Sebirblu, 29 settembre 2024
In questo giorno che sta per finire, nel quale viene celebrato il culto a San Michele Arcangelo, accomunato dal 1969, nel nuovo calendario liturgico del post-Concilio Vaticano II, agli altri due "Astri" San Gabriele e San Raffaele, riporto un interessante articolo comparso sul sito «Catholic Herald» perché può essere utile a comprendere meglio ciò che sta accadendo ora non solo in Europa con il conflitto in corso, ma anche nel vicino Medio-Oriente.
Possa il grande Guerriero di Dio con le sue Milizie Celesti intercedere per noi e per l'intera umanità, in balia di questi pazzi scatenati che pretendono di governare il mondo escludendo l'Altissimo dalla loro vita e, di fatto, far precipitare gli abitanti della Terra in un baratro senza fondo.
Comprendere la visione del mondo cristiano ortodosso
che motiva Vladimir Putin nella guerra contro l'Ucraina.
Sembra un momento opportuno, se non vitale, per cercare di guardare oltre la ristretta analisi della terribile guerra in Ucraina fornita dalla stragrande maggioranza dei nostri funzionari politici e dei media mainstream, data l'attuale confluenza di eventi correlati e significativi che si verificano tutti nello stesso periodo.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è appena stato in visita negli Stati Uniti per ottenere ulteriore sostegno militare per il suo Paese assediato – compresa la possibilità di lanciare missili occidentali in profondità nella Russia (permesso che non ha ottenuto; ndt) – mentre il presidente Vladimir Putin avverte ancora una volta che l'opzione nucleare non è fuori discussione se la Nazione si sente sufficientemente minacciata, e il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump afferma che se diventerà il prossimo presidente degli Stati Uniti porrà fine alla guerra in Ucraina.
Una decina di anni fa, un popolare documentario trasmesso in prima serata dalla televisione di Stato richiamava l'attenzione sulle lezioni che la Russia avrebbe tratto dal declino di Bisanzio. Era da Bisanzio che i missionari avevano portato la fede ortodossa in tale Paese nel X secolo, ed era agli imperatori bizantini che gli zar di Russia avevano fatto risalire la loro linea di discendenza, fino a Costantino il Grande.
Il film storico "La Caduta di un Impero. Le lezioni di Bisanzio" ha sostenuto che le fondamenta del sistema bancario dell'Occidente moderno derivano dal saccheggio di Costantinopoli da parte della Quarta Crociata nel 1204 e che un fattore significativo del crollo finale dell'Impero è stato il suo impoverimento da parte di rapaci oligarchi occidentali attraverso lo sfruttamento aggressivo delle concessioni commerciali offerte loro nel 1082 da un imperatore bizantino in difficoltà economiche.
Il sacco di Costantinopoli del 1204 rimane saldamente impresso nella coscienza dell'Oriente ortodosso, in parte perché indebolì Bisanzio al punto che il suo tracollo divenne inevitabile, causando lo spostamento gravitazionale del cristianesimo verso ovest, ma anche per la barbara ferocia dei crociati, che saccheggiarono Costantinopoli in un modo che persino i Vandali e i Goti avrebbero trovato sgradevole.
Anche se i Bizantini, poi, si ripresero tutta la città, strappandola ai Crociati nel 1261, l'incapacità collettiva dell'Occidente di onorare l'accordo stipulato con gli stessi Bizantini al Concilio di Firenze del 1449 e di fornire loro assistenza militare contro l'avanzata delle armate di Mehmet, il Conquistatore, fu un ulteriore elemento che contribuì alla rovina ultima di Costantinopoli in mano agli Ottomani nel 1453.
Una particolare fonte di scandalo per l'Oriente ortodosso è che i Crociati fossero impegnati in una Guerra Santa. Il concetto di "guerra santa" non è mai stato accettato da quei fedeli, ed è per questo che il sostegno del Patriarca Kyrill all'«invasione russa» dell'Ucraina viene così contrastato all'interno della corrente tradizionalista.
In Occidente, invece, almeno dai tempi di Sant'Agostino e della sua Teoria della "Guerra Giusta", poi ampliata da San Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica, si accetta da tempo il fatto che esistano circostanze per cui lo scontro possa essere giustificato: ad esempio se il conflitto debba essere combattuto per il "bene comune".
I Bizantini evitavano la guerra il più possibile, affidandosi invece alla diplomazia ed anche all'uso della corruzione pur di raggiungere i loro obiettivi di politica estera. Tuttavia, accettarono pure che ci fossero frangenti in cui l'«oikoumene» – ossia la gerarchia ordinata di Stati cristiani ortodossi subordinati e legati da una comune fedeltà all'imperatore di Bisanzio – potesse ricorrere alla forza armata per proteggere l'integrità del proprio popolo.
È importantissimo notare che, per essi, l'Impero non esisteva per scopi di profitto materiale o di "progresso" politico e sociale, ma piuttosto per fornire le condizioni materiali di base all'interno delle quali i sudditi dell'Imperatore potessero perseguire il loro unico, supremo dovere e scopo nella vita: la ricerca della deificazione (theosis), o unione con Dio. Questa ricerca richiedeva che l'uomo fosse in grado di dominare se stesso fino a cessare di essere una "creatura dell'appetito".
I Bizantini credevano fermamente che uno dei più sacri doveri dell'Imperatore fosse quello di comportarsi come katechon, "colui che trattiene" (2 Tessalonicesi 2, 6-7), un concetto biblico sviluppato dagli stessi in una filosofia politica, secondo la quale il dovere primario del massimo esponente del governo consisteva nell'agire come freno all'ascesa dell'Anticristo.
Qualsiasi seria minaccia alla vita dell'Impero, fintanto che questo era guidato da un Imperatore consapevole del suo dovere di "fare da baluardo", sollevava, secondo i cittadini, la possibilità della vittoria del Nemico e simulatore del Cristo.
Il presidente russo Vladimir Putin viene equiparato da tanti nel mondo ortodosso ad un katechon del XXI secolo, una visione ovviamente molto diversa da quella che prevale nei circoli decisionali in Occidente e tra i nostri media.
Nonostante le recenti affermazioni di vari organi di stampa occidentali secondo i quali Putin si diletterebbe nell'«occulto» e amerebbe discutere di politica sulle armi nucleari con «sciamani mongoli» – come è stato descritto in un recente articolo del quotidiano britannico The Times – è innegabile che il Presidente sia un cristiano ortodosso russo praticante, che frequenta regolarmente la Divina Liturgia e si fa guidare da direttori spirituali cristiani, noti come starets, nonché dal suo confessore padre Tikhon Shevkunov, che ha diretto pure il film menzionato sopra: "La Caduta di un Impero".
Così, come in parecchi nel mondo ortodosso ritengono che per indebolire l'Impero bizantino – e massimizzarne i profitti –
l'Occidente tardo-medievale abbia fomentato la separazione della Serbia e della Bulgaria dal medesimo, similmente, intorno al 2004,
il grande scrittore russo Alexander Solzhenitsyn avvertì Vladimir Putin che l'Occidente neoliberale guidato dagli Stati Uniti avrebbe avviato lo smembramento della Russia incoraggiando la sua "balcanizzazione". (Ved.
QUI; ndt).
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Solzhenitsyn e Putin il 12 giugno 2007 |
Il grande pensatore affermava che questa politica sarebbe stata giustificata in nome del "progresso" liberale, incoraggiando i "diritti" delle parti costitutive dell'Impero russo ad esercitare il principio di autodeterminazione, e a staccarsi sottraendosi alla sua influenza.
In realtà, secondo alcuni, la disgregazione della Russia non avrebbe nulla a che fare con degli alti principi morali, e con l'indebolimento della sua sovranità per aprirla invece allo sfruttamento mercantile di interessi esterni.
Alexander Solzhenitsyn, inizialmente ateo e in seguito cristiano ortodosso, si collocò all'interno della tradizione "slavofila" degli intellettuali russi, la cui convinzione principale era che il loro popolo rientrasse in una speciale elezione da "destino unico"
agendo da catalizzatore per la trasformazione spirituale del mondo. (Cfr.
QUI,
QUI e
QUI;
ndt).
Gran parte della ragione di questa antica credenza deriva dallo "status" di confine tra Oriente e Occidente, a lungo ritenuto come un preliminare necessario per l'emergere di una nuova civiltà.
Le persone occidentali "sofisticate", naturalmente, si fan beffe dell'idea che un popolo abbia un "destino unico donato da Dio", ma molti dei più grandi intellettuali partoriti dalla Russia, tra cui, ad esempio, Fëdor M. Dostoevskij e Vladimir S. Solov'ëv, hanno aderito pienamente alla visione che la fa portatrice di una missione divina.
Se una etnia pensa di discendere da Dio ‒ e non tanto dalle scimmie ‒ non c'è da stupirsi se crede di avere un compito superiore da compiere nella vita.
Gli "slavofili" del '700 e '800 erano particolarmente impegnati nel problema di come rispondere nel modo migliore alle idee condizionate dall'Illuminismo che iniziarono a penetrare nel loro paese provenienti dall'Occidente.
Essi credevano fermamente che la propria fede ortodossa fosse una interpretazione del cristianesimo più puro e spiritualmente molto più nobile rispetto alle versioni occidentalizzate, e che la "madre Russia", seppur alla fine del 1800 non fosse ancora del tutto industrializzata, avesse una posizione prevalente di forza.
Ciò, in conseguenza della sua condizione unica di paese cristiano situato al confine tra Est ed Ovest e alla possibilità di imparare dagli errori commessi da quest'ultimo durante il processo di rapida ascesa tecnologica che, secondo gli "slavofili", aveva portato ad una degradazione del carattere, dell'intelligenza e della creatività europei.
I cultori dello slavofilismo non erano imperialisti, anzi erano probabilmente più vicini agli hippy e agli eco-guerrieri dei nostri giorni. Molti, se non la maggior parte, erano come Alexei Khomiakov che aveva prestato servizio nella Guardia dell'Impero, gentiluomini di campagna dall'animo elevato, nutriti dalle tradizioni ascetiche della loro fede ortodossa, con un profondo amore e rispetto per quello che consideravano il carattere esemplare dei contadini russi.
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Alexei Khomiakov (1804 ‒ 1860) autoritratto ‒ poeta, filosofo e teologo, era tra i
maggiori teorici del movimento slavofilo. |
Questi intellettuali erano assolutamente determinati a resistere a qualsiasi tentativo di occidentalizzazione della Russia. Alexei Khomiakov, ad esempio, era famoso per indossare un caftano quando visitava il suo club a Mosca, anziché il classico cappotto europeo che Pietro il Grande aveva ordinato alla nobiltà come parte dei suoi sforzi per "modernizzare" la nazione.
La loro ottica era quella di una Russia transnazionale e decentrata, basata su un sistema di repubbliche di villaggio (un po' come la visione di Gandhi per un'India post‒indipendenza) tenute insieme da una guida a figura paterna, lo zar autocrate, protettore della fede ortodossa, spiritualmente legato al servizio del suo popolo attraverso l'atto di unzione solenne, nel momento della sua incoronazione.
La visuale slavofila del mondo, dunque, era quella di una fratellanza universale dell'uomo, come delineò in modo eloquente Dostoevskij nel suo famoso "Discorso di Puškin".
Si dice che quando Solzhenitsyn incontrò Putin nel 2000, ci fu uno scambio di vedute sul modo migliore per ricostruire la Russia, anche se si mormora che il filosofo, in seguito, espresse disappunto per l'incapacità del Presidente di dare la giusta priorità alle azioni mirate a prevenire l'imminente catastrofe ecologica.
Putin, da parte sua, fu particolarmente colpito dall'attenzione dello scrittore per quella che chiamò «la grande catastrofe degli anni '90», un modo per descrivere che dopo la caduta dell'Unione Sovietica 25 milioni di russi si erano improvvisamente trovati fuori dalla loro patria.
La domanda che Solzhenitsyn riteneva che i russi dovessero porsi era: "Il nostro popolo sarà o non sarà?". Egli pensava, infatti, che i suoi compatrioti non fossero tanto un'identità etnica quanto un'unica e sola coscienza, e che un qualsivoglia loro smembramento, come ad esempio la divisione delle genti slave, avrebbe portato alla morte definitiva dello spirito russo, con tutti gli effetti negativi che tale perdita avrebbe causato al mondo intero.
Alla luce di tutto ciò, non è irragionevole comprendere l'«operazione speciale» di Vladimir Putin in Ucraina [luogo in cui il popolo ruteno (da Ruthenia = Ucraina; ndt) è rimasto unito sin dal principio nella fede cristiana] per tentare di proteggere la particolare coscienza spirituale della Russia, che Solzhenitsyn reputava destinata ad appassire e a morire se i leader russi ne avessero permesso la disgregazione.
Nota mia
[Qui mi inserisco perché, forse a motivo del sito americano per cui scrive l'autore, e per giunta di stampo cristiano, egli non si è sentito di sbilanciarsi troppo sul motivo dell'intervento, definito dai media "in modo piuttosto spiccio" invasione o, peggio ancora, aggressione di Putin al territorio ucraino, il 24 febbraio 2022.
Mark Jenkins, infatti, non ha menzionato per nulla gli accordi non rispettati di Minsk (ved. QUI) né le continue provocazioni inflitte alla Russia, negli anni precedenti, da parte della politica statunitense e della NATO per indurla a reagire dopo i circa 16.000 morti e quasi 2 milioni di profughi di cittadini ucraini, residenti nella regione del Donbass, assolutamente russofoni.
Suggerisco di leggere QUI, le serie e profonde ragioni della drastica decisione del presidente Putin, a seguito del colpo di stato avvenuto nel 2014, descritto anche da me QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI che, dopo questa breve e doverosa digressione, lascio il campo al proseguo dell'articolo in corso; ndt].
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Espansione della NATO dal 1949 al 2024. Ved. QUI |
Il drammaturgo francese Honoré de Balzac disse che "dietro ogni fortuna c'è un crimine". Una delle giustificazioni per l'autocrazia bizantina era che essa doveva fungere da controllo contro il tipo di corruzione oligarchica che aveva contribuito al crollo della Roma pagana.
Sebbene l'aristocrazia russa fosse invisa da molti per essersi lasciata occidentalizzare fortemente, diversi suoi esponenti usavano sempre la propria lingua per relazionarsi con i rispettivi servitori, e c'era un legame assai stretto fra contadini e possidenti.
Era stato lo zar Alessandro II, ad esempio, ad imporre la emancipazione dei servi della gleba (ved.
QUI) ed era a tali sovrani che questi si rivolgevano espressamente allorché sentivano che i loro diritti venivano conculcati dalle élite governative di San Pietroburgo.
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"Servi della gleba" in Russia, di autore anonimo |
(Cambiando tema l'autore continua)... Uno degli argomenti della campagna elettorale che precede le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre è la diffusa sfiducia nei confronti di quella che il Presidente Donald Trump ha definito la "palude di Washington", e che Robert F. Kennedy Jr. ritiene sia stata pervasa dalla corruzione imprenditoriale e abbia poi causato innumerevoli danni alla salute fisica e ambientale degli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, il candidato alla vicepresidenza JD Vance è noto per essere stato coinvolto in conversazioni sul fatto che il perseguimento della crescita economica da parte dell'America, pietra miliare del profitto aziendale, sia davvero favorevole alla salute della nazione.
Se i repubblicani vinceranno le prossime elezioni potrebbe emergere un forte grado di sinergia tra le politiche anti-establishment del Presidente Trump, del Vicepresidente Vance, di John F. Kennedy Jr e del Presidente Putin, tutti portatori di una profonda diffidenza nei confronti delle potenti élite oligarchiche globali – i tipi di personaggi che hanno messo in ginocchio sia Bisanzio, nel tardo Medioevo, che la Russia negli anni Novanta.
E le stesse, come sostengono alcuni negli Stati Uniti, spinte da una fede illusoria nei falsi dei della crescita economica e del "progresso" umano, sono più che capaci di mettere in ginocchio l'America. (E non solo questa, ma l'intera umanità, con l'aiuto di Satana, come stiamo vedendo e sperimentando, purtroppo, da quasi cinque anni a questa parte; ndt).
Mark Jenkins
Chiosa di Sebirblu
Concludo esponendo ciò che disse ai
giornalisti Benedetto XVI su Vladimir Putin, dopo una visita
ufficiale di questi alla Santa Sede:
«L'incontro con Putin è stato
interessante. Abbiamo parlato tedesco, lo conosce perfettamente. Non
abbiamo fatto discorsi profondi, ma credo che egli – uomo di potere
– sia toccato dalla necessità della fede. È un realista.
Vede che la Russia soffre per la
distruzione della morale. Anche come patriota, come persona che vuole
riportarla al ruolo di grande potenza, capisce che la distruzione del
cristianesimo minaccia di distruggerla. Si rende conto che l'uomo ha
bisogno di Dio e ne è certo intimamente toccato.»
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