflessione di voce indimenticabile, lo sconosciuto disse:

‒ Saulo...! Saulo!... perché mi perseguiti?

Il giovane tarsense non sapeva che istintivamente si era messo in ginocchio. Senza essere in grado di definire ciò che stava accadendo, strinse il petto in uno struggente atteggiamento. Un forte senso di venerazione prese possesso di tutta la sua persona.

Cosa significava tutto questo? Di chi era il volto divino che intravvedeva nel pannello del firmamento e la cui presenza gli inondava il cuore celere di emozioni sconosciute?

Mentre i suoi compagni circondavano il giovane genuflesso, senza né sentire né vedere nulla, nonostante avessero notato inizialmente una grande luce alta nel cielo, Saulo lo interrogò con voce tremante ed impaurita:

‒ Chi siete voi, Signore?

Aureolato in una fragrante luce benefica e in un tono di inconcepibile dolcezza, il Signore rispose:

‒ Io sono Gesù!...

Così, si vide l'orgoglioso e inflessibile dottore della Legge inchinarsi a terra, in un pianto convulsivo.

Si sarebbe detto che l'appassionato rabbino di Gerusalemme fosse stato ferito a morte, sperimentando in una sola volta il crollo di tutti i principi che gli avevano plasmato e guidato lo Spirito fino a quel punto della vita.

Davanti agli occhi aveva adesso, dunque, quel Cristo magnanimo ed incompreso! I predicatori del "Cammino" non erano degli illusi. Le parole di Stefano erano la pura verità! La credenza di Abigail era il percorso reale. Quello era il Messia!




La meravigliosa storia della Sua Risurrezione non era una risorsa leggendaria al fine di fortificare le energie del popolo. Sì, lui, Saulo, lo vedeva lì in tutto lo splendore della Sua gloria divina!

E che Amore gli doveva animare il cuore pieno di nobile misericordia, per venire a trovare lui sulle strade deserte... lui, Saulo, che si era innalzato a persecutore implacabile  dei  Suoi  discepoli  più  fedeli!...

Nell'espressione di sincerità della sua anima ardente, considerò tutto questo nella fugacità di un minuto. Sperimentò un'invincibile vergogna del suo passato crudele. Un torrente di lacrime impetuose lavavano il suo cuore. (È quanto accadrà ad ogni essere umano durante l'Avvertimento; leggere QUI, QUI, QUI e QUI; ndr). 

Voleva parlare, fare penitenza, piangere le sue infinite delusioni, gridare fedeltà e dedizione al Messia di Nazareth, ma il rammarico sincero dello spirito pentito e dilaniato gli imbrigliava la voce.

Fu quando notò che Gesù si avvicinò e, contemplandolo affettuosamente, gli toccò la spalla con tenerezza, dicendo con inflessione paterna:

‒ Non resistere agli aculei...! (Del pungolo spirituale; ndr).

Saulo comprese. Dal primo incontro con Stefano forze profonde lo inducevano ovunque e di continuo alla meditazione dei nuovi insegnamenti. Cristo lo aveva chiamato con tutti i mezzi e con tutte le modalità.

Senza essere in grado di comprendere la divina grandezza di quegli attimi, i compagni di viaggio lo videro piangere più copiosamente.

Il giovane di Tarso singhiozzava. Davanti all'atteggiamento dolce e suadente del Messia nazareno, considerava il tempo perso in sentieri scabrosi e ingrati.

Da allora in poi necessitava riformare il patrimonio dei suoi pensieri più intimi; la visione di Gesù risorto, ai suoi occhi mortali, gli rinnovava le concezioni religiose integralmente.

Certo, il Salvatore si era impietosito del suo cuore leale e sincero, consacrato al servizio della Legge, e scese dalla Sua gloria estendendogli le mani divine. Lui, Saulo, era la pecora smarrita nel burrone delle teorie infiammanti e distruttrici.


La pecorella smarrita di Judy Gibson (Mt. 18, 12-14)

Gesù era il Pastore amico che chiudeva gli occhi verso lo "spineto" ingrato per salvarlo affettuosamente. In un lampo, il giovane rabbino considerò la grandezza di quel gesto d'Amore. Le lacrime spuntarono dal suo cuore amareggiato, come linfa pura di una fonte sconosciuta.

Proprio lì nell'augusto santuario dello Spirito, fece la promessa di consegnarsi a Gesù per sempre. Ricordò improvvisamente le rigide e dolorose prove. L'idea di un focolare con Abigail era morta. Si sentì solo e sopraffatto.

Da quel momento in avanti, però, si sarebbe consacrato al Cristo, come semplice schiavo del Suo Amore. E si sarebbe impegnato in tutto per provargli che sapeva capire il Suo sacrificio, sostenendoLo nel sentiero buio dell'iniquità umana, in quel passaggio decisivo per il suo destino.

Bagnato di lacrime, come mai gli era accaduto nella vita, fece proprio lì, sotto gli sguardi spaventati dei compagni e del calore cocente del mezzogiorno, la sua prima professione di fede.

‒ Signore, che vuoi che io faccia?

Quell'essere risoluto, anche in quell'istante di resa incondizionata, piegato e ferito nei suoi principi più stimabili, dava esempio della sua nobile lealtà.

Trovando maggiore la rivelazione (di quella mosaica che lui professava; ndr), davanti all'Amore che Gesù gli mostrava sollecito, Saulo di Tarso non scelse per servirLo compiti che replicavano il suo zelante impegno personale.

Consegnandosi anima e corpo, come se fosse un servo insignificante, interrogava con umiltà cosa desiderasse il Maestro dalla sua cooperazione.

E fu allora che Gesù, contemplandolo più amorevolmente e dandogli a comprendere la necessità degli uomini di armonizzarsi nel lavoro comune all'edificazione di tutti, nell'Amore universale e in Suo nome, chiarì generosamente:

‒ Alzati, Saulo! Entra in città, e là ti sarà detto ciò che conviene fare!...

Così il giovane tarsense non avvertì più il volto amorevole, avendo la sensazione di essere immerso in un mare di ombre. Prosternato, continuò a piangere, provocando pietà nei compagni.


La Conversione di San Paolo (dettaglio) - Caravaggio (1571 - 1610) 

Si strofinò gli occhi, come se volesse strappare il velo che gli oscurava la vista, riuscendo solo a brancolare nel buio fitto. A poco a poco, cominciò a rendersi conto della presenza degli amici, che sembravano commentare la situazione:

‒ E adesso... Giacobbe? disse uno di loro, mostrando grande preoccupazioneCosa facciamo ora? Pensandoci benerispose l'interrogatoè meglio inviare Giona a Damasco per chiedere un intervento rapido.

‒ Ma cosa è successo?chiese il vecchio rispettabile chiamato Giona.

Non lo sochiarì Giacobbe impressionatoDapprima ho notato un'intensa luce nei cieli e, poco dopo, ho sentito che lui stava chiedendo aiuto. Non ho avuto il tempo di rispondere, perché nello stesso attimo è caduto dal cavallo senza aspettare soccorso.

Ciò che mi preoccupadisse Demetrioè questo dialogo con le ombre. Con chi parlerà? Se si sente soltanto la sua voce e non vediamo nessuno, che cosa starà accadendo qui, adesso, che non comprendiamo?

Non percepite che il Capo è in delirio?disse Giacobbe prudentementeI grandi viaggi, con il sole cocente, di solito abbattono organismi più forti. Inoltre, come abbiamo visto, sin dal mattino, sembrava depresso e indisposto.

Non si è alimentato e si è indebolito a causa degli sforzi di tutti questi giorni che da Gerusalemme stiamo ancora sostenendo con grande sacrificio. A mio avvisoconcluse scuotendo la testa rattristatosi tratta di una di quelle febbri che colpiscono improvvisamente nel deserto...

Il vecchio Giona però, con gli occhi sgranati, fissava con grande meraviglia il rabbino che singhiozzava. E dopo aver sentito il parere dei compagni, impaurito, come se temesse di offendere una qualche entità sconosciuta, disse:

«Ho grande esperienza di questi spostamenti con il sole a picco. Ho speso la mia gioventù conducendo cammelli attraverso i deserti dell'Arabia.




Ma, non ho mai visto in tali luoghi un infermo con queste caratteristiche – la febbre di coloro che cadono esauriti, in nessun modo si manifesta con delirio e lacrime.

L'ammalato cade abbattuto senza reazioni. Qui, però, vediamo il Capo come se stesse parlando con un uomo invisibile. Rifiuto di accettare questa ipotesi, ma ho il sospetto che in tutto questo ci siano i sortilegi di quelli del "Cammino".

I seguaci del "falegname" conoscono processi magici che siamo lontani dal comprendere. Non ignoriamo che il Dottore si è consacrato al compito di perseguirli ovunque si trovino. Forse, hanno pianificato contro di lui una qualche crudele vendetta?

Mi sono offerto di venire a Damasco per fuggire dai miei parenti, che sembrano sedotti da queste nuove dottrine. Chi ha mai sentito parlare della cura della cecità con una semplice imposizione delle mani? Tuttavia, mio fratello è guarito con il famoso Simon Pietro.

Solo la stregoneria, a mio avviso, spiega queste cose. Vedendo tanti fatti misteriosi a casa mia, ho avuto paura di Satana e sono fuggito.»

Raccolto in sé stesso, sorpreso in mezzo alle dense tenebre che lo avvolgevano, Saulo sentì i commenti da parte degli amici, sperimentando un grande abbattimento, come se fosse tornato esausto e cieco da un enorme sconfitta.

Asciugandosi le lacrime, chiamò uno di loro con profonda umiltà. Vennero tutti con sollecitudine.

Che cosa è successo?chiese Giacobbe preoccupato ed ansioso.Siamo afflitti per voi. State male, signore?... provvederemo a tutto che ciò giudicate necessario...

Saulo fece un gesto triste e disse:

Sono cieco.

Ma veramente?chiese l'altro inquieto.

Ho visto Gesù di Nazareth! disse contrito, totalmente cambiato.

Giona fece un segno significativo come per confermare ai compagni che aveva ragione, si guardarono tutti molto stupiti. Avevano capito istintivamente che il giovane rabbino parlava da dissociato.

Giacobbe, che era un amico più intimo, si mosse per primo e sottolineò:

Signore, ci dispiace per la vostra affezione, ma bisogna decidere riguardo al destino della carovana.




Il dottore di Tarso, tuttavia, rivelando una sottomissione che non conciliava con il suo temperamento dominatore, lasciò cadere una lacrima e rispose con profonda tristezza:

Giacobbe, non preoccuparti per me... in merito a quello che devo fare, adesso ho bisogno di arrivare a Damasco, senza indugio.

Quanto a voi... e con la voce riluttante che usciva dolorosamente come se pressata da una grande angoscia, concluse in tono amaro: fate ciò che volete, perché fino a poc'anzi eravate i miei servitori, ma d'ora in poi anch'io sarò uno schiavo, non appartenendo più a me stesso.

Davanti a quella voce umile e triste, Giacobbe si mise a piangere. Aveva la piena convinzione che Saulo fosse impazzito. Chiamò i suoi compagni da parte e disse:

Ritornate a Gerusalemme con la triste notizia, mentre io vado alla città vicina con il Dottore per risolvere la questione al meglio. Lo porterò ai suoi amici e cercheremo l'aiuto di un medico... Noto che è estremamente disturbato...

Il giovane Rabbino prese atto delle decisioni quasi senza sorpresa. Accettò passivamente la soluzione del servo. Così com'era, immerso nelle ombre più scure e profonde, aveva l'immaginazione ricca di congetture trascendenti.

La cecità improvvisa non lo affliggeva. Nell'intensità del buio che riempiva le sue pupille sembrava emergere la figura del radiante Gesù che vedeva con gli occhi dello Spirito.

Era giusto che cessassero le percezioni visive, al fine di conservare per sempre la memoria del glorioso minuto della subitanea trasformazione per una vita più sublime.

Saulo ricevette le osservazioni di Giacobbe, con la semplicità di un bambino. Senza lamentarsi, senza resistenza, sentì il trotto della carovana che si avviava mentre il vecchio servitore gli offriva il braccio amico, preso da infinite paure.

Con le lacrime che scendevano dagli occhi inespressivi, perso in qualche visione impenetrabile nel vuoto, l'orgoglioso dottore di Tarso, guidato da Giacobbe, proseguì a piedi sotto il sole bruciante del primo pomeriggio.

Commosso dalle benedizioni ricevute dalle Sfere più alte della vita, Saulo pianse come mai aveva fatto prima. Era cieco e separato dai suoi. Dolorose angosce si chiudevano nel suo cuore oppresso.

Ma la visione del Cristo risorto, la Sua parola indimenticabile, la Sua espressione d'Amore erano adesso presenti nella sua anima trasformata.


Del Parson

Gesù è il Signore, inaccessibile alla morte. Lui avrebbe guidato i suoi passi nel cammino, gli avrebbe dato nuovi ordini prosciugando le ferite della vanità e dell'orgoglio che gli rodevano il cuore; soprattutto gli avrebbe concesso la forza per riparare gli errori dei suoi giorni d'illusione.

Relazione, riadattamento e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonte: Estratto dal X capitolo del libro di Chico Xavier "Stefano e Paolo", dettato dal suo Spirito Guida Emmanuel (download QUI; ndr).

venerdì 22 dicembre 2023

Albero e presepe di Natale ideati da due Santi!

 
Presepe vaticano 2023, in onore degli 800 anni da quando il "Poverello" d'Assisi lo creò.

Sebirblu, 21 dicembre 2023

Risulta forse anacronistico e alquanto temerario, oggi, occuparsi di quello che nell'infanzia dei miei giorni appariva magico e aureolato di dolcezza e di mistero.

Non si aspettava "babbo natale", ma Gesù Bambino, nell'intimità dell'albero vero, adornato di candeline accese una per volta con il fiammifero, e di un presepio approntato, come in casa mia, con l'acqua corrente a ciclo continuo che scaturiva da una fontanella.

Si è persa purtroppo, già da molto tempo, ogni poesia ed ogni senso della fede, azzerati dal "modernismo dilagante" adottato addirittura sin dal Concilio Vaticano II, principalmente dalla Chiesa!

Eh sì, questa Chiesa che ha tradito il suo Fondatore senza alcun ritegno, ha seguito il Suo "avversario" spietato, e non ci possiamo meravigliare, ora, della deriva finale intrapresa sotto la guida del Falso Profeta che ne sta ultimando la distruzione.

Tutto il rimanente, nel mondo, segue a ruota il copione apocalittico in corso, con la dissoluzione del "sacro" in ogni sua forma, con gli atti vandalici in aumento su presepi e statue (QUI), ma soprattutto con le nuove disposizioni liberal-progressiste di Bergoglio e il suo "compagno di merende" Tucho Fernandez (QUI) che hanno dato il "colpo di grazia" alla "FU Chiesa Cattolica" che adesso... NON È PIÙ...

Per tal motivo, do voce a due prestigiosi articoli che almeno fanno ripensare, documentandoli nella loro essenza, al valore perduto e ancora tanto caro a molti che in cuor loro sperano, e in Dio confidano, affinché questa tragica parabola, fatta di tradimenti, odi, emergenze sanitarie, guerre e quant'altro, termini presto e Nostro Signore intervenga.




San Bonifacio contro Thor, così nacque l'albero di Natale

«L'Avvento è un tempo di attesa e di preparazione e si può spendere bene anche raccontando ed ascoltando storie...

Il primo albero di Natale, come lo intendiamo noi, lo ha inventato e realizzato un vescovo e martire nel 724: si tratta di San Bonifacio (680-754), inglese di nascita e ricordato con gratitudine dalla Chiesa universale come l'Apostolo della Germania.

La sua storia, la sua indole e l'opera di evangelizzazione che ha compiuto sono la cosa più lontana dalla svenevolezza che molti detrattori attribuiscono allo stereotipo del santo cattolico...

In un bel contributo riproposto su Churchpop, originale di Mountain Catholic, troviamo una gradevole e sintetica versione delle vicende che diedero origine all'abete decorato che ora scalda tante case nel mondo.

Nato intorno al 680 in Inghilterra, Bonifacio entrò in un monastero benedettino prima di essere incaricato dal papa di evangelizzare la Germania moderna come sacerdote e infine come vescovo.

Sotto la protezione di Carlo Martello (quello che fermò i musulmani nella famosa battaglia di Poitiers del 732, per intenderci), Bonifacio viaggiò attraverso la terra teutonica, irrobustendo la fede di coloro che avevano già incontrato il cristianesimo ed annunciando la vera salvezza a quanti ancora si trovavano nell'oscurità della fede pagana...

Lo stesso Benedetto XVI ci ricordava in un'udienza generale del 2009 (QUI) i grandi risultati del Santo nell'opera di evangelizzazione, grazie alla «sua instancabile attività, al suo dono per l'organizzazione e al carattere adattabile, amichevole, ma fermo».




Ecco come viene descritto, in un racconto di fine '800, "Il primo albero di Natale" (1897) di Henry Van Dyke:

«Che uomo era! Bello e leggero, ma dritto come una lancia e forte come un bastone di quercia. Il suo viso era ancora giovane; la pelle liscia, abbronzata dal vento e dal sole. I suoi occhi grigi, puliti e gentili, lampeggiavano come il fuoco quando parlava delle sue avventure e delle cattive azioni dei falsi sacerdoti con cui litigava».

Ora, immaginiamoci un uomo giovane, forte, incurante delle intemperie, virtuoso e tutto teso alla propagazione del Regno di Dio, che attraversa foreste, accende fuochi, veglia in preghiera: eccolo durante uno dei suoi viaggi insieme ad un piccolo gruppo; si trova nella regione della Bassa Assia e siamo intorno al 723.

Sapeva di una comunità di pagani vicino a Geismar che, in pieno inverno, avrebbe fatto un sacrificio umano (un bambino, in genere) al dio del tuono, Thor, alla base della loro "sacra" pianta, la "quercia del tuono".

Un vescovo amico gli aveva consigliato di distruggere l'albero sia per salvare la vita al bambino, sia per mostrare che di Dio ce n'è uno solo: era certo che nessun fulmine lo avrebbe colpito e "Thor" se ne sarebbe andato con le ossa e il suo famoso martello... rotti.

Così avvenne: impugnando il vincastro da pastore, Bonifacio si avvicinò alla folla pagana che aveva circondato la base del "sacro" albero, dicendo al suo gruppo: «Ecco la "quercia del tuono", e qui la croce di Cristo spezzerà il martello del falso dio, Thor».

Il carnefice era vicino al bimbo destinato al sacrificio e stava alzando il martello per abbatterlo su di lui, ma mentre stava per sferrare il colpo decisivo Bonifacio stese il suo pastorale, lo bloccò e miracolosamente ruppe il grande martello di pietra.

Ciò  che  si  racconta ‒ disse dopo ‒ è una meravigliosa sintesi  della novità  di  Cristo: il Figlio dell'Altissimo è venuto a salvare tutto, persino il sacrificio, cambiandolo definitivamente, rivelando l'inutilità di ogni sanguinoso olocausto compiuto dagli uomini.

«Ascoltate, figli della foresta! Nessun sangue scorrerà più da questa notte, perché è quella della nascita di Cristo, il Figlio dell'Onnipotente, il Salvatore dell'umanità.

Più avvenente è di Baldur il Bello, più grande di Odino il Saggio, più gentile di Freya il Buono. Da quando Egli è venuto, il sacrificio è finito. L'oscurità, Thor, che hai vanamente chiamato, è morta. Nell'orlo della Niffelheim (ved. QUI; ndr) si perde per sempre.

Ed ora in questa notte del Divino Bambino ricomincerete a vivere. Quest'albero di sangue non oscurerà più la vostra terra. Nel nome del Signore, lo distruggerò.»

Bonifacio prese un'ascia e non solo abbatté la "quercia" ma, secondo il racconto, con l'aiuto del vento la sradicò del tutto.



San Bonifacio distrugge la 'Quercia del Tuono' del dio pagano Thor.

Senza perdere altro tempo, consapevole della vastità della messe da raccogliere, egli riprese il suo viaggio di apostolo e continuò a portare l'annuncio di Cristo, Unico Salvatore, ai popoli germanici, sui quali da quel momento poteva esercitare un ascendente più forte di prima.

Essi erano decisamente persuasi o almeno disposti a sentire cosa avesse da dire uno che, pur avendo abbattuto la "quercia di Thor", non era stato annientato dalla rabbiosa potenza del suo "Tuono".

E fu così che, al posto della stessa, Bonifacio scelse un alberello che continua ad avere più fortuna di quella: egli guardò oltre al punto dove essa si trovava, indicando un piccolo, modesto abete e dicendo:

«Questo piccolo abete, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro "albero santo" stasera. È il legno della pace... È il segno di una vita infinita, perché le sue foglie sono sempre verdi. Guardate come punta verso l'alto, rivolto al cielo.

Che questo sia chiamato l'albero del Cristo-bambino; raccoglietevi, non nel bosco selvaggio, ma nelle vostre case; lì, non riparerà azioni tramite il sangue, ma doni amorevoli e riti di gentilezza.»

Abbiamo dunque un altro stereotipo nordico da abbattere, magari chiedendo l'intercessione di quel gran Santo di Bonifacio: è proprio ai nostri fratelli tedeschi, ingiustamente ritenuti tutto rigore e niente fantasia, che dobbiamo la bellezza e la dolcezza, la magia e il calore di uno dei simboli più belli del Natale.

A loro dobbiamo gli addobbi, le lucine, gli ammucchiamenti di pacchi colorati, le caramelle e alcuni canti tra i più belli della tradizione. A Dio e alla sua infinita Bontà l'incommensurabile Dono di averci inviato Suo Figlio e con Lui la Vita eterna.

Un'ultima nota storica, più recente ma altrettanto gradevole da ricordare intorno alla vasta fortuna dell'Albero di Natale. Fu San Giovanni Paolo II, nel 1982, a dare il via alla tradizione di collocare un abete addobbato in Piazza San Pietro, vicino al presepe.

Quell'abete era un dono di un contadino polacco, che lo trasportò fino a Roma sul suo camion. Da allora in poi, per espresso volere del Santo Padre, puntualmente si ripete la tradizione a ricordo della Natività di Gesù: un presepe viene allestito ai piedi dell'obelisco e alla sua destra viene eretto l'albero di Natale, donato ogni anno da una regione montana diversa dell'Europa.»



Piazza San Pietro 2023 - Presepe ed Albero, ved. QUI.

Ed ecco il secondo articolo di Antonio Socci.

Gli 800 anni del presepio. La meraviglia di frate Francesco per la notizia inaudita di Dio che si fa uomo e nasce in una misera stalla. Ecco perché ci riguarda...

«Aristotele diceva che il sapere – la filosofia – nasce dalla meraviglia e il presepe fu inventato, esattamente 800 anni fa, proprio da un uomo, frate Francesco, pieno di stupore: per il sole, la luna, le stelle, i campi fioriti, per sorella acqua o per frate foco, ma soprattutto perché Colui che aveva creato tutto questo, l'onnipotente Dio, si è fatto umano per salvarci. 

Piccolo bimbo nel grembo di Maria, nacque, come il più misero, in una stalla, con degli animali, il loro sterco, il loro fiato, il loro odore, la paglia sporca. In una mangiatoia, al gelo dell'inverno.

Francesco era sconvolto da un così vertiginoso abbassamento, da questa inaudita auto-umiliazione di Dio. Ancor più gli scioglieva il cuore pensare che quel bambino, diventato grande, il Maestro, era stato crocifisso come il più malfamato dei criminali, aveva subito torture disumane, sputi e insulti.

Dicono le Fonti Francescane:

Meditava continuamente tutte le parole del Signore. Ma soprattutto l'umiltà della Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.

Quello che era accaduto gli sembrava meraviglioso e sconvolgente. Tutte le religioni esprimono la tensione dell'umanità verso il Mistero, per scalare il cielo. Invece il cristianesimo è l'opposto: il cielo che viene sulla terra. È una notizia storica. Sono avvenimenti concreti.

Una volta Benedetto XVI disse:

«'Il Verbo si fece carne' è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell'evento che essa esprime. È importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero (fondamentale leggere QUI; ndr), lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell'uomo, per comunicarci la sua stessa vita. E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l'umiltà di un bambino».



Petrus van Schendel

Francesco ne era incantato. Così, alcuni giorni prima di Natale, nel 1223, disse a un suo caro amico, Giovanni, che abitava a Greccio:

Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello.

Giovanni fece così e arrivò "il giorno delle letizia". Dicono le Fonti:

‒ (vennero) molti frati da varie parti; uomini e donne festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte...

Arriva alla fine Francesco:  vede che tutto è predisposto  secondo  il suo desiderio,  ed  è raggiante di letizia.  Ora si accomoda la greppia,  vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello.  In quella  scena commovente  risplende  la  semplicità  evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è diventato come una nuova Betlemme.

I frati cantano, tutti gioiscono, Francesco è "estatico davanti al presepio". Poi il sacerdote inizia la celebrazione dell'Eucaristia, Francesco – che è diacono – legge il Vangelo di Natale, poi parla al popolo:

‒ con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora.

E ogni volta che diceva "il Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.

Il presepio di Greccio realizza il desiderio di "vedere con gli occhi del corpo" il Salvatore (sono le precise parole di Francesco). E poi, la messa, la consapevolezza della Sua presenza reale che continua nell'Eucarestia e nei fratelli (il mistero della Chiesa).

L'appassionato desiderio di Francesco di vedere, toccare, abbracciare la concretezza del Salvatore, di Dio fatto carne, che sia il Bambino nella stalla di Betlemme o il Crocifisso, esprime il cuore del cristianesimo.

Oggi lo accuserebbero di "fondamentalismo" perché ascoltava il Vangelo alla lettera, "sine glossa" (c'è scritto: "date tutto ai poveri e seguitemi"? Francesco fa così. C'è scritto: "a chi vi schiaffeggia porgete l'altra guancia"? Francesco fa ancora così).

Il suo stare alle precise parole di Gesù e all'evento nudo e crudo, alla consistenza dell'Incarnazione e della Passione, fu un ciclone per il popolo cristiano che con lui riscoprì il cuore della sua fede.

Cambiò anche la storia della nostra civiltà. Il realismo di Giotto – che è l'inizio dell'arte figurativa moderna – è inimmaginabile senza la spiritualità francescana (non a caso è il suo ciclo di Assisi che segna la svolta).



Giotto - Il Presepe di Greccio

Un grande ed acuto intellettuale ebreo, George Steiner, ha scritto: "le filosofie occidentali dell'arte e la poetica occidentale, traggono il loro idioma secolare dal sostrato del dibattito cristologico (...).

Il postulato della 'kenosis' di Dio attraverso Gesù e dell'inesauribile disponibilità del Salvatore nell'ostia e nel vino dell'Eucaristia condizionano non soltanto lo sviluppo dell'arte e della retorica in Occidente, ma, ad un livello ben più profondo, quello della nostra comprensione e percezione della verità dell'arte stessa".

Steiner parla di "rivoluzioni della sensibilità... Dopo Cristo, la percezione occidentale della carne e della spiritualità metamorfica della materia si altera. Il volto e il corpo dell'uomo non vengono più tanto visti come creati a immagine di Dio... quanto a immagine del Figlio luminoso o torturato...

Una profonda rivoluzione nei valori visuali e tattili, nei significati sensoriali e nella loro espressione anche linguistica... Nelle civiltà cristiane la residenza del sé nella sua carnalità è stata resa radicale e paradossale".

Nel presepio c'è tutto questo. Vi è proclamata l'intangibile sacralità della persona umana.»

Chiosa di Sebirblu 

Concludo questo post con un fervido e sincero augurio ai miei assidui Lettori, per un pacifico e santo Natale, unitamente alle loro famiglie ed amici, affinché la Madre SS. dia anche a noi, come al suo Pargoletto Divino, la protezione materna e la sicurezza che Solo il suo Cuore Immacolato può offrire a tutti in questi tempi perigliosi.

Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonti: iltimone.org

    "    : sabinopaciolla.com