Tito Ridolfi: Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321) |
Dalla Terra al Cielo
Il Centro Studi Metapsichici di
Camerino pubblicò nel 1974 il poema "Dalla Terra al Cielo"
offrendo così la stupefacente opportunità a tutti di leggere e
conoscere un nuovo Dante, un Dante inedito.
Attraverso l'Ultrafanìa (cfr. QUI e QUI),
l'Entità che nel tempo fu Dante Alighieri, dettò "post-mortem"
centinaia e centinaia di versi che indubbiamente turbano i lettori, specialmente
gli scettici che ad essi si accostano, ma che insigni dantisti hanno
riconosciuto come autentici.
Questo prezioso volumetto costituisce
con il suo contenuto il perfezionamento della Divina Commedia, perché
l'eccelso Autore descrive, per testimonianza diretta, la realtà
della reincarnazione (cfr. QUI, QUI, QUI, QUI e QUI) negata invece dalla dottrina
cristiana sin dall'epoca di Costantino con il Concilio di Nicea del
325 d.C.
L'opera, complessivamente, si presenta
come riflessione drammatica e personale dello Spirito di Dante che
medita, dopo il trapasso, sulle leggi universali che regolano la Vita
e l'Oltre, dalla Terra al Cielo appunto, proponendosi l'obbiettivo di
illuminare l'uomo sulla via del Risveglio attraverso il ricordo e la
dettagliata descrizione della sua esperienza postuma. (Cfr. anche QUI).
Egli mette di nuovo in scena se stesso,
e questa volta è protagonista vero della propria esperienza spirituale (e non
soltanto veggente ispirato come lo era al tempo della sua immortale
stesura letteraria).
Domenico Peterlin: "L'Esilio di Dante" |
D'altra parte il poema è un accorato
appello all'intera Umanità, un sacro tentativo di stabilire un ponte
tra l'invisibile Regno dello Spirito e il nostro mondo, affinché le
sue ardenti esortazioni siano uno sprone per tutti gli Esseri in
cammino.
Ne è segno manifesto l'incipit stesso:
"O popol che t'appresti al grande
passo
per superar la soglia della morte
non cadere nel tragico collasso
de li peccata e fa' che tu sia forte:
vicin ti guata il demone maligno
perché diventi tua la sua mal sorte,
fuggi quindi l'invito e quinci il
ghigno
acciocché tu possa salir festoso
nel Regno di Colui giusto e benigno.
Risveglia il grande amor che tu hai
nascoso
sopito ognor nell'anima e nel petto,
onde lungi gittar l'aere nebbioso;
Ché se il tuo cuor fuggesse dal mio
detto,
che predica l'amor puro e perenne
luminando la vita e l'intelletto,
nell'ora ch'è fatale e ch'è solenne,
al sorpassar dell'immortale soglia,
comprenderai che allor non ti
convenne."
In questa prima sezione emerge in tutta
chiarezza che la qualità della vita dopo la "morte" ‒ il
"tragico collasso" (espressione quanto mai potente ed
incisiva) ‒ dipende dalla nostra adesione più o meno accentuata
agli allettamenti materiali che oscurano l'intelletto e impediscono
all'amore sopito in noi di emergere e dissolvere così l'offuscamento del cuore e della mente: l'aere nebbioso.
Raccomanda perciò all'Umanità di
ascoltarlo e di mettere in espansione l'Amore puro e solenne se non
ci si vuol pentire per non averlo fatto al passaggio dell'immortale
soglia.
Marcel Rieder: "Dante e le amiche di Beatrice" |
Poi, rivolgendosi alla Morte, che non
può nulla contro l'immortalità dello Spirito...
"Non t'affannar, non darti pene e
doglie
col tuo ideal di sterminar le genti...
Non t'affannar, perché come le foglie
che a la triste stagion dei freddi
venti,
allor che la natura sta nel sonno,
morte giacciono e gialle, oppur
cadenti,
ma che al tornar di primavera ponno
brulle rame vestir, così l'amata
falciata gente, per amor del Donno, (di
Dio)
scossa dal suo torpor, risollevata
d'ogni bassa tristezza e sofferenza,
nel mondo tornerà rinnovellata.
Nuova per suo vigor, per sua
esperienza,
l'antichi errori trova e li corregge
migliorando così la sua esistenza:
china quindi di fronte a l'Alta Legge,
tetra regina il volto tuo regale,
ch'è più regal di te Chi tutto
regge!"
In quest'altra magnifica parte,
l'Alighieri paragona l'avvicendarsi delle foglie, che rispuntano ad
ogni primavera dopo essere cadute sbiadite e morte, alla rinascita
dell'uomo che ritorna nel mondo per correggere i suoi errori e
migliorare ancor più la propria evoluzione.
È veramente notevole questa ulteriore
testimonianza sulla realtà reincarnativa, in special modo proveniente da
chi, come Dante, fu cattolico fermamente convinto della sua
inesistenza!
Giuseppe Bertini: "L'incontro di Dante con frate Ilario" |
E prosegue, instillando in noi tutti, con i
suoi portentosi versi, la dolce sicurezza nella continuità della
vita...
"Di fatto, prima ancor ch'io fui
sepolto,
d'esser vivo, pur morto, ebbi certezza
e il problema del poi ebbi risolto."
Ma se i primi tre canti costituiscono
di fatto un monito ed un ammaestramento alla sempre vacillante
umanità, è il quarto a descrivere l'incontro ancora una volta con
Virgilio, la sua guida illuminata, sempre pronta ad incoraggiarlo e a
condurlo passo passo lungo l'erto cammino ascensionale:
"Chi sulla Terra ispirazion mi
diede
e in mio pensier fu guida al grande
viaggio,
fu da Colui che tutto presiede
a me assegnato qual lucente raggio,
qual guida che m'aiuti al gran capire
col suo spirituale alto linguaggio."
E Virgilio spiega, preparando Dante ad
affrontare l'auto-giudizio con la visione del suo stesso "nastro
di vita" (cfr. QUI), come l'ineguagliabile gioia per la
Conoscenza superiore non possa essere appannaggio di tutti gli
Spiriti se questi non hanno ottemperato al principio basilare della
Legge di Dio: AMARE.
Continua dicendo che l'aver o no
seguito i precetti divini formerà la materia della "grande
valutazione" che condurrà o alla beatitudine o al dolore
cocente per il rimorso. Il Poeta, già ansioso per la sua sorte
futura, prende queste parole come preannuncio di una sentenza
sfavorevole.
William Adolphe Bouguereau: "Il Rimorso di Oreste" (1862) |
Tremando in sé stesso e incerto se il
frutto della sua semina in vita avrebbe dato floride spighe o sterpi,
così si esprime:
"Volgi – dissi – vêr me, che
sì turbato
sono al tuo dir rimasto, il bel parlare
prima che mi tuffi ne lo mio passato:
In questo, dal terren greve spuntare
vedrò floride spighe per buon seme
o sterpi che il mio piè fan
sanguinare.
Io tremo, o Guida, ché il pensier mio
teme
sterpi su spighe e più di quei che
queste,
e quindi offesa a le leggi supreme."
E la temuta disamina della parabola
vitale arriva, infatti, nel settimo e nell'ottavo canto...
"Io bimbo, io giovinetto ed io
attempato
nel compimento d'ogni umana azione
ora nel giusto ed ora nel peccato
e per ciascuna rapida visione
sentiva farsi in me gioia o dolore,
o speme, oppur terror di perdizione."
A seconda delle immagini, che per una
Legge grandiosa, sublime e giusta vengono percepite da ogni Spirito,
la panoramica delle passate vicende produce una diversità di
sentimenti e il giudicare è facile perché nell'alternanza dei
fatti vissuti è istantanea la percezione del bene e del male.
"Nel valutar non ero più un
ignavo;
aveo certezza d'un giudizio digno
per ciascuna compiuta umana azione
per rio proponimento o fin benigno."
Così l'Essere, per l'acquisito senso
di responsabilità, non avrà il coraggio, né l'ardire di chiedere
clemenza se avrà scoperto di aver infranto la Legge di Dio, ma
riterrà giusto auto-punirsi e purificarsi non sentendosi ancora
digno per il Regno della Luce.
Domenico Morelli: Dante e Virgilio nel Purgatorio |
Perciò, con un monito all'Umanità il
Poeta aggiunge:
"Volgetevi al Signor, miseri voi
che per negghiezza sulla
Terra siete ("negghiezza" sta per negligenza)
preda infernal di demoni avvoltoi!
Se al corpo sol la vita dedicaste,
che, di voi, nel veder quanto vid'io?
Che, di voi, nel capir quanto
peccaste?"
Che ne sarà di voi, esorta ancora
Dante, quando vedrete ciò che io ho veduto? Che ne sarà di voi
quando capirete l'immensa vostra cecità spirituale? Quale
tormento?
Io, sembra dire il Poeta riportandosi
ai versi precedenti, non lo provai perché ebbi la
volontà d'essere iniziato alle conquiste dello Spirito sulla Terra; ma voi,
creature umane, che calpestate i valori sostanziali, che questi
rinnegate, deturpate, infrangete, come vivrete il gran momento del
giudizio? Volgetevi a Dio, o voi che chinate gli sguardi al fango
della Terra, alzateli al Cielo!
Jean Léon Gérôme |
E al canto nono, si innalza la potente
preghiera del Sommo Poeta per le umane genti:
"O Tu Immortale Padre dei mortali
cui offristi eterno premio, o Tu
affettuoso
che per le colpe lor, pei loro mali
mezzo donasti giusto ed amoroso
perché nel tempo estinguansi per merto
(si estinguesse per merito)
di penitenza e di soffrir pietoso,
o Tu, Padre, che hai l'eccelso serto
(corona)
fatto di mondi eletti e rifulgenti
che in movimento sono e di concerto,
o Tu, Signor, che spargi tra le genti
le grazie Tue pel Tuo infinito Amore,
fa che i tuoi figli tristi e al male
intenti
sian tolti, per il Ver, dal loro
errore!
Né fa pagar paterna Tua clemenza
ciò che ha voluto tòrre il peccatore
("tòrre" sta per togliere)
di bene al bene insìto in sua
coscienza;
Tu additi ognor salvezza nella fede
e men del novigildo è Tua sentenza."
Poderosa e sublime invocazione al Padre
che aureolato da un eccelso serto fatto di mondi eletti e rifulgenti
permette agli uomini, seppur attraverso la sofferenza, di estinguere
i loro errori esercitando sempre la Sua infinità Bontà nel
giudicarli, astenendosi dal novigildo (pena che condannava il
colpevole a pagare nove volte ciò che aveva sottratto).
Ed è a motivo di questa Bontà divina
che il geniale Autore, sebbene consapevole dei suoi errori
durante l'esistenza fisica, si sente ormai svincolato (disviluppato) dalla Terra e stranamente inserito (perché non se lo aspettava) in
un ambiente luminoso e terso.
"Per le colpe di cui mi sentìa
erede
da quel che m'ero ormai disviluppato
più duol credeo per me, più opaca
sede!
Ma il ben che per Iddio ciascuno ha
oprato
rota più ampia forma in luce e in
forza
sì d'annullare il mal ch'ombra ha
gettato."
Quindi, egli spiega, sono proprio le
opere compiute in vita, dopo essersi risvegliati ed aver preso
coscienza dei propri sbagli verso l'Eterno, che compensano, attenuano
o addirittura eliminano la condanna che si sarebbe meritata.
Cristobal Rojas: Dante e Beatrice sulle rive del Lete |
Infine, il decimo e l'undicesimo canto
del poema postumo si compendiano in una intensa ed accalorata
esortazione del Poeta al genere umano affinché comprenda,
finalmente, l'importanza fondamentale dell'Amore e del Perdono.
"Surga l'amor che voi sopito avete
per vostro agire e favella bugiarda
dell'alma, prima che vi bagni il Lete!
(È il fiume dell'oblio nell'Oltre)
Surga l'amore in voi; dall'alto guarda
Dio ch'Amor vi donò perch'il donaste
e tal donar non sia vostr'opra tarda!
Surga l'amor che voi, nati, serraste
nella coscienza, allor fulgido scrigno,
e fatto immondo poi, perché peccaste!"
"Però l'Amor che invoco e a cui
vi invito
tragge sua forza grande e duratura
dal precetto ch'Ei volle a voi
impartito
per Suo motto, Suo esempio, Sua figura:
«Perdono», né da voi sia mai taciuto
ché dell'eterno albor chiave è
sicura."
Gustave Doré: "Il Cristo è il Salvatore..." |
E si intensificano i versi
nell'undicesimo ed ultimo canto con un fervente invito iniziale a
praticare il gran Comandamento rivolgendosi al Consiglier che giammai
erra, al Cristo-Amore dal Quale scaturirono le immortali parole
indicanti la Via per giungere alla Pace nel mondo.
"O voi che ancor potete della
Terra
pace voler pel gran Comandamento,
correte al Consiglier che giammai erra!
Da Lui torrete il ver convincimento
e dal parlar del Figlio ogni cagione,
sì che Luce sarà vostro ornamento,
come trista m'apparve la visione
della città, quando la voller preda
di fuoco distruttor, non di ragione!"
Quella pace che il Poeta auspica per
l'Umanità intera, prevedendo già, con la sua visione entelica,
l'abisso verso cui è incamminata e che lui stesso visse con la guerra
fratricida nel suo lontano passato.
"Che se nel tristo ier fu sì
funesta
l'opera vil da cui n'ebbe gran pianto
la patria mia, nell'oggi, che più
desta
appare l'ambizion che il bene ha
infranto,
non già morrà una patria ed una sola;
ma il mondo inter potrà perir con
schianto.
Lo ieri fu; l'oggi veloce vola
ed il doman nello sperduto abisso
verso un imo senz'imo, ecco s'invola." (Verso un infimo senza infimo... senza fondo...)
Rafael Flores: "Dante e Virgilio guardano verso l'abisso infernale" |
E componendo i versi con l'usuale sua
maestria e la lirica sublime, l'eccelso Spirito, evolutosi ormai divenendo Entele (significato QUI, al post scriptum), conclude con un appassionato richiamo ai fratelli
della Terra:
"Volgiti, o gente insuperbita e
sciocca,
al Padre Sommo e fuggi dal perverso
come balestro che da corda scocca!
(Come freccia scoccata dall'arco)
Or sul trapasso il tuo pensiero è
terso; (perché ha insegnato che la morte non esiste)
un più alto parlar, fratel, t'aspetta.
Dalla Terra, a quel Ciel che l'universo
ammanta tutto e d'ogni parte getta
luce spiritual su ogn'esser tetro,
io mi rivolgo. E a te, luce diletta
del sublime Maestro, a te, buon Pietro,
l'alta tua guida chiedo all'ire mio.
(ire = andare)
Volgi il tuo passo ed io ti terrò
dietro.
Ch'eternamente sia lodato Iddio!"
A chi Dante può domandare d'essere più
in alto condotto, se non a colui che ricevette dal divino Maestro la
potente investitura di aprire o chiudere l'aurea porta del Regno
celeste? A Pietro, naturalmente... ed è all'Apostolo buono e
semplice che il Poeta si affida: "Volgi il tuo passo ed io ti
terrò dietro".
E questa espressione non poteva che
congiungersi, ad anello, con l'altra della Divina Commedia (Inferno,
1, 136): "...allor si mosse ed io gli tenni dietro..." per
proiettarsi ora, finalmente, verso l'eterna ed incommensurabile Luce
degli Spazi infiniti.
Versi tratti dal poema "Dalla
Terra al Cielo" di Dante Alighieri (post-mortem)