domenica 31 marzo 2019

LO STREPITOSO POEMA di DANTE dettato dall'ALDILÀ!


Tito Ridolfi:  Dante Alighieri (Firenze 1265 - Ravenna 1321)

Dalla Terra al Cielo

Il Centro Studi Metapsichici di Camerino pubblicò nel 1974 il poema "Dalla Terra al Cielo" offrendo così la stupefacente opportunità a tutti di leggere e conoscere un nuovo Dante, un Dante inedito.

Attraverso l'Ultrafanìa (cfr. QUI e QUI), l'Entità che nel tempo fu Dante Alighieri, dettò "post-mortem" centinaia e centinaia di versi che indubbiamente turbano i lettori, specialmente gli scettici che ad essi si accostano, ma che insigni dantisti hanno riconosciuto come autentici.

Questo prezioso volumetto costituisce con il suo contenuto il perfezionamento della Divina Commedia, perché l'eccelso Autore descrive, per testimonianza diretta, la realtà della reincarnazione (cfr. QUIQUIQUIQUI e QUI) negata invece dalla dottrina cristiana sin dall'epoca di Costantino con il Concilio di Nicea del 325 d.C.

L'opera, complessivamente, si presenta come riflessione drammatica e personale dello Spirito di Dante che medita, dopo il trapasso, sulle leggi universali che regolano la Vita e l'Oltre, dalla Terra al Cielo appunto, proponendosi l'obbiettivo di illuminare l'uomo sulla via del Risveglio attraverso il ricordo e la dettagliata descrizione della sua esperienza postuma. (Cfr. anche QUI).

Egli mette di nuovo in scena se stesso, e questa volta è protagonista vero della propria esperienza spirituale (e non soltanto veggente ispirato come lo era al tempo della sua immortale stesura letteraria).


Domenico Peterlin: "L'Esilio di Dante"

D'altra parte il poema è un accorato appello all'intera Umanità, un sacro tentativo di stabilire un ponte tra l'invisibile Regno dello Spirito e il nostro mondo, affinché le sue ardenti esortazioni siano uno sprone per tutti gli Esseri in cammino.

Ne è segno manifesto l'incipit stesso:

"O popol che t'appresti al grande passo
per superar la soglia della morte
non cadere nel tragico collasso

de li peccata e fa' che tu sia forte:
vicin ti guata il demone maligno
perché diventi tua la sua mal sorte,

fuggi quindi l'invito e quinci il ghigno
acciocché tu possa salir festoso
nel Regno di Colui giusto e benigno.

Risveglia il grande amor che tu hai nascoso
sopito ognor nell'anima e nel petto,
onde lungi gittar l'aere nebbioso;

Ché se il tuo cuor fuggesse dal mio detto,
che predica l'amor puro e perenne
luminando la vita e l'intelletto,

nell'ora ch'è fatale e ch'è solenne,
al sorpassar dell'immortale soglia,
comprenderai che allor non ti convenne."

In questa prima sezione emerge in tutta chiarezza che la qualità della vita dopo la "morte" ‒ il "tragico collasso" (espressione quanto mai potente ed incisiva) ‒ dipende dalla nostra adesione più o meno accentuata agli allettamenti materiali che oscurano l'intelletto e impediscono all'amore sopito in noi di emergere e dissolvere così l'offuscamento del cuore e della mente: l'aere nebbioso.

Raccomanda perciò all'Umanità di ascoltarlo e di mettere in espansione l'Amore puro e solenne se non ci si vuol pentire per non averlo fatto al passaggio dell'immortale soglia.


Marcel Rieder: "Dante e le amiche di Beatrice"

Poi, rivolgendosi alla Morte, che non può nulla contro l'immortalità dello Spirito...

"Non t'affannar, non darti pene e doglie
col tuo ideal di sterminar le genti...
Non t'affannar, perché come le foglie

che a la triste stagion dei freddi venti,
allor che la natura sta nel sonno,
morte giacciono e gialle, oppur cadenti,

ma che al tornar di primavera ponno
brulle rame vestir, così l'amata
falciata gente, per amor del Donno, (di Dio)

scossa dal suo torpor, risollevata
d'ogni bassa tristezza e sofferenza,
nel mondo tornerà rinnovellata.

Nuova per suo vigor, per sua esperienza,
l'antichi errori trova e li corregge
migliorando così la sua esistenza:

china quindi di fronte a l'Alta Legge,
tetra regina il volto tuo regale,
ch'è più regal di te Chi tutto regge!"

In quest'altra magnifica parte, l'Alighieri paragona l'avvicendarsi delle foglie, che rispuntano ad ogni primavera dopo essere cadute sbiadite e morte, alla rinascita dell'uomo che ritorna nel mondo per correggere i suoi errori e migliorare ancor più la propria evoluzione.

È veramente notevole questa ulteriore testimonianza sulla realtà reincarnativa, in special modo proveniente da chi, come Dante, fu cattolico fermamente convinto della sua inesistenza!


Giuseppe Bertini: "L'incontro di Dante con frate Ilario" 

E prosegue, instillando in noi tutti, con i suoi portentosi versi, la dolce sicurezza nella continuità della vita...

"Di fatto, prima ancor ch'io fui sepolto,
d'esser vivo, pur morto, ebbi certezza
e il problema del poi ebbi risolto."

Ma se i primi tre canti costituiscono di fatto un monito ed un ammaestramento alla sempre vacillante umanità, è il quarto a descrivere l'incontro ancora una volta con Virgilio, la sua guida illuminata, sempre pronta ad incoraggiarlo e a condurlo passo passo lungo l'erto cammino ascensionale:

"Chi sulla Terra ispirazion mi diede
e in mio pensier fu guida al grande viaggio,
fu da Colui che tutto presiede

a me assegnato qual lucente raggio,
qual guida che m'aiuti al gran capire
col suo spirituale alto linguaggio."

E Virgilio spiega, preparando Dante ad affrontare l'auto-giudizio con la visione del suo stesso "nastro di vita" (cfr. QUI), come l'ineguagliabile gioia per la Conoscenza superiore non possa essere appannaggio di tutti gli Spiriti se questi non hanno ottemperato al principio basilare della Legge di Dio: AMARE.

Continua dicendo che l'aver o no seguito i precetti divini formerà la materia della "grande valutazione" che condurrà o alla beatitudine o al dolore cocente per il rimorso. Il Poeta, già ansioso per la sua sorte futura, prende queste parole come preannuncio di una sentenza sfavorevole.


William Adolphe Bouguereau: "Il Rimorso di Oreste" (1862)

Tremando in sé stesso e incerto se il frutto della sua semina in vita avrebbe dato floride spighe o sterpi, così si esprime:

"Volgi – dissi – vêr me, che sì turbato
sono al tuo dir rimasto, il bel parlare
prima che mi tuffi ne lo mio passato:

In questo, dal terren greve spuntare
vedrò floride spighe per buon seme
o sterpi che il mio piè fan sanguinare.

Io tremo, o Guida, ché il pensier mio teme
sterpi su spighe e più di quei che queste,
e quindi offesa a le leggi supreme."

E la temuta disamina della parabola vitale arriva, infatti, nel settimo e nell'ottavo canto...

"Io bimbo, io giovinetto ed io attempato
nel compimento d'ogni umana azione
ora nel giusto ed ora nel peccato

e per ciascuna rapida visione
sentiva farsi in me gioia o dolore,
o speme, oppur terror di perdizione."

A seconda delle immagini, che per una Legge grandiosa, sublime e giusta vengono percepite da ogni Spirito, la panoramica delle passate vicende produce una diversità di sentimenti e il giudicare è facile perché nell'alternanza dei fatti vissuti è istantanea la percezione del bene e del male.

"Nel valutar non ero più un ignavo;

aveo certezza d'un giudizio digno
per ciascuna compiuta umana azione
per rio proponimento o fin benigno."

Così l'Essere, per l'acquisito senso di responsabilità, non avrà il coraggio, né l'ardire di chiedere clemenza se avrà scoperto di aver infranto la Legge di Dio, ma riterrà giusto auto-punirsi e purificarsi non sentendosi ancora digno per il Regno della Luce.


Domenico Morelli: Dante e Virgilio nel Purgatorio

Perciò, con un monito all'Umanità il Poeta aggiunge:

"Volgetevi al Signor, miseri voi
che per negghiezza sulla Terra siete ("negghiezza" sta per negligenza)
preda infernal di demoni avvoltoi!

Se al corpo sol la vita dedicaste,
che, di voi, nel veder quanto vid'io?
Che, di voi, nel capir quanto peccaste?"

Che ne sarà di voi, esorta ancora Dante, quando vedrete ciò che io ho veduto? Che ne sarà di voi quando capirete l'immensa vostra cecità spirituale? Quale tormento?

Io, sembra dire il Poeta riportandosi ai versi precedenti, non lo provai perché ebbi la volontà d'essere iniziato alle conquiste dello Spirito sulla Terra; ma voi, creature umane, che calpestate i valori sostanziali, che questi rinnegate, deturpate, infrangete, come vivrete il gran momento del giudizio? Volgetevi a Dio, o voi che chinate gli sguardi al fango della Terra, alzateli al Cielo!


Jean Léon Gérôme 

E al canto nono, si innalza la potente preghiera del Sommo Poeta per le umane genti:

"O Tu Immortale Padre dei mortali
cui offristi eterno premio, o Tu affettuoso
che per le colpe lor, pei loro mali

mezzo donasti giusto ed amoroso
perché nel tempo estinguansi per merto (si estinguesse per merito)
di penitenza e di soffrir pietoso,

o Tu, Padre, che hai l'eccelso serto (corona)
fatto di mondi eletti e rifulgenti
che in movimento sono e di concerto,

o Tu, Signor, che spargi tra le genti
le grazie Tue pel Tuo infinito Amore,
fa che i tuoi figli tristi e al male intenti

sian tolti, per il Ver, dal loro errore!
Né fa pagar paterna Tua clemenza
ciò che ha voluto tòrre il peccatore ("tòrre" sta per togliere)

di bene al bene insìto in sua coscienza;
Tu additi ognor salvezza nella fede
e men del novigildo è Tua sentenza."

Poderosa e sublime invocazione al Padre che aureolato da un eccelso serto fatto di mondi eletti e rifulgenti permette agli uomini, seppur attraverso la sofferenza, di estinguere i loro errori esercitando sempre la Sua infinità Bontà nel giudicarli, astenendosi dal novigildo (pena che condannava il colpevole a pagare nove volte ciò che aveva sottratto).




Ed è a motivo di questa Bontà divina che il geniale Autore, sebbene consapevole dei suoi errori durante l'esistenza fisica, si sente ormai svincolato (disviluppato) dalla Terra e stranamente inserito (perché non se lo aspettava) in un ambiente luminoso e terso.

"Per le colpe di cui mi sentìa erede
da quel che m'ero ormai disviluppato
più duol credeo per me, più opaca sede!

Ma il ben che per Iddio ciascuno ha oprato
rota più ampia forma in luce e in forza
sì d'annullare il mal ch'ombra ha gettato."

Quindi, egli spiega, sono proprio le opere compiute in vita, dopo essersi risvegliati ed aver preso coscienza dei propri sbagli verso l'Eterno, che compensano, attenuano o addirittura eliminano la condanna che si sarebbe meritata.


Cristobal Rojas: Dante e Beatrice sulle rive del Lete

Infine, il decimo e l'undicesimo canto del poema postumo si compendiano in una intensa ed accalorata esortazione del Poeta al genere umano affinché comprenda, finalmente, l'importanza fondamentale dell'Amore e del Perdono.

"Surga l'amor che voi sopito avete
per vostro agire e favella bugiarda
dell'alma, prima che vi bagni il Lete! (È il fiume dell'oblio nell'Oltre)

Surga l'amore in voi; dall'alto guarda
Dio ch'Amor vi donò perch'il donaste
e tal donar non sia vostr'opra tarda!

Surga l'amor che voi, nati, serraste
nella coscienza, allor fulgido scrigno,
e fatto immondo poi, perché peccaste!"

"Però l'Amor che invoco e a cui vi invito
tragge sua forza grande e duratura
dal precetto ch'Ei volle a voi impartito

per Suo motto, Suo esempio, Sua figura:
«Perdono», né da voi sia mai taciuto
ché dell'eterno albor chiave è sicura."


Gustave Doré: "Il Cristo è il Salvatore..."

E si intensificano i versi nell'undicesimo ed ultimo canto con un fervente invito iniziale a praticare il gran Comandamento rivolgendosi al Consiglier che giammai erra, al Cristo-Amore dal Quale scaturirono le immortali parole indicanti la Via per giungere alla Pace nel mondo.

"O voi che ancor potete della Terra
pace voler pel gran Comandamento,
correte al Consiglier che giammai erra!

Da Lui torrete il ver convincimento
e dal parlar del Figlio ogni cagione,
sì che Luce sarà vostro ornamento,

come trista m'apparve la visione
della città, quando la voller preda
di fuoco distruttor, non di ragione!"

Quella pace che il Poeta auspica per l'Umanità intera, prevedendo già, con la sua visione entelica, l'abisso verso cui è incamminata e che lui stesso visse con la guerra fratricida nel suo lontano passato.

"Che se nel tristo ier fu sì funesta
l'opera vil da cui n'ebbe gran pianto
la patria mia, nell'oggi, che più desta

appare l'ambizion che il bene ha infranto,
non già morrà una patria ed una sola;
ma il mondo inter potrà perir con schianto.

Lo ieri fu; l'oggi veloce vola
ed il doman nello sperduto abisso
verso un imo senz'imo, ecco s'invola." (Verso un infimo senza infimo... senza fondo...)


Rafael Flores: "Dante e Virgilio guardano verso l'abisso infernale"

E componendo i versi con l'usuale sua maestria e la lirica sublime, l'eccelso Spirito, evolutosi ormai divenendo Entele (significato QUI, al post scriptum), conclude con un appassionato richiamo ai fratelli della Terra:

"Volgiti, o gente insuperbita e sciocca,
al Padre Sommo e fuggi dal perverso
come balestro che da corda scocca! (Come freccia scoccata dall'arco)

Or sul trapasso il tuo pensiero è terso; (perché ha insegnato che la morte non esiste)
un più alto parlar, fratel, t'aspetta.
Dalla Terra, a quel Ciel che l'universo

ammanta tutto e d'ogni parte getta
luce spiritual su ogn'esser tetro,
io mi rivolgo. E a te, luce diletta

del sublime Maestro, a te, buon Pietro,
l'alta tua guida chiedo all'ire mio. (ire = andare)
Volgi il tuo passo ed io ti terrò dietro.

Ch'eternamente sia lodato Iddio!"

A chi Dante può domandare d'essere più in alto condotto, se non a colui che ricevette dal divino Maestro la potente investitura di aprire o chiudere l'aurea porta del Regno celeste? A Pietro, naturalmente... ed è all'Apostolo buono e semplice che il Poeta si affida: "Volgi il tuo passo ed io ti terrò dietro".

E questa espressione non poteva che congiungersi, ad anello, con l'altra della Divina Commedia (Inferno, 1, 136): "...allor si mosse ed io gli tenni dietro..." per proiettarsi ora, finalmente, verso l'eterna ed incommensurabile Luce degli Spazi infiniti.





Versi tratti dal poema "Dalla Terra al Cielo" di Dante Alighieri (post-mortem)

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