Sebirblu, 20 giugno 2020
Il 13 giugno, giorno in cui si sposarono mio
padre e mia madre nel lontano 1939, allorché l'Italia devota
festeggiava sant'Antonio da Padova, mi è venuto di pensare alla loro
vita nell'Oltre, a come stiano, e se il loro stato interiore abbia
raggiunto una certa serenità o se ancora, e mi auguro di no,
rimpiangano qualcosa di terreno.
Questi pensieri sono normali per me
ora, dal momento che il mio cammino di intensa ricerca spirituale
ebbe inizio nel 1969, proseguendo poi per anni, fino a quando la Gran
Legge Eterna mi spalancò le porte dell'Anima per farmi scorgere
la sublimità della Conoscenza superiore.
Molte e profonde sono state le
esperienze che, senza mai averle chieste, mi vennero concesse
dall'Alto, dandomi la certezza assoluta della veridicità dell'esistenza dopo la morte.
Ma questo non mi appagava del tutto,
perché l'alimento di cui sentivo la necessità era di gran lunga più
importante del sapere che si sopravvive alla dipartita finale, così, nel
contempo, continuavo ad abbeverarmi alla Fonte Infinita... Trovai
quello che cercavo... ed era proprio COLUI che disse: "Chi beve
di quest'ACQUA NON avrà più sete!" (Ved. QUI, QUI, QUI, QUI e QUI) ...LUI, SI FECE TROVARE da
me, piccola anima!!!...
Da quel tempo, non smisi mai di distribuirLA
agli "esausti", agli "assetati", a tutti coloro
che, incerti ed incoscienti camminano barcollando lungo l'aspra
parabola dell'esistenza.
Ora, coerentemente, dedico l'articolo che segue
ai tanti che ancora non sanno nulla, o si disinteressano
del tutto della REALTÀ della vita oltre la "soglia"
estrema.
Ma prima, ecco un video propedeutico
che indurrà, con le sue testimonianze dirette, anche i più accaniti
negatori a riflettere.
Lascio, quindi, ancora una volta la
parola alla Scienza (come feci nel passato, QUI e QUI) con
un'intervista che è stata fatta al professor Enrico Facco, neurologo
e specialista in anestesiologia e rianimazione, che opera a Padova. (QUI un suo breve videoclip).
Intervistatrice:
"Le NDE (near-death-experience)
consistono in una serie di esperienze vissute in condizioni critiche
cerebrali associate a perdita di coscienza: in questi casi, quando il
paziente torna cosciente (o «rientra in sé», si noti il senso appropriato dell'uso
comune del termine; ndr), racconta di aver visto l'aldilà, riferisce
immagini della vita oltre la vita. Le esperienze di premorte hanno
una fenomenologia precisa, estranee al momento e alla latitudine in
cui avvengono. Se ne trova testimonianza anche nel passato?"
Prof. Facco:
"Questo abbraccia un argomento
vastissimo che emerge nell'intera cultura umana, nelle tradizioni di
tutti i tempi e luoghi. (Cfr. QUI, QUI, QUI e QUI; ndr).
Per fare un solo esempio, possiamo
partire dal mito di Er, narrato da Platone, in cui il soldato creduto
morto e posto sulla pira per essere cremato, si risveglia all'improvviso e racconta il viaggio compiuto nell'Ade,
descrivendo quello che è l'Aldilà secondo il filosofo e scrittore
antico.
Il testo è molto suggestivo e ne
consiglio la lettura: Platone descrive il destino che porta le anime
a reincarnarsi, a scegliere la loro vita futura in funzione di quello
che hanno fatto nel passato, per poi bagnarsi nelle acque del fiume
Lete e perdere la memoria prima di tornare sulla terra. (Cfr. QUI e QUI, link importantissimo: si può scaricare il prezioso libro ormai introvabile; ndr).
In questo mito troviamo diverse
analogie con il concetto reincarnativo proveniente dal Buddhismo e dal Libro
Tibetano dei Morti. (Cfr. QUI, QUI, QUI e QUI; ndr).
Si tratta del medesimo aspetto che rinveniamo nell'antica tradizione cristiana con la trasmigrazione delle
anime descritta da Origène, Padre della chiesa, che ipotizzò uno
stadio intermedio tra Inferno e Paradiso.
Le teorie di Origène vennero spazzate
via dal Concilio di Costantinopoli (553 d.C. ndr), con il quale la
Chiesa cassò tutto ciò che aveva a che fare con il concetto di
trasmigrazione e reincarnazione, dato che nel Nuovo Testamento non ne
veniva fatta menzione alcuna (apertamente, ma non sostanzialmente;
ved. QUI; ndr).
La Chiesa arrivò così al tredicesimo secolo, con un vuoto dottrinario incolmabile, dal momento che si pose lo
stesso problema che si era posto Origène: ed ecco che in quel
periodo venne propriamente «inventato» il Purgatorio."
"Concerne dunque un evento che ha una portata culturale e filosofica di dimensioni enormi e che
riguarda, prima di tutto, i concetti di vita, morte e realtà, come noi li percepiamo."
Prof. Facco:
"Le NDE, ovvero le esperienze di
premorte, si inseriscono in tale contesto, anche se non spiegano
nulla, al momento attuale, sulla possibilità di una vita dopo la morte,
sull'esistenza della reincarnazione o altro di questo genere. Le NDE
hanno un alto valore cognitivo in questa vita, indipendentemente da
quello che sarà il destino del nostro corpo fisico al termine
dell'esistenza." [...]
"La morte, comunque, non può
essere ridotta a meccanismi biochimici e biologici – sono
fondamentali e importantissimi sotto una visuale medica, soprattutto, ma non possono esaurire
il problema."
Intervistatrice:
"Fino a pochi decenni fa le
esperienze di pre-morte non venivano considerate dalla
Scienza. Oggi, come lei stesso testimonia con le sue ricerche, hanno acquisito sommo interesse dal punto di vista
scientifico. Cosa è accaduto?"
Prof. Facco:
"Le NDE sono state rifiutate a
lungo dalla Scienza come tema di ricerca e di indagine perché essa, nel suo paradigma
riduzionista e meccanicista, si basa su postulati e assiomi
indimostrabili che hanno però una potenza culturale immensa.
Intervistatrice:
"Esse fanno parte di quei
fenomeni strani, di confine, che restano in quarantena in virtù
proprio della loro particolarità: non si sa in che modo avvicinarli,
classificarli, studiarli. Questo però non significa che non
esistano."
Prof. Facco:
"Le NDE, così come numerose altre
espressioni non ordinarie della coscienza, hanno rappresentato il dominio
di un terreno incerto che faceva riferimento in parte alla filosofia,
in parte alla religione, in parte alla parapsicologia.
Per tutte le manifestazioni extrasensoriali dobbiamo cercare di capire cosa siano a livello fisiologico e
che significato abbiano: quello che ignoriamo come gestire, che non
rientra nel mondo rassicurante conosciuto, rimane un po' fuori dai
campi di indagine scientifica e viene scotomizzato (oscurato; ndr),
escluso, in quanto non considerato degno di ricerca.
Intervistatrice:
"Abbiamo una fenomenologia e una
casistica specifica di questi eventi?"
Prof. Facco:
"L'esperienza di premorte è
quella di chi è in condizioni critiche (arresto cardiaco, coma,
gravi emorragie) ma con la terapia intensiva viene rianimato e
racconta le sue esperienze, caratterizzate sempre dagli stessi
elementi ovunque nel mondo e a tutte le latitudini.
In questo senso le NDE sono un risvolto delle moderne tecniche di rianimazione. Era sorto in
Inghilterra, verso i primi del Novecento, un interesse di studio
verso queste manifestazioni. Poi la cosa è andata dissolvendosi: nella
visione dominante, razionale e materialista della Scienza, questi
fenomeni sono stati sottovalutati e di nessuna rilevanza. (Cfr. QUI, QUI e QUI; ndr).
Se noi adottiamo l'assioma fondamentale
delle neuroscienze per il quale la psiche e la coscienza sono un
epifenomeno (aspetto collaterale; ndr) dei circuiti cerebrali, tutto quello che succede nelle
NDE viene attribuito a disordini dell'encefalo, prodotti dal danno
acuto a cui il soggetto è andato incontro, come se ci trovassimo di
fronte ad una sorta di delirium o di allucinazione: fenomeni
marginali o semmai di natura psichiatrica e comunque non
interessanti valutati da un'ottica clinica, impegnata a curare solo il
corpo, riparare il danno, e rimandare il paziente a casa."
Intervistatrice:
"E d'altronde i pazienti, dal
canto loro, le hanno sempre taciute per paura di essere presi per
pazzi."
Prof. Facco
"Due dei venti pazienti con episodi di NDE che
analizzo nel mio libro, ossia il dieci per cento, sono stati sottoposti a
trattamenti con psicofarmaci per aver raccontato la loro esperienza
di premorte.
Tutto questo ci fa riflettere su quanto
il pregiudizio culturale sia influente in questi casi: chi racconta
una tale esperienza può essere preso per folle.
Nella Scienza, un conto è definire
quale sia il confine della stessa, un altro è negare la realtà di
un certo tipo di eventi solo perché non li si può catalogare con il
metodo scientifico positivista: è un atteggiamento un po' riduttivo,
se non integralista."
Ed ecco l'analogo parere di un altro medico, eminente cardio-oncologo, anestesista e rianimatore, il dottor Carlo
Cipolla (curriculum QUI) che in questo video racconta alcune sue esperienze con
pazienti che hanno vissuto le NDE.
Intervistatrice:
"L'aspetto forse più affascinante
è quello delle OBE [acronimo di Out of body Experience, esperienze
extracorporee; n.d.r]. Di fronte a racconti di questo tipo, come lei
stesso scrive nel libro, dobbiamo rifiutarli ritenendoli non veri (ma
ciò è in contrasto con i dati sperimentali raccolti), o ammettere
che per ora non abbiamo gli strumenti e le conoscenze atte a
comprendere di cosa si tratti?
Le prospettive aperte da alcuni
concetti della fisica quantistica, come ad esempio l'entanglement
(legame fra particelle di natura quantistica; ndr), che genere di luce
possono gettare su un argomento come le OBE? Possiamo pensare che le
attività della coscienza non abbiano sede solo all'interno del
nostro cervello?"
Prof. Facco:
"Rimaniamo saldamente nel terreno scientifico
ed empirico, senza fare speculazioni di tipo metafisico,
ma aperto ad accettare i fatti quali sono e a non rifiutarli per una
mancata coesione con le credenze scientifiche che abbiamo oggi.
Ciascuna conoscenza intellettuale
parte da assiomi indimostrabili e potrebbe anche succedere che la
condizione di partenza sia diversa da come l'abbiamo
immaginata. Quando l'asserto salta, allora salta tutto lo scenario
che ci avevamo costruito sopra.
Questo è già successo in fisica, ad
esempio, con i principi del tempo e dello spazio di Newton: nell'ambito umano funzionano ancora bene, ma quando ci spostiamo
nel mondo quantistico e nella teoria relativistica non sono più
adeguati a descriverne i fenomeni.
La stessa cosa accade per la coscienza: noi abbiamo un'evidenza empirica su di essa come residente nel cervello.
Ne abbiamo anche un'altra sul fatto che quando le aree cerebrali
funzionano in un certo modo, si è coscienti; quando alcune si
rompono, si va in coma, e quando si riaggiustano si ridiventa
coscienti. Ciò è verissimo, ma non dimostra affatto che la
coscienza risieda nel cerebro.
Facciamo un'ipotesi alternativa che ho
inserito nell'ultimo capitolo del mio libro dicendo chiaramente di
non volerla sostenere, ma ponendola soltanto perché venisse
confutata. Se non si riesce a falsarla non è però possibile
accettarne a priori un'altra, in quanto tutte possono essere
plausibili.
Il dr. Enrico Facco con il suo libro "Esperienze di premorte" |
Se il rapporto tra cervello e coscienza fosse simile a quello esistente tra un televisore e i programmi emessi, la fenomenologia sarebbe identica, perché quando la televisione è in funzione se ne vedono i canali, se si dovesse guastare non si vedrebbero più, ma se la si riparasse, si vedrebbero di nuovo.
Solo che i programmi permangono
nell'etere anche quando la televisione è spenta. Allora la
fenomenologia della coscienza ci suggerisce, giustamente, che essa
risiede nel cervello, ma non è dimostrabile.
Sulle OBE (esperienze fuori dal corpo;
ndr) possiamo dire che sono un fenomeno vasto perché alcune persone
dichiarano di sperimentarle anche in condizioni di normalità o in
seguito a meditazione, oppure ad allucinazioni ipnagogiche (gli stati di
sonnolenza prima del sonno; ved. QUI e QUI; ndr).
Ci sono quattro episodi di NDE segnalati nella letteratura mondiale, due dei quali nell'ambito di studi rigorosissimi: uno di questi è stato pubblicato su «Lancet» e un altro è uscito recentemente su «Resuscitation».
Si tratta di racconti di pazienti che
quando sono usciti dal coma hanno descritto tutto quello che era accaduto durante la fase di arresto cardiaco, stato in cui l'EEG è piatto (l'elettroencefalogramma; ndr), il flusso cerebrale durante
la rianimazione cardio-polmonare sussiste, ma è così basso da non
permettere alcuna forma di coscienza e la morte è incipiente.
Siamo in una condizione in cui non
sarebbe possibile avere alcun tipo di questi fatti, secondo ciò che conosciamo. Ebbene questi pazienti non solo hanno avuto esperienze
e le hanno riportate, ma hanno anche esposto esattamente tutto quello che è
successo durante la fase di arresto.
Un ultimo evento raccontato con
precisione da Sam Parnia [un medico, specialista in anestesia e
rianimazione, una delle massime autorità sul rapporto mente-cervello, sullo studio scientifico della morte e sulle diverse esperienze ai
confini di essa; n.d.r.] riporta la visione precisa di un paziente sul (grafico) bip-bip apparso sullo schermo del defibrillatore automatico.
Da quella descrizione e dal fatto che
il ciclo di defibrillazione ventricolare dura tre minuti, Parnia ha concluso che l'ammalato ha avuto almeno tre minuti di coscienza e di percezione del
mondo esterno durante quel periodo, il
che non è spiegabile con le conoscenze correnti di
neurofisiologia e di neuroscienze. Però non possiamo rifiutare
questi eventi perché non collimano con gli assiomi e le nostre
credenze odierne."
Intervistatrice:
"Lei è specializzato in
anestesiologia e rianimazione per cui immagino che i confini tra la
vita e la morte, tra la coscienza e l'incoscienza siano per lei
territori all'ordine del giorno da diverso tempo.
Nonostante questa vicinanza lei ha
deciso di esplorare senza pregiudizi un tema di confine come quello
delle NDE spesso relegate nei territori della parapsicologia. Inoltre
si occupa anche di medicina tradizionale cinese e ipnosi.
Cosa l'ha spinta verso un tema così
spinoso come le NDE e verso campi che per la maggior parte dei medici
ancora cozzano con il sapere scientifico?"
"Per quanto riguarda le NDE,
diciamo che è proprio lavorando sui margini che si ha maggiore
possibilità di scoprire qualcosa di nuovo e di interessante rispetto
a quello che è il cuore di ogni materia scientifica.
Ma, al di là di ciò, vi sono ambiti
di studio molto coinvolgenti che si trovano al limite tra varie
discipline e proprio per questo sono difficili da analizzare, anche
dal lato pratico delle misurazioni e della costituzione dei team di
ricerca.
Eppure, in questi settori si presentano
fenomeni clinicamente rilevanti che vengono sottodimensionati,
sottostimati e poco studiati proprio perché non hanno una parte centrale nel ramo di chi ci lavora.
Io ho sempre operato in questi campi
interdisciplinari e di confine. Quando nel 1980 ho iniziato ad
occuparmi dei coma in rianimazione, mi sono voluto applicare alla
neurofisiologia perché, secondo me, indagare sull'attività elettrica
del cervello in quegli istanti era un fatto basilare per conoscere cosa
fosse veramente un coma, e avere informazioni sulla prognosi.
All'epoca si diceva che
l'elettroencefalogramma non serviva a niente e che non dava alcuna
informazione; il problema era come veniva letto e interpretato.
Accadeva questo: il neurologo e il neurofisiologo non vivevano in
rianimazione, quindi non vedevano i pazienti in stato comatoso; l'anestesista
non si occupava di neurofisiologia e dunque c'era un vuoto. Io in
questo vuoto ho fondato venticinque anni di studi ed analisi che
hanno dato ottimi risultati.
Per quanto riguarda la medicina
tradizionale cinese, posso dire che non l'ho appresa e praticata per
avere uno sbocco professionale, ma ho cominciato ad interessarmene e
a leggere testi di filosofie orientali quando avevo 16 anni: questo è
un punto un po' misterioso per me perché nessuno mi ha mai spinto
verso questi temi parlandomi della Cina o dell'estremo Oriente. Ma da allora
non ho mai smesso di interessarmi alla filosofia Zen e al Taoismo che
ancora adesso sono le mie letture preferite.
Nel 1972 ho conosciuto l'agopuntura, ed
ho iniziato a seguirla e a praticarla, cosa che all'epoca era come
pensare di andare oggi, ad abitare su Marte. Questa medicina si basa
su presupposti ed assiomi completamente diversi dai nostri, che per
noi sono pure difficili da comprendere in maniera diretta, ma
funziona, e non è priva di fondamento: vi sono pazienti che
rispondono meglio a questo genere di medicina piuttosto che alla
nostra, soprattutto per quel che riguarda i disturbi funzionali."
"Abbiamo ospedalizzato la nascita
e la morte, le abbiamo allontanate dalle nostre case, dall'ambiente
familiare, dai riti che le accompagnavano, con il risultato che ne
abbiamo sempre più paura... Questo è un grosso problema e si tratta
di un fatto culturale che noi stessi abbiamo costruito."
Prof. Facco:
"Abbiamo avuto uno sviluppo
tecnologico velocissimo, infinito, con cui non riusciamo a tenere il
passo; contestualmente le religioni sono scese di valore
nell'immaginario collettivo, mentre la scienza unitamente al pensiero laico, materialista e razionale, ha acquisito sempre più credito.
Ma in tutto questo non abbiamo
chiaramente superato l'angoscia del decesso, anzi si è accentuata,
perché non avendo più una visione che arrivi oltre l'esistenza
fisica si giunge là dove essa diventa minaccia di annientamento.
La morte è stata oscurata nel XX
secolo; è uscita dalla nostra vita di tutti i giorni: in questo
senso è come la pornografia, è illecita, è fuori dalla scena, è
oscena. Siamo preda di un rifiuto totale e nello stesso tempo di
un'attrazione altrettanto totale per essa, per cui passiamo tutta la
vita a leggere di cronaca nera, a guardare film di morti ammazzati e
così via.
La gente vive nell'illusione di essere
immortale e quando si trova di fronte ad una malattia o agli anni che
passano e quindi alla fine che si avvicina, arriva la tragedia. La
tragedia dell'Ego che si vede annichilito e che non ha strumenti per
capire che senso ha la sua esistenza, ma lo riacquista soltanto se include nel concetto vita anche quello di morte.
Il trapasso non è un dramma, e nemmeno
l'opposto della vita: è solo una sua parte inscindibile e se così
non fosse, ovvero se avessimo vita eterna, questa sì che sarebbe una
vera tragedia: il peggiore degli stati totalitari, la peggiore delle
condanne, un ergastolo eterno."
Concludo, augurandomi che sempre più persone comincino a volersi interessare, finalmente, di cosa accadrà nell'attimo fatale in cui dovranno lasciare il proprio corpo fisico.
È una vera follia partire per un
viaggio e non conoscerne la destinazione, che tipo di "clima" si dovrà
affrontare e quale "lingua" si parlerà per farsi capire... a pensarci
bene, è inconcepibile l'indifferenza generalizzata...
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