Non è mai abbastanza ricordare che abituarsi alla preghiera vuol dire non solo dare un senso alla propria vita, che dal Divino trae la forza e la pazienza per superare le dure prove che ineluttabilmente si dispiegano davanti a noi, ma anche e soprattutto significa porsi sotto la potente protezione del Cielo in questi tempi perigliosi e incerti per l'umanità.
Già altre volte ho trattato questo tema, specialmente QUI, QUI, QUI e QUI e so che l'argomento non è condiviso da molti, ma le minacce che incombono ora sul mondo rendono necessaria una maggiore presa di coscienza singola e collettiva.
Dice il proverbio che "uomo avvisato è mezzo salvato", e dunque non sia mai che, avendo un piccolo strumento di diffusione come questo blog, trascuri proprio quella parte che ritengo basilare per la salute fisica, psichica e spirituale dei miei simili.
San Giovanni Crisostomo suggeriva: «Trovate l'ingresso della cameretta segreta della vostra anima e scoprirete che è la porta del Regno dei Cieli».
Sant'Efrem il Siro lasciò scritto che Dio, quando creò l'uomo, pose in lui l'intero Regno e che il perno della vita umana consiste nello scavare così in profondità tanto da raggiungere il Tesoro nascosto.
Ecco perché, per trovarLo, dobbiamo scavare, alla ricerca di questa camera segreta, di questo luogo dove il regno di Dio è al centro stesso del nostro cuore, dove Lui e noi possiamo incontrarci. (Cfr. QUI, QUI e QUI).
La maniera migliore, quella che di certo supererà tutti gli ostacoli, è la preghiera. Il problema è di recitarla con attenzione, semplicemente e con verità, senza sostituire il vero Padre Eterno con qualche altra falsa deità: un idolo, un prodotto della nostra immaginazione, e nemmeno provando a vivere un'esperienza mistica.
Concentrandoci su ciò che proferiamo, sicuri che ogni parola emessa raggiunge Dio, possiamo usare i nostri termini personali, o quelli di coloro che hanno espresso, meglio di quanto noi potremmo, ciò che sperimentiamo o confusamente sentiamo nell'intimo.
Non è per la grande quantità di parole che saremo ascoltati da Dio, ma per la loro immediatezza. Quando usiamo il nostro linguaggio, dobbiamo rivolgerci a Lui con precisione, senza lungaggini o fretta eccessiva, ma essendo semplici e veri.
Ci sono momenti in cui le orazioni sono spontanee e facili, altri in cui ci sembra che la fonte si sia inaridita.
È allora che è bene usare le preghiere altrui, che in fondo esprimono essenzialmente ciò in cui crediamo, tutte quelle realtà che in quell'istante non sono vivificate da una reazione profonda del nostro cuore.
Dobbiamo quindi implorare con un duplice atto di fede, non solo immersi in Dio, ma anche in noi stessi, confidando in questa nostra fede offuscata, ma che tuttavia è parte integrante del nostro essere.
Vi sono attimi in cui non necessitiamo di parole, né nostre né di altri, e preghiamo allora in silenzio. Questo tacere perfetto è la preghiera ideale, a patto però che esso sia vero e non un miraggio da noi creato.
Ci possono essere momenti in cui stiamo bene fisicamente e siamo mentalmente distesi, stanchi delle parole che abbiamo sin troppo usato, ci sentiamo ispirati in quell'equilibrio delicato, come in prossimità di un sogno lucido...
Il silenzio interiore è l'assenza di ogni perturbazione del pensiero o dell'affettività, è completa vigilanza, un'apertura a Dio. Dobbiamo mantenerlo così quando possiamo, ma non dobbiamo mai compiacercene.
Per evitare questo, i grandi autori dell'ortodossia ci avvertono di non abbandonare completamente le normali forme di preghiera perché, anche coloro che hanno raggiunto la pace della contemplazione, le hanno ritenute necessarie nei momenti più a rischio di lassismo spirituale, reintroducendole, finché le stesse non avessero propiziato di nuovo il silenzio.
I santi Padri greci lo ponevano sempre all'inizio e alla fine di una vita di preghiera; lo chiamavano hêsychia (ved. QUI). Questo è lo stato in cui tutte le facoltà dell'anima sono nel raccoglimento e nella quiete, concentrate e perfettamente vigili, prive di qualsiasi turbamento emotivo.
Gli anacoreti utilizzano spesso nei loro scritti l'immagine dello stagno: finché ci sono increspature alla superficie nulla può riflettersi in modo corretto, né gli alberi né il cielo, mentre quando l'acqua è calma, al contrario, tutto vi si specchia perfettamente, come nella realtà.
Un'altra similitudine da loro usata è quella del limo o fango che, fintantoché non si è posato sul fondo, al riparo da ogni minimo moto, disturba la trasparenza acquea. Entrambe le analogie possono applicarsi alla condizione interiore dell'uomo che vuole mettersi in contatto con Dio.
Sovente la vita che viene vissuta da molti fedeli contrasta con le preghiere da essi recitate. È necessario perciò riuscire ad armonizzare il modus vivendi di tutti i giorni con i contenuti delle stesse, affinché tali orazioni acquisiscano la forza, lo splendore e l'efficacia desiderati.
Troppo spesso ci si appella al Signore sperando che Lui intervenga, al posto nostro, su ciò che dovremmo fare noi nel Suo Nome e al Suo servizio.
Come se fosse sufficiente ripetergli, di continuo, le stesse parole col cuore freddo e la mente pigra, senza alcuno sprazzo di volontà, i termini di fuoco a volte nati nei deserti e nelle solitudini e scaturiti spesso da grandi sofferenze umane.
I devoti sono convinti, così facendo, che Dio li ascolti, che tenga conto del loro eloquio, mentre l'unica cosa che importa all'Eterno è l'anima di chi a Lui si rivolge, con lo Spirito teso al compimento della Sua Volontà.
Geras Tonas Kiekvienam |
Entrino le vostre anime nell'orizzonte che Io vi apro. Cercate di ascoltare e di incidere in voi profondamente la Verità che è il seme unico.
Non per vaghezza Io vi chiamo, non perché Mi conosciate vi invito: è per voi stessi, per il vostro rinnovo, per avere coscienza di ciò che fate e di ciò che farete nel vostro domani umano.
Ogni passo spirituale è un procedere che vi permetterà di entrare nella Luce, ma se i passi difettano vi allontanate da essa.
Siate i Miei guerrieri; la Mia spada è la Fede, la Mia Forza l'Amore. Rammentate queste tre massime:
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Le parole pronunciate dal Cristo sul monte rappresentano l'apertura del sigillo all'umanità, il patto che con essa la Divinità stipulava e il di Lui "Discorso della Montagna" esprime la triplice manifestazione di Amore, di Giustizia e di Sapienza.
Perché il Cristo salì sul poggio per parlare alla folla?
La parola di Amore, di Giustizia e di Sapienza non era umana, ma divina, doveva perciò discendere sulle genti, provenire da oltre il limite, dall'infinità; la parola del Cristo doveva riversarsi sulle folle perché il Figlio, per volontà del Padre, stava per cancellare la vecchia legge, la Legge Prima, ed instaurare così la Legge Evangelica di Amore.
Non si trattava propriamente di un monte, ma di una modesta escrescenza di terra sulla quale il Divin Figliolo era salito, ma ciò era sufficiente per portarLo su un piano più elevato, per togliere l'idea di azione umana, ponendo il Divin Predicatore in una posizione di distacco rispetto a coloro che ascoltavano; la voce giungeva dall'alto alle masse, ecco la manifestazione di Potenza.
Prima di parlare delle Beatitudini, il Cristo volle pregare il Padre Suo ed insegnare alle genti la sola nobile preghiera, il "Padre Nostro".
Chi ha compreso la maestà di questa preghiera che si presenta senza frasi retoriche, senza lodi chiesastiche, semplice, umile, fervida e possente perché sostanziale? Pochi invero fra gli umani.
"Il Discorso della Montagna" di Carl Heinrich Bolch |
Padre nostro perché sei Tu che ci hai partorito, perché proveniamo da Te, perché sei Tu che ci sorreggi, che ci guidi come solo un Padre può fare coi propri figli, perché ci tratti in perfetta eguaglianza come solo un Padre giusto ed amoroso può fare e sa fare.
Che sei nei Cieli, cioè che esuli dalla materia, che sei Spirito e perciò dominatore della materia e per conseguenza del Male. Tu, come Essenza divina, sei anche negli umani perché anch'essi sono spirito, Scintille da Te emesse. Non che vivi nei Cieli, che sei nei Cieli. Il Cielo ha in sé Iddio, fa parte cioè dell'Infinito: È IN VOI! L'opera vostra quindi deve essere rispettosa costantemente, in quanto dentro di voi c'è il Principio Primo, il Principio Unico: Dio!
Sia santificato il Tuo Nome
Vi è in questa espressione la volontà di santificare il Suo Nome. Come può l'umanità santificare il Nome di Colui che le diede la vita e dal Quale è sorretta e confortata? Con la preghiera, forse? No, non con questa, ma con l'opera; solo l'opera può giungere a santificare, poiché per compiersi ciò necessita la potenza che soltanto l'azione ha in sé.
Solo il Tuo Nome sia santificato, perché unicamente Tu sei stato capace, e lo saresti nuovamente, di rinunciare alla Tua Vita per la nostra salvezza. Noi, di conseguenza, dobbiamo santificarTi con la nostra opera, col nostro ardore e la nostra alacrità.
Venga il Tuo Regno
Arrivi finalmente il Regno di Dio a dominarne qualsiasi altro sulla Terra, e poiché Iddio è Bontà celeste, venga finalmente fra gli umani a regnare non solo questa, ma soprattutto l'Amore, il Regno dell'Evangelo. Venga il Regno Tuo, sia cioè instaurato il dominio del Bene e distrutto quello del Male, e tutto sul mondo abbia l'impronta della Divinità.
Sia fatta la Tua Volontà
La bontà che Dio vuole, la giustizia che impone, la sapienza che reclama siano la Legge unica dominante gli umani. La volontà dell'Eterno è l'Amore nelle sue più sublimi manifestazioni, ed è tale volontà che deve tradursi in atto sul pianeta affinché possa trasformarsi un giorno da materia in spirito.
Così in Cielo come in Terra
Nei Cieli la volontà dell'Eterno è Potenza manifesta, e così diverrà sulla Terra per la Sua infinita Misericordia. Quanto è materia o fu materia ritornerà potenza trasformandosi in purissima Energia, provando al Padre che l'umanità ha riscattato ogni colpa e che sublimando lo Spirito ha distrutto il regno di Satana, ritornando degna del divino Genitore. (Cfr. QUI, QUI e QUI; ndr).
Pane = Esempio del Cristo. Vino = Suo Insegnamento sostanziale. Ved. QUI. |
Non del pane fisico parlava il Cristo, poiché questo pane ognuno deve conquistarselo attraverso la fatica, il sudore, l'affanno, il dolore, attributi quanto mai necessari alla vita dell'uomo per poter giungere all'espiazione, al termine del moto evolutivo finito.
Il Cristo chiede a Dio la sostanza: Per gli umani il Tuo Amore, o Padre, è il Pane necessario alla vita eterna, alla vita dello Spirito, alla conquista di quella libertà che è potenza e sapienza, ed è il Tuo Amore, o Padre Santo, la capacità che Tu puoi donarci per compenetrare le Tue verità, assimilarle, e senza le quali la perpetuità infinita sarebbe irraggiungibile!
Donaci la facoltà di amare, fortificala, poiché essa ci è stata trasmessa da Te col parto, ed è la sola che valga a sorreggere ogni umano durante la sua ascesa, nel corso della sua faticosa evoluzione. Giungerà a noi in tal modo quel pane che non sarà solo il cibo del singolo, ma che questi nel Tuo Nome moltiplicherà per sfamare il fratello più bisognoso".
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Padre, noi perdoniamo al nostro simile ben conoscendo il male che egli può aver fatto a noi, ma da noi non è conosciuto il debito contratto verso di Te, sono ignoti all'umanità i peccati nella loro qualità ed entità commessi contro la Legge Eterna, ed è per questo che essa chiede il perdono, in quanto di tutti i suoi errori l'uomo non giungerebbe mai a fare ammenda. Se non ci fosse la santa remissione l'essere umano non arriverebbe mai più ai piedi del divin Trono.
Il Tuo perdono, o Padre, è legato alla Tua Misericordia e solo questa può salvare gli uomini incapaci, impossibilitati ad espiare colpe che non conoscono o dimenticate nell'oblio.
Preservaci dalle Tentazioni e liberaci dal Maligno
Nella materia, che sullo Spirito grava per la colpa iniziale, è insita la tentazione, perché in essa vi è il palpito satanico e Satana è colui che non si peritò di tentare l'Unigenito. Padre, l'umanità riconosce che solo la Tua Misericordia può preservarla dalle umane lusinghe della fragile materia, e invoca da Te quella Conoscenza, quel Dono di energie capaci di chiarire alle genti quale sia la via di destra e quella di sinistra; solo così l'uomo potrà essere liberato dalle insidiose arti del Maligno.
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In questa preghiera vi è il più profondo legame tra il Creatore e il creato, tra il Padre e il figlio (l'umano; ndr), tra l'implorazione e la promessa. Quando dal vostro labbro usciranno le divine parole pronunciate dal Cristo, mormoratele in fervore, in tremore, e certamente esse saliranno al Padre e saranno dall'Eterno ascoltate.
Sette sono i punti necessari per il vostro vivere spirituale nel tempo, sette sono le espressioni dell'Unigenito nell'attimo in cui dall'umanità si staccava fisicamente per rimanerne congiunto in potenza.
Fate tesoro di questa settuplice divina invocazione e non biascicate vanamente altre orazioni a voi note, poiché in questa soltanto vi è l'essenza, la vita, la vittoria, la conquista.
Non ripetete mnemonicamente il «Padre nostro», ma sappiate valutarne la dolcezza e la possanza di ogni parola. Ponetevi in stato di umiltà nell'attimo in cui elevate la preghiera a Dio e, se un istante di distrazione vi coglie, segnatevi e dite: "Vade retro me Satana".
Ricominciatela di nuovo, analizzandone i contenuti, umiliandovi e dicendo in cuor vostro al Padre: "Io sono perché Tu sei e fa' che io sia come Tu vuoi, cioè degno di Te".
Quando di fronte a voi procelloso spumeggia il mare, quando sul vostro capo sta il cielo in tempesta, quando falsi fratelli cercano di trarvi a dannazione, quando mani rapaci e torbide tentano di togliervi il pane conquistato con fatica e dure privazioni, innalzate la divina orazione al cielo.
Si placherà il mare, si rasserenerà il cielo, il fratello non vi condurrà a rovina ed il pane non sarà mancante.
Traduzione, relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it
Spunti estratti da QUI, e da "Scintille dall'Infinito" ‒ ed."Il Cenacolo", QUI.