mercoledì 9 aprile 2025

Sei né freddo né caldo? Ti vomiterò dalla Mia Bocca!

 
Giovanni Apostolo nell'isola di Patmos

Sebirblu, 8 aprile 2025

Le Sette Chiese dell'Apocalisse (ai capitoli 2 e 3) erano situate nella provincia romana dell'Asia Minore, l'odierna Turchia, e furono fondate dai primi cristiani risalenti al primo secolo d.C.

I loro nomi erano Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea.

Sull'isola greca di Patmos, il "discepolo amato" in esilio venne incaricato direttamente dal Cristo di scrivere ed inviare un messaggio a ciascuna di quelle comunità che, ancor oggi, rappresentano simbolicamente le chiese di ogni epoca storica, in quanto raffiguranti il Corpo Mistico di Gesù, fino al termine dei giorni.

Vista l'indifferenza generale della gente verso il «sacro», e l'apostasia dilagante nella Chiesa di Roma che adesso ‒ per mano di Bergoglio, il Falso Profeta ‒ ha cambiato il Vangelo, ho deciso di evidenziare ciò che Giovanni scrisse per comando divino all'ultima di tali Chiese:

«All'angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l'Amen, il Testimone fedele e veritiero, il Principio della Creazione di Dio. "Io Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo io ti vomiterò dalla Mia bocca."

Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!" Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Perciò Io ti consiglio di comperare da Me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere.

Tutti quelli che amo, Io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. "Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la Mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con Me. Chi vince lo farò sedere presso di Me sul Mio trono, come anch'Io ho vinto e Mi sono seduto con il Padre Mio sul Suo trono. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".» (Ap. 3, 14-22).

Necessita sapere che non meno di sei città, portavano il nome di Laodicea. Quella menzionata nel testo, si chiama 'Laodicea sul Lido', perché era sulle rive dell'affluente del Meandro.

Si trovava a 65 chilometri a sud-est di Filadelfia ed era vicina a Colosse e a Ierapoli, sicché era posta su un'importante arteria commerciale che univa la principale via dell'interno con le due maggiori strade della costa: quella diretta verso Efeso ad est e quella che andava verso nord-ovest e conduceva a Pergamo.

Fu fondata verso il 250 a. C. da Antioco II, re di Siria e la città portò il nome della sua terribile moglie Laodice. Da qui 'Laodicea', appunto, che significa "come piace al popolo", e questo stigmatizza molto bene lo stato effettivo in cui vivevano i cittadini.



Vestigia di Laodicea, oggi

Un gigantesco ippodromo e tre lussuosi teatri, uno dei quali era grande una volta e mezzo il campo di calcio, era l'orgoglio della città. Le sue ricchezze ci sono descritte dallo storico romano, Tacito. La disponibilità finanziaria permetteva agli abitanti di non dipendere da nessuno.

L'ostentazione delle dovizie e dell'egoismo di massa era tale che, similmente a quanto ho spiegato altre volte QUI, QUI e QUI, nel 60 d.C. si produsse, di conseguenza, un rovinoso terremoto che la smantellò quasi del tutto. Venne restaurata ed abbellita poi, senza sovvenzione alcuna da parte dello stato, durante l'impero di Tiberio e di Nerone.

Vi sono almeno 3 cose che possono essere ricordate come fonti di risorse economiche:

1) La città era nota per le sue operazioni bancarie, e a quell'epoca tutte le transazioni avvenivano soltanto con l'oro. Questo creava un'atmosfera di sicurezza economica.

2) Era conosciuta per la sua fiorente industria tessile. Si producevano tappeti e vestiti pregiati confezionati con lana di Frigia, il cui principale prodotto era una specie di soprabito senza cuciture chiamato "mantello" (2 Timoteo 4, 13).

3) Era la sede di una scuola medica rinomata non soltanto per la presenza di acque termali nella vicina Ierapoli, ma perché si curavano i problemi della vista con un collirio approntato con una 'polvere' detta «balsamo di Frigia».

A nessuna delle Chiese, alle quali il Cristo rivolge il Suo messaggio, sono state fatte menzioni così insistenti sull'economia e sulla relativa condizione sociale come per Laodicea, ma tutte queste notizie sono importanti perché ci aiutano a capire meglio certe allusioni e riferimenti contenuti nella "Lettera" ad essa indirizzata.



Nell'anno 1402 la città fu distrutta interamente (come quella di Efeso) dal brutale esercito di Tamerlano, conquistatore Tartaro. Il suo luogo è oggi un cumulo di macerie, chiamato Eski-Hissar (ossia «vecchio castello») ed è tutto ciò che rimane della fiorente società di un tempo, dopo il "giudizio di Dio" cadutole addosso.

Purtroppo, la comunità cristiana di Laodicea, come spesso accade, si era lasciata influenzare e contaminare dal mondo esterno. Per mancanza di vigilanza, nel giro di pochi decenni, si era del tutto "mondanizzata" tanto da perdere le sue caratteristiche ed acquisire il triste primato di Chiesa peggiore dell'Asia.

Nonostante questa brutta situazione, Dio, nella Sua Grazia, parla ancora per offrire la Sua Salvezza a chi è sensibile alla Sua Voce.

Per questa Chiesa spiritualmente decaduta, disposta ai compromessi, apostata, il Signore non ha una sola parola di lode. Si sarebbe potuto pensare che Gesù trovasse qualcosa per elogiare Laodicea, ma Egli mal sopporta il compromesso e l'apatia spirituale così intensamente da non voler incoraggiare in nessuna maniera una tale specie di cristiani.

La condotta a cui i laodicesi si erano abbandonati richiedeva un trattamento energico: la "Lettera" indirizzata a loro è in gran parte un rimprovero divino progressivamente duro: Egli comincia innanzitutto parlando della Sua Onniscienza, a conferma che il Suo Giudizio è perfetto: "Io Conosco le tue opere"...

Al Signore non sfugge nulla, proprio nulla. Sia che siamo sinceri o falsi, mossi da buoni o cattivi sentimenti, desiderosi o no di fare la Sua volontà, semplici o astuti, il Signore tuona dicendo: "Io Conosco le tue opere"...

"Dove potrei andarmene lontano dal Tuo Spirito, dove fuggirò dalla Tua presenza? Se salgo in Cielo Tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoTi là. Se prendo le ali dell'alba e vado ad abitare all'estremità del mare, anche là mi condurrà la Tua mano e mi afferrerà la Tua destra. Se dico: "Certo le tenebre mi nasconderanno e la Luce diventerà notte intorno a me", le tenebre stesse non possono nasconderTi nulla e la notte per Te è chiara come il giorno; le tenebre e la Luce Ti sono uguali" (Salmo 139, 7-12).





Cosa conosce il Cristo di questa Chiesa?

A.  La sua Tiepidezza.

E necessariamente ripeto:

"Tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido, e non sei né freddo né caldo, Io ti vomiterò dalla Mia bocca" (Apocalisse 3, 15-16).

Prima dell'annuncio evangelico, tali credenti erano stati dei 'freddi', quando avevano accettato il Cristo erano divenuti ardenti e zelanti suoi seguaci. Poi, però, erano caduti in uno stato di assoluta apatia, in una condizione di "tiepidezza". Non erano freddi al punto da rendersi conto del loro bisogno spirituale e non erano caldi abbastanza per piacerGli.

In questo modo non c'era niente che si potesse fare per loro. Il Signore non accetta persone che non può né impiegare né benedire.

Egli, quindi, rigetta un tal genere di persone. Perché il Cristo preferisce che un'anima sia "fredda" piuttosto che "tiepida"? Alcuni studiosi della Scrittura, hanno offerto dei suggerimenti sul motivo per cui un credente "freddo" potrebbe essere preferito ad uno "tiepido".

Essere indifferente è lo stato dell'uomo naturale, agnostico, estraneo all'esistenza spirituale. Il fervoroso è l'essere pervaso interamente dal Fuoco dello Spirito di Dio. Il tiepido è colui che conosce il Vangelo, ma che i mezzi di Grazia e l'Amore infinito del Salvatore non sono riusciti a strapparlo dal mondo e da sé stesso.

Uno stato di freddezza è più schietto, più sincero, più diretto. Non c'è inganno, non c'è simulazione, non c'è pretesa. La persona tiepida, invece, è quasi sempre ipocrita... e spesso risulta pure apparentemente onorevole.

Il tipo freddo o indifferente è qualcuno che, pur nel suo errato modo di ragionare, ha deciso di rigettare il Cristo. Al contrario, colui che sostiene di avere un'idea spirituale e poi non vive in conformità ad essa è una persona incoerente e imprevedibile.

Si può classificare Giuda come un individuo sostanzialmente tiepido. Egli, sebbene legato al Cristo con una pubblica professione di fedeltà, mai si era dato davvero a Lui e, pertanto, alla fine, la sua esperienza cristiana fu un terribile fallimento.

Molto diverso, invece, fu il caso dell'«Apostolo delle genti», Paolo di Tarso: questi era ferocemente avverso al cristianesimo, ma quando si trovò di fronte alla Verità, l'accettò con la massima apertura mentale.


Folgorazione di "Saulo" sulla via di Damasco. Ved. QUI.

E ancora, nel caso di completa freddezza, c'è maggiore speranza di conversione e di ripensamento perché una persona apatica e avulsa ragiona sulla sua posizione ed è abituata a riflettere per accogliere, applicandola a sé stessa, la Realtà allorché riesce a vederla.

Al contrario, lo stato di tepore non porta dal freddo al caldo, ma percorre il cammino inverso. Nel 'tiepido' non c'è né lo zelo, né l'entusiasmo. Egli non è avverso al Cristo ma non è neppure acceso di ardore per conoscere il Vero, per l'amore verso Dio e i suoi simili. Si adagia sulla mediocrità senza smuoversi da lì.

Quelli di Laodicea avevano conosciuto la Verità ed avevano manifestato una fede sincera, poi si erano progressivamente allontanati da tutto ciò... Come l'acqua tiepida è disgustosa e repellente da ingerire, così la tiepidezza spirituale è ostica all'Eterno Padre.

L'unico modo per gioire della vicinanza di Dio è quello di diventare ardenti, operando prima su sé stessi e poi sugli altri, servendoLo, vibranti d'amore e di fede: "Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore" (Romani 12, 11).


B.  Il suo Orgoglio:

Emerge in modo chiaro ed evidente l'orgoglio di tale Chiesa: "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!" Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo" (Apocalisse 3, 17).

L'economia della città di Laodicea era molto florida ed è assai probabile che i credenti del posto partecipassero a tale prosperità. Poiché tutti, in quel luogo, accumulavano ricchezze, nessuno considerava il benessere dei cristiani come una minaccia agli interessi altrui.

Giudei e Gentili erano così indaffarati nell'amministrazione dei beni materiali, che non pensavano affatto ad infastidire o a perseguitare i seguaci del Cristo. A Laodicea non c'erano neppure false dottrine che disturbassero la Chiesa perché i falsi maestri capitati in città si erano dati da fare per arricchirsi, dimenticando qualsiasi altra cosa.

Quell'agglomerato di fedeli, in realtà, si trovava nella più squallida miseria perché ricco unicamente di beni materiali. Data la facilità di procurarsi comodità e ricchezze, i laodicesi cristiani arrivarono a sentirsi completamente soddisfatti. Il denaro e tutte le cose che per mezzo suo ci si poteva procurare li fecero smettere di perseguire quelle spirituali.

Paolo di Tarso aveva appreso a vivere sia nella miseria quanto nell'abbondanza. Egli sapeva sopportare la persecuzione e la perdita di qualsiasi bene, senza amareggiarsi troppo o sentirsi per questo dimenticato da Dio.


Paolo di Tarso, chiamato "Saulo" da Gesù allorché gli è apparso.

Quando aveva oltremisura tutto ciò che gli occorreva, non pensava di averlo meritato e non si lasciava prendere dal materialismo fino ai punto di perdere il suo ardore per la diffusione del Vangelo:

"Non lo dico perché mi trovi nel bisogno, poiché io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell'abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato ad essere saziato e ad aver fame; ad essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica" (Filippesi 4, 11-13).

Purtroppo, i cristiani di Laodicea non avevano imparato questo semplice segreto. La cosa più triste era che ormai essi non si rendevano nemmeno conto di avere delle necessità spirituali. Avendo perduto il desiderio di acquisirle, di conoscere meglio la Parola di Dio, di essere dotati appieno della Potenza dello Spirito Santo, di godere maggiormente la presenza di Gesù, non realizzavano di aver fatto naufragio e di trovarsi in una condizione miserabile.

Vivevano in case bellissime, indossavano vesti eleganti, possedevano mezzi lussuosi per spostarsi, ma tutto questo non era che superficiale apparenza. Il Cristo vedeva sotto la patina, al di là della maschera, li vedeva con gli occhi di Dio. I loro successi e la loro prosperità materiale non facevano testo. Egli considerava quegli pseudo-credenti al pari di compiaciuti individui che ingannavano sé stessi.

Quando gli esseri umani diventano schiavi della loro presunzione e del loro orgoglio, allora possono affermare le peggiori sciocchezze ed asserire: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!"

Queste parole fanno pensare al ricco insensato della parabola. Aveva fatto tutti i suoi piani: nuovi granai, scorte sufficienti, si sentiva al sicuro, ma il Signore gli disse:


"Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".  (Lc. 12, 13-21).  E questo è ciò che avveniva nella Chiesa di Laodicea.


"Il ricco stolto che la stessa notte morì" di Rembrandt Harmensz van Rijn (1627)

Ma i rimproveri di Dio non sono mai fini a sé stessi. Egli non scarta nessuno, non respinge chi non gli è utile, ma continua a sperare in lui:

«Tutti quelli che amo, Io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la Mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con Me» (Apocalisse 3, 18-20).

Malgrado la Tiepidezza e l'Orgoglio di quella comunità di 'credenti', il Signore rivolge ad essa parole di esortazione colme di Grazia. Dio rimane fedele, nonostante la rovina generale della cristianità professante e incoraggia la fede individuale che vi scorge. 

Questo però non modifica in nulla la sentenza pronunciata su uno "spirito spento": lo vomiterà dalla Sua bocca.

Ai cristiani di Laodicea, divenuti tiepidi nei rapporti con l'Altissimo, il Cristo rivela la necessità di scuotersi e di ravvedersi, dimostrando un profondo impegno in un deciso cambiamento di vita e di pensiero. 

Se invece avessero continuato nel tepore o nella cieca indifferenza, seppur con tutto il Suo Amore, Egli li avrebbe "rigettati dalla Sua bocca": questa era la scelta che essi avevano davanti e non c'era altra via di mezzo.

Perciò, non vi è nulla di esagerato nel sostenere che la Lettera alla Chiesa di Laodicea, situata in Asia al tempo di Giovanni, oltre a descrivere il suo stato morale, illustra pure, drammaticamente, l'attuale condizione pietosa in cui giace la cristianità d'oggi, che si crede ancora "Chiesa", ma che in realtà non riconosce più il suo Signore, Gesù Cristo.

Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Spunti e brani rivisitati, corretti e accorciati, presi da QUI.


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