"Bonifacio VIII" di Andrea Gastaldi (Torino 1826‒1899). Si noti il modo sgraziato in cui tiene la Croce: a testa in giù! |
Sebirblu, 5 gennaio 2024
Questo articolo si è stranamente "offerto da sé"... in quanto nel mio peregrinare in rete, alla ricerca di qualcosa che potesse arricchire la conoscenza di chi lo legge sotto il profilo spirituale, mi si è presentata l'immagine su esposta che sicuramente stupirà tutti per la grande somiglianza con Jorge Mario Bergoglio.
Mi trovavo infatti a visitare un dominio prestigioso QUI (che offre la possibilità di scaricare in abbondanza messaggi ultrafànici elevatissimi, come quelli contenuti nell'introvabile libro del giurista, avv. Gino Trespioli QUI), da cui ho estratto un dialogo molto interessante.
Tale incredibile somiglianza mi ha incuriosito, tanto più che ho scoperto trattarsi di un dipinto dell'800 di Bonifacio VIII (ved. QUI), succeduto a Celestino V ‒ il papa del "gran rifiuto", come lo definì Dante relegandolo nell'Antinferno con gli ignavi.
«Nell'Opera, la figura del pontefice è perciò una sorta di ombra sinistra, cui di continuo si allude. Al tempo in cui si svolge il viaggio raccontato nella Commedia, Bonifacio non è ancora morto, ma tutto l'inferno lo attende, poiché non ha esitato a "tòrre a 'nganno / la bella donna [la Chiesa], e poi di farne strazio" (Inferno, XIX 57-58).
Sottoposto ad una sorta di dannazione preventiva, il "gran prete" (Inferno, XXVII 70) viene collocato da Dante, indirettamente, prima ancora di morire, tra i peccatori di simonia, anche se il suo nome riecheggia per tutti i cerchi infernali.
Nell'ottica dantesca la sua condotta astuta, sleale e spregiudicata, che lo identifica con "lo principe d'i novi Farisei" (ivi, 85), costituisce la causa principale della crisi sociale, spirituale e politica in cui versa l'intera penisola italiana tra il XIII e il XIV secolo.» (Esattamente come ora! ‒ brano tratto da QUI; ndr).
Ed è proprio il Sommo Poeta a sottolineare in diversi punti della Divina Commedia, specialmente nel Paradiso, la personalità di quel papa, molto simile a quella distorta di Bergoglio:
Nell'Inf. al Canto XIX, dal v. 53 in poi, dove fa dire a papa Niccolò III, tra i simoniaci della III Bolgia, che Bonifacio lo raggiungerà presto, predicendone la dannazione.
Nel Purg. al Canto XX, vv. 85 ‒ 93, dove descrive l'affronto di Anagni predetto dallo spirito di Ugo Capeto.
Ed infine, soprattutto nel Par. al Canto XXVII, vv. 19 ‒ 27, dove San Pietro pronuncia un'intensa sfuriata contro i papi corrotti e accusa Bonifacio di abuso nell'occupare il suo seggio, tanto che il primo angelo ribelle, cacciato dal Cielo, si appaga in fondo al baratro vedendo i misfatti del pontefice.
E sì, proprio i misfatti, esattamente come li chiama l'entità stessa che fu Bonifacio VIII dall'«Abisso dei Rimorsi», ved. QUI, nell'episodio 104 pag. 110 del libro "La Vita", menzionato e linkato sopra, che qui propongo:
"L'abisso dei Rimorsi" dal libro "La Vita" |
Dice Gino Trespioli:
[...] Fui distolto dall'improvvisa loquacità di un "Invisibile", che Piero (uno degli spiriti guida; ndr) mi confermò avere nel tempo animato Bonifacio VIII.
«Che io fossi Bonifacio ‒ diceva ‒ lo prova il segno che porto di tanto dolorare. Con la carne errai, col potere, con le condanne, coi soprusi errai... Una politica di intriganti ondeggiava intorno a me, che fui autore di misfatti. Fui autore di misfatti! Smentisci gli storici che tentano assurde difese...
Tu lo vedi, io mi confesso; mi confesso a te, che non conobbi uomo alcuno (perché non avvicinò alcun sacerdote; ndr); ma qui sono portato da una forza che domina interamente la mia individualità. Aggiungo che non io soltanto fui degenere nel potere, ma altri ancora prima e dopo di me.
Questa veste talare è grave peso per l'anima mia. Non si è in possesso del Vero quando si cerca di soffocarlo col formalismo e con la filosofia... Crederai tu, perché qui sono, che io conservi ancora desideri di possessi e di vendetta? Nulla desidero.
Seguo la giustizia e ne sento le vibrazioni. Uscirò da qui per la mia forte espansione di pensiero. Sarò fatto migliore imponendo a me stesso un'affrettata evoluzione.»
Trespioli:‒ dipende dunque da noi...
Bonifacio: «Noi siamo autori del nostro destino. Volere, volere, volere. Siamo liberi. Ma per essere liberi dobbiamo sapere e volere essere tali. Io so che posso, volendo, affrettare la mia evoluzione.»
Trespioli: ‒ parli con molto senno. E in che consiste il tuo soffrire?
Bonifacio: «Nella coscienza d'essere stato despota e crudele; d'aver guardato soltanto il potere temporale e ai mezzi per garantirlo, nella consapevolezza di avere io, io capo della Chiesa, soffocata la legge divina e obliato che la medesima dev'essere il composto mistico della legge evangelica in tramando apostolico...
Di queste mie parole sorriderà taluno, ma non certo un papa che sia umile e santo. Dicendo "santo" non intendo definire una perfezione; alludo ad un "sacrificato dell'ora". Grande peso è la tiara!»
Trespioli: ‒ come mai tu, vicario di Cristo, non hai avuto un freno superiore, un sicuro aiuto?
Bonifacio: «Malgrado la mia cultura ero, spiritualmente, un accecato. La superbia del dominio mi era come assenzio che ubriaca. Quando mi ritiravo e ponevo la mia anima a contatto dell'Uomo‒Dio, sentivo la Sua giustizia, il Suo biasimo, e mi sentivo vile come un verme.
Ebbene, i miei propositi cadevano quando la Corte mi offriva i suoi incensi, tanto vani!... Dura cosa è il potere! »
Trespioli: ‒ poiché sei tu Bonifacio ‒ ripresi ‒ ti spiace dirmi se a lungo ancora dovrai vivere questa esistenza?
Bonifacio: «Non è da noi misurare il tempo, ma volgo gli ultimi passi.»
Trespioli: ‒ e poi?
Bonifacio: «Ritornerò sulla Terra, e sarò un misero, un reietto. Cercherò Iddio attraverso i mondi; ovunque manifesterò la Sua giustizia e mi renderò piccolo per maggiormente sentirlo in me.»
Questa è la testimonianza post mortem scritta nel prestigioso testo che, sotto l'alta giurisdizione di una Intelligenza purissima – il Maestro – descrive la vita dell'Oltre nei vari piani d'esistenza, le Biotesi, non solo riguardanti lo scibile umano e la storia di questi in generale ma anche i travagli e le gioie di moltissime entità, conosciute e non.
"Le Biotesi" dal libro "La Vita" |
Tornando adesso alla Divina Commedia, è necessario che io inquadri dapprima lo scenario dell'incontro fra il Poeta e Pietro.
Dante è asceso all'ottavo cielo, il luogo delle Stelle Fisse, dove si avvale di una visione straordinaria: a miriadi gli appaiono le anime beate, simili a Scintille che diffondono la luce fulgida del Cristo, proprio come il sole fa con i suoi astri. L'atmosfera è tutta vibrante di tripudio gioioso mentre gli eletti iniziano un dolcissimo canto di Gloria a Dio che lo inebriano, colmandolo di una felicità indescrivibile.
Davanti al Sommo Autore brillano i lumi dei tre apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, e Pietro, detentore delle chiavi sacre della Chiesa, gli si accosta per parlargli ma, improvvisamente, l'aere intorno a quest'ultimo muta di colore nella luce soffusa che lo avvolge poiché egli, avvampando di sdegno, di lì a poco si sarebbe abbandonato a quella che risulta essere la più aspra rampogna dell'intero poema.
Egli, da primo Pontefice, infatti, tuonerà terribilmente contro la corruzione del potere spirituale che ha usurpato il luogo che fu suo (si noti l'utilizzo del verbo "usurpare", calzante perfettamente con il ruolo attuale di Jorge Mario Bergoglio, pseudo papa; ndr), smarrendo l'alta missione assegnata da Dio alla Chiesa di Roma e al suo Vicario.
Gustave Doré ‒ Paradiso ‒ Canto XVII. |
[...] Quand'io udi': «Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, ché, dicend'io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fatt'ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde 'l perverso
che cadde di qua sù, là giù si placa.» [...]
Ossia:
[...] Quando sentii: «Se io cambio colore, non stupirti, dal momento che alle mie parole vedrai arrossire tutti questi beati.
Quegli (Bonifacio VIII) che usurpa il mio posto, il mio posto, il mio posto (nella ripetizione traspare tutta l'indignazione di Pietro; ndr), che è vacante seppur nella presenza di Gesù Figlio di Dio (nella Sua sacra Istituzione ndr),
‒ ha trasformato il "mio cimitero" (il Vaticano, perché l'apostolo vi fu martirizzato e sepolto) in una fogna, dove si raccolgono il sangue e il fetore (delle contese e della corruzione della curia; ndr); per cui il "perverso" (Lucifero) che "cadde da quassù", laggiù ne gode.» [...]
Dice Dante ai vv. 37 ‒ 39:
[...] «Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sé trasmutata,
che la sembianza non si mutò piùe»:
Ovvero:
«Poi le parole di san Pietro proseguirono, con una voce così alterata che il suo aspetto non mutò più di così».
Quindi Pietro continua ai vv. 40 ‒ 57
«Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata;
ma per acquisto d'esto viver lieto
e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
d’i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano;
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond'io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci?» [...]
Cioè:
«La sposa di Cristo (la Chiesa) non fu nutrita col sangue mio, di Lino, di Anacleto, per essere usata per arricchirsi, ma Sisto, Pio, Calisto e Urbano sparsero il loro sangue, dopo molto pianto, per guadagnare questa vita beata.
La nostra intenzione non era che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra, e in parte alla sinistra dei nostri successori;
‒ né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata;
‒ né che la mia effigie comparisse sul sigillo di privilegi falsificati e venduti, cosa per cui io spesso arrossisco e fremo di sdegno.
Da quassù si vedono per tutti i pascoli lupi famelici in veste di pastori: o giustizia divina, perché tardi ad arrivare?» [...]
E conclude ai vv. 61 ‒ 66:
[...] «Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com'io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giù tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel ch'io non ascondo». [...]
Ossia:
[...] «Ma la suprema Provvidenza, che con Scipione difese a Roma la gloria del mondo, interverrà presto, così come io prevedo;
‒ e tu, figliolo, che tornerai sulla Terra col tuo corpo mortale, apri la bocca e non nascondere ciò che io non ti nascondo». [...]
Chiosa di Sebirblu
Come si è letto, vi è un punto di contatto fra queste due esposizioni, rilevato per via ultrafanica sia da Trespioli che dal Sommo Autore, ed è il parallelismo tra l'ieri di Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, e l'oggi di un falso-papa, Jorge Mario Bergoglio, anche questi usurpatore del Soglio come l'altro, che Dante riteneva corrotto, senza scrupoli, temuto e odiato, tanto da porlo nell'inferno con i simoniaci, cioè tra coloro che erano soliti acquisire beni spirituali in cambio di denaro.
Ma ciò che sorprende di più è la strana somiglianza delle fattezze somatiche, quasi riferentesi agli studi di Cesare Lombroso, antropologo e psichiatra, padre della fisiognomica, che dai tratti del volto individuava una matrice o tendenza delittuosa comune.
Io non so di Bonifacio VIII, ma sicuramente conosco quello che concerne Bergoglio, essendosi sottoposto, come da lui stesso dichiarato tempo addietro, ved. QUI, ad analisi e cure psichiche in Argentina.
È curioso constatare, inoltre, che entrambi hanno origini piemontesi, sono subentrati in modo irregolare a due papi rinunciatari ‒ Celestino V e Benedetto XVI ‒ hanno modi ambigui in comune, accentrati in prevalenza su sé stessi, e sono dediti alla "misericordia" pelosa, come scritto magistralmente dal Poeta per i papi iniqui «...ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi.» (Cfr. QUI e QUI).
Concludo, suggerendo a tutti di prestare maggiore attenzione alla misconosciuta Ultrafanìa, che vuol dire "manifestazione di luce dall'oltre", come ho già spiegato QUI, QUI e QUI, perché da questa fonte di ammaestramenti elevatissimi possiamo trarne il migliore e certo beneficio per la nostra crescita spirituale sulla granitica base cristica.
Così è anche del piccolo poema, dettato post mortem dallo stesso Alighieri QUI, che sorprenderà molti per il suo avallo di autenticità sottoscritto da critici e dantisti esperti.
Dice la Voce sublime:
«Ogni "sigillo" verrà aperto e allora coloro che sapranno vedere toccheranno la Verità nella Sua Sostanza, ma coloro che vogliono tenere la pupilla velata non vedranno, perché non potranno vedere.»
Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it
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