Sebirblu, 10 giugno 2016
Gentili Lettori, vi riporto pari pari
la presentazione apparsa sul retro della copertina di un
piccolo volume, primo di tre, che ho letto qualche anno fa e che
vorrei farvi conoscere per il suo contenuto entusiasmante, scorrevole
ed istruttivo, sia per i bimbi che per gli adulti "sensibili".
Vi affascinerà... e siccome per
evidenti motivi non posso pubblicarlo interamente, vi propongo i due
capitoli iniziali, segnalandovi questo LINK, per proseguire la
lettura od appropriarvene tramite download.
AMI – Un Amico dalle Stelle
"Quest'opera di Enrique Barrios comincia a circolare in Cile nel 1986. Nel giro di tre anni il libro arriva alla 16ª edizione, diventando il più venduto.
Insegnanti ed educatori di molti Paesi
lo adottano come testo di studio per il messaggio straordinario che
trasmette: l'incontro di un bambino con un extraterrestre che gli
mostra qual è la vera Legge che regola l'Universo e che dovrebbe
ispirare le nostre esistenze.
È l'inizio di un viaggio meraviglioso
che porta il protagonista a conoscere i mille misteri che si trovano
nello spazio e dentro ogni persona, per scoprire che in fondo non
sono poi così impenetrabili, basterebbe infatti liberare il cuore
alato che è in ognuno di noi.
Alcuni anni più tardi una copia del
libro viene recapitata a Sua Santità Giovanni Paolo II che dopo
averlo letto invia una benedizione all'autore per l'annuncio d'Amore
Universale contenuto nell'opera, sebbene non si tratti di un testo
religioso."
Premessa
Non è facile scrivere un libro quando
non si è scrittori, tanto meno quando non si è ancora grandi, ma
devo farlo perché me lo ha chiesto un amico venuto dalle stelle:
Ami.
Qui racconterò le stupefacenti ed
incredibili esperienze che ho potuto vivere al suo fianco. Lui mi ha
spiegato che in mondi progrediti come il suo, "adulto" o
"vecchio" significa "persona che ha perso il contatto
con la magia della vita", e che ci sono "vecchi" di
quindici anni e "bambini" di cento...
Mi ha anche avvertito che gli "adulti"
non avrebbero accolto questa informazione, perché per loro è
più facile credere alle cose orribili, anche se false, piuttosto che
alle cose meravigliose, anche se vere.
Per questo preferiscono continuare con
gli "incubi" nei quali vivono e non amano essere svegliati.
Per evitarmi problemi, mi ha raccomandato di dire che tutto questo è
fantasia, una favola. Quindi gli darò retta: questa è una favola...
Avvertenza (diretta solo agli adulti):
"Non continuate a leggere, non vi
piacerà...
quello che viene adesso è sublime."
Tutto cominciò una sera dell'estate
scorsa in un piccolo e tranquillo paese della costa, dove vado in
vacanza con la mia nonnina quasi tutti gli anni. Quella volta avevamo
affittato una casetta di legno: c'erano diversi pini e molti arbusti
nel cortile, e davanti, un giardino pieno di fiori.
Si trovava in periferia, vicino al
mare, lungo un sentiero che portava alla spiaggia. Alla mia nonnina
piace andare in vacanza alla fine dell'estate, quando non c'è più
tanta gente: dice che è più tranquillo e costa meno. Cominciava ad
imbrunire: io ero sugli alti scogli vicini alla spiaggia solitaria e
stavo contemplando il mare.
Improvvisamente vidi nel cielo una luce
rossa, proprio sopra la mia testa: pensai che si trattasse di un
bengala o di uno di quei razzi che si lanciano a Capodanno. Stava
scendendo, cambiava colore e mandava scintille.
Quando si abbassò, capii che non
era un bengala, né un razzo, perché ingrandendosi arrivò ad avere
le dimensioni di un piccolo aeroplano, o di qualcosa di ancora più
grande... Cadde in mare a una cinquantina di metri dalla riva,
davanti a me, senza emettere alcun suono.
Pensai di essere stato testimone di un
disastro aereo e cercai con lo sguardo un paracadutista nel cielo:
non c'era nessuno. Nulla turbava il silenzio e la tranquillità della
spiaggia. Ebbi molta paura e volevo correre a raccontarlo a qualcuno,
ma aspettai un po' per vedere se distinguevo ancora qualcosa.
Quando stavo per andarmene, apparve
qualcosa di bianco che fluttuava nel punto in cui era caduto l'aereo,
o qualunque cosa fosse: qualcuno veniva a nuoto verso gli scogli.
Pensai si trattasse del pilota che si era salvato dall'incidente ed
aspettai che si avvicinasse per cercare di aiutarlo.
Siccome nuotava agilmente, compresi che
non era ferito in malo modo. Quando si avvicinò di più, mi resi
conto che si trattava di un bambino; arrivò agli scogli e prima di
cominciare a salire mi sorrise e mi guardò amichevolmente.
Pensai che fosse felice di essersi
salvato; la situazione non sembrava drammatica per lui e questo mi
calmò un poco. Arrivò in cima alla scogliera, si scrollò l'acqua
dai capelli, ammiccò allegramente in segno di complicità e questo
mi tranquillizzò definitivamente.
Venne a sedersi su una sporgenza della
roccia, vicino a me, sospirò con rassegnazione e si mise a guardare
le stelle che cominciavano a brillare nel cielo.
Sembrava press'a poco della mia età, forse un po' più giovane e più basso, indossava un abito bianco aderente, fatto di qualche materiale impermeabile dato che non era bagnato, e il suo abbigliamento era completato da un paio di stivaletti bianchi con la suola spessa.
Sul petto aveva un simbolo dorato: un cuore alato. II cinturone, dello stesso colore, aveva su ogni lato degli strumenti simili a radioline portatili e al centro una grande fibbia, brillante e molto bella. Mi sedetti vicino a lui e rimanemmo alcuni istanti in silenzio.
Siccome non parlava, gli chiesi che cosa gli fosse successo. "Atterraggio forzato" ‒ rispose ridendo. Era simpatico, aveva un accento abbastanza strano e i suoi occhi erano grandi e pieni di bontà. Pensai che fosse venuto da un altro paese con l'aereo.
Siccome era un bambino, pensai che il
pilota dovesse essere una persona più grande. "Cos'è accaduto
al pilota?" ‒ chiesi. "Niente, è qui seduto accanto a te." ‒ "Ah!" Rimasi stupito. Quel bambino era un fenomeno: alla
mia età, già pilotava gli aerei! Immaginai che i suoi genitori
fossero molto ricchi.
Stava arrivando la notte e infreddolii. Lui se ne accorse, perché mi chiese: "Hai freddo?" "Sì" "La temperatura è gradevole" ‒ mi disse
sorridendo. Sentii che realmente era così. "È vero" risposi.
Dopo qualche minuto gli domandai che cosa
avrebbe fatto. "Porterò a termine la mia missione" ‒ rispose
senza smettere di guardare il cielo. Pensai di avere di fronte un
bambino importante, non come me, che ero solo uno studente in
vacanza.
Lui aveva una missione... forse
qualcosa di segreto?... Non osai chiedergli di che cosa si
trattasse... ma al tempo stesso era un bambino... Tutto mi
sconcertava in lui. "Non si arrabbieranno i tuoi genitori,
quando sapranno che l'aereo che ti avevano comperato è andato
distrutto?"
"Ma non si è distrutto!" ‒ rispose ridendo e mi lasciò ancora più perplesso.
"Non è perduto, non si è rotto completamente?"
"No."
"Come si può tirarlo fuori dall'acqua per ripararlo... o non si può?..."
"Oh, certo! Si può tirarlo fuori dall'acqua."
"Non è perduto, non si è rotto completamente?"
"No."
"Come si può tirarlo fuori dall'acqua per ripararlo... o non si può?..."
"Oh, certo! Si può tirarlo fuori dall'acqua."
Mi osservò con simpatia e aggiunse:
"Come ti chiami?" ‒ "Pierre" risposi, ma qualcosa
cominciava a non piacermi: non rispondeva chiaramente alle mie
domande e cambiava argomento. Faceva il misterioso...
Si accorse della mia irritazione e
questa lo fece ridere. "Non prendertela, Pierre, non
arrabbiarti... Quanti anni hai?" ‒ "Dieci... quasi. E tu?"
Rise molto dolcemente, la sua risata mi ricordò quella di un bimbetto quando gli fanno il solletico.
Mi sembrò che si sentisse superiore a me, dato che pilotava un aereo e io no. Questo non mi piaceva, però
era simpatico, gradevole, non riuscivo a prendermela seriamente con
lui. "Ho più anni di quelli che pensi" ‒ affermò
sorridendo allegramente.
Prese dal cinturone uno di quegli
apparecchi che sembravano radio: era un calcolatore, lo accese ed
apparvero dei segni luminosi, a me sconosciuti. Fece dei calcoli e
vedendo il risultato si mise a ridere più forte e disse: "No,
no... se te lo dicessi, non mi crederesti..."
Arrivò la notte ed apparve una splendida luna piena che illuminava il mare e tutta la spiaggia. Mi piacevano sempre meno gli enigmi di quello strano bambino... o quello che era. Guardai il suo viso con attenzione: non poteva avere più di otto anni, tuttavia sembrava averne molti di più, e pilotava un aereo... Che fosse un nano?
"C'è gente che crede agli
extraterrestri..." accennò distrattamente. Malgrado questa
osservazione mi sembrasse strana, qualcosa mi disse che c'era la
soluzione di quel mistero.
Pensai un bel po', prima di aprir
bocca. Mi osservava con quei suoi occhi pieni di luce, sembrava che
le stelle della notte si riflettessero nelle sue pupille: appariva
troppo bello per essere vero.
Ricordai il suo aereo in fiamme che
cadeva in mare e che, secondo lui, non era rotto... questo era molto
strano, come il suo modo di apparirmi davanti, il suo calcolatore con
quegli strani segni, il suo accento, il suo abito: inoltre, era un
bambino e noi bambini non pilotiamo aerei...
"Sei un extraterrestre?"
Chiesi con un certo timore. "E se lo fossi... avresti paura?"
Fu allora che capii che veniva
veramente da un altro mondo. Mi spaventai un poco, ma il suo sguardo
era pieno di bontà.
"Sei cattivo?" Chiesi
timidamente. Lui rise divertito. "Forse tu sei più cattivello
di me..." ‒ "Perché?" ‒ "Perché sei terrestre."
Compresi che intendeva dire che noi
terrestri non siamo molto buoni: questo mi diede un po' fastidio, ma
per il momento preferii ignorarlo. Decisi di essere molto cauto con
quello straniero. "Sei veramente un extraterrestre?"
"Non spaventarti" mi confortò
sorridendo, ed indicò le stelle continuando: "Questo
Universo è pieno di vita... milioni e milioni di pianeti sono
abitati... C'è molta gente buona, lassù..."
Le sue parole avevano uno strano
effetto su di me, perché nel frattempo io potevo "vedere"
quei milioni di mondi abitati da gente buona. Mi passò la paura e
decisi di accettare senza sorprendermi che lui fosse un essere di un
altro pianeta, soprattutto perché sembrava amichevole ed
inoffensivo.
"Perché dici che noi terrestri siamo cattivi?" Chiesi. Lui continuava a guardare il cielo. "Com'è bello il firmamento visto dalla Terra... Questa atmosfera gli conferisce una lucentezza... un colore..."
Mi irritai nuovamente, non mi stava
rispondendo un'altra volta e inoltre non mi piace che mi ritengano
cattivo, perché non lo sono; anzi, a quel tempo io da grande volevo
fare l'esploratore e dare la caccia ai cattivi nei momenti liberi...
"Là, nelle Pleiadi, c'è una
civiltà meravigliosa..."
"Non tutti siamo cattivi, qui..."
"Guarda quella stella... era così un milione di anni fa... non esiste più..."
"Ti ripeto che non siamo tutti cattivi, qui. Perché hai detto che siamo tutti cattivi? Eh?"
"Io non ho detto questo" ‒ rispose senza smettere di guardare il cielo. Lo sguardo gli brillava. "È un miracolo..."
"SÌ, L'HAI DETTO!" Quando
alzai la voce, riuscii a tirarlo fuori dai suoi sogni: era come una
mia cugina quando contempla la foto del suo cantante preferito, è
pazza di lui. Mi guardò attentamente, ma non sembrava arrabbiato con
me.
"Volevo dire che alcuni terrestri,
di solito, sono meno buoni degli abitanti di altri mondi dello
spazio."
"Vedi? Stai dicendo che siamo i
più cattivi dell'Universo!"
Rise di nuovo e mi accarezzò i
capelli. "Non volevo neanche dire questo, Pierre."
Questo mi piacque ancora meno. Ritrassi
la testa: mi dà fastidio che mi considerino uno scemo, perché sono
uno dei primi della classe e inoltre sto per compiere dieci anni...
"Se questo pianeta è così cattivo, allora che cosa ci fai qui?"
"Hai notato come la luna si
specchia sul mare?" Continuava ad ignorarmi e a cambiare
argomento.
"Sei venuto a dirmi di prestare
attenzione al riflesso della luna?"
"Forse... Ti sei accorto che
stiamo fluttuando nell'Universo?"
Quando mi disse così, credetti di comprendere la verità: quel bambino era pazzo. Certo! Si credeva un extraterrestre, per questo parlava di cose tanto assurde. Volevo andarmene a casa, mi sentivo male per aver creduto alle sue storie fantastiche.
Forse mi aveva preso in giro...
Extraterrestre... e io gli avevo creduto! Mi vergognai, mi arrabbiai
con me stesso e con lui. Mi venne voglia di dargli un bel pugno sul
naso.
"Perché, è così brutto il mio
naso?..."
Rimasi paralizzato, ebbi paura. Mi
aveva letto nel pensiero?... Lo guardai e sorrideva trionfante. Ma
non volevo arrendermi, preferivo pensare che fosse stato un caso, una
coincidenza fra quello che io avevo pensato e quello che lui aveva
detto.
Non mi mostrai sorpreso, forse era
vero, ma dovevo verificarlo. Forse avevo di fronte un essere di un
altro mondo, un extraterrestre che poteva leggere il pensiero... O
forse avevo davanti un pazzo... Decisi di fare una prova.
"Che cosa sto pensando adesso?" Chiesi, e mi immaginai una torta di compleanno.
"Non ti bastano le prove che hai già?" ‒ domandò.
Io non ero disposto a cedere di un millimetro. "Quali prove?"
"Non ti bastano le prove che hai già?" ‒ domandò.
Io non ero disposto a cedere di un millimetro. "Quali prove?"
Allungò le gambe ed appoggiò i gomiti
sulla roccia. "Vedi, Pierre, c'è un altro tipo di realtà,
altri mondi più sottili, con porte sottili per intelligenze
sottili..."
"Che cosa significa «sottili»?"
"Con quante candeline?..." ‒ chiese sorridendo.
Fu come un pugno allo stomaco. Mi venne
voglia di piangere, mi sentivo stupido e maldestro. Gli chiesi scusa,
ma non si era risentito, non ci badò e si mise a ridere. Decisi che
non avrei più dubitato di lui.
2. Pierre volante
"Vieni a riposarti a casa mia"
‒ proposi, perché era già sera.
"Non coinvolgiamo gli adulti nella
nostra amicizia" ‒ disse ‒ arricciando il naso mentre
sorrideva.
"Ma io devo andarmene..."
"La tua nonnina dorme
profondamente, non sentirà la tua mancanza se parliamo un pochino."
Di nuovo mi sorprese e destò la mia
ammirazione: come sapeva della mia nonnina?... Allora ricordai che
era un extraterrestre... e che poteva conoscere i miei pensieri...
"Non solo questo, Pierre" ‒
disse ‒ leggendo la mia mente, "ho anche visto dalla mia nave
che era sul punto di addormentarsi..."
Poi esclamò entusiasta:
Poi esclamò entusiasta:
"Andiamo a passeggiare sulla
spiaggia!" Si alzò di scatto, corse verso il ciglio
dell'altissimo scoglio e... si lanciò nel vuoto!...
Pensavo che si sarebbe ucciso: corsi a
guardare pieno di angoscia. Non riuscivo a credere a quello che
vedevo: scendeva lentamente, planando con le braccia stese nell'aria,
come un gabbiano!
Immediatamente ricordai che non dovevo
sorprendermi troppo per quello che faceva quell'allegro e
straordinario bambino delle stelle. Scesi dalla roccia come potei,
con grande attenzione e mi unii a lui sulla spiaggia.
"Come fai?" Chiesi,
riferendomi al suo incredibile atterraggio.
"Sentendomi un uccello"
rispose e si mise a correre allegramente fra il mare e la sabbia.
Pensai che mi sarebbe piaciuto fare come lui, ma non riuscivo a
sentirmi così libero e allegro.
Aveva di nuovo percepito il mio
pensiero. Venne vicino a me per incoraggiarmi e disse con
grande entusiasmo:
"Andiamo a correre e saltare come passeri!"
Mi prese per mano e sentii una grande energia: cominciammo a correre per la spiaggia.
"Andiamo a correre e saltare come passeri!"
Mi prese per mano e sentii una grande energia: cominciammo a correre per la spiaggia.
"Ora... saltiamo!"
Lui riusciva ad alzarsi molto più di me e mi spingeva verso l'alto con la mano. Sembrava che rimanesse sospeso nell'aria alcuni istanti, prima di cadere sulla sabbia. Continuavamo a correre ed ogni tanto facevamo un salto.
Lui riusciva ad alzarsi molto più di me e mi spingeva verso l'alto con la mano. Sembrava che rimanesse sospeso nell'aria alcuni istanti, prima di cadere sulla sabbia. Continuavamo a correre ed ogni tanto facevamo un salto.
"Siamo uccelli, siamo uccelli!"
Mi incoraggiava, mi inebriava.
Poco a poco smisi di pensare come al solito, cominciai a cambiare, non ero più quello di sempre. Animato dal bambino extraterrestre, mi decisi ad essere leggero come una piuma, stavo a poco a poco accettando l'idea di essere un uccello.
"Adesso... su!"
Poco a poco smisi di pensare come al solito, cominciai a cambiare, non ero più quello di sempre. Animato dal bambino extraterrestre, mi decisi ad essere leggero come una piuma, stavo a poco a poco accettando l'idea di essere un uccello.
"Adesso... su!"
Constatai stupito che cominciavamo a
librarci in aria per alcuni istanti. Ricadevamo dolcemente e
continuavamo a correre, per poi sollevarci di nuovo: ogni volta lo
facevamo meglio, era stupefacente...
"Non sorprenderti... tu puoi...
adesso!"
Ad ogni tentativo era più facile
riuscirci. Stavamo correndo e saltando come al rallentatore sulla
riva, sotto il cielo pieno di stelle e con la luna. Sembrava un altro
modo di essere, un altro mondo.
"Con amore per il volo!" Mi incoraggiava. Dopo un po' lasciò andare la mia mano.
"Con amore per il volo!" Mi incoraggiava. Dopo un po' lasciò andare la mia mano.
"Tu puoi, sì, puoi!" Non
smetteva di trasmettermi fiducia, mentre correva al mio fianco.
"Adesso!" Ci alzavamo lentamente, ci libravamo nell'aria per parecchi secondi e cominciavamo a scendere molto dolcemente, quasi planando, con le braccia tese.
"Adesso!" Ci alzavamo lentamente, ci libravamo nell'aria per parecchi secondi e cominciavamo a scendere molto dolcemente, quasi planando, con le braccia tese.
"Bravo, bravo!" Si
congratulava. Non so per quanto tempo giocammo quella notte: per me
fu come un sogno. Quando mi sentii stanco, mi gettai sulla sabbia,
ansando e ridendo felice. Era stato fantastico, un'esperienza
indimenticabile.
Non lo dissi, ma in cuor mio ringraziai
il mio strano amichetto per avermi permesso di realizzare cose che
ritenevo impossibili. Non sapevo ancora niente delle sorprese che mi
aspettavano quella notte...
Le luci di uno stabilimento balneare
più grande brillavano sull'altro lato della baia. Il mio amico
contemplava deliziato i mobili riflessi sulle acque notturne,
estasiato, steso sulla sabbia inondata dal chiarore lunare. Poi si
entusiasmava guardando la luna piena.
"Che meraviglia... non cade!" ‒ rideva ‒ "questo tuo pianeta è bellissimo!"
"Che meraviglia... non cade!" ‒ rideva ‒ "questo tuo pianeta è bellissimo!"
Io non avevo mai pensato che lo fosse, ma adesso che lo diceva lui... sì, era bello avere le stelle, il mare, la spiaggia, e una luna così bella sospesa lì... e per di più, non cadeva...
"II tuo pianeta, non è bello?"
Chiesi.
Sospirò profondamente, guardando un
punto nel cielo, alla nostra destra.
"Oh, sì, anche lui lo è, ma tutti noi lo sappiamo e ne abbiamo cura..."
"Oh, sì, anche lui lo è, ma tutti noi lo sappiamo e ne abbiamo cura..."
Ricordai che aveva insinuato che noi
terrestri non siamo troppo buoni. Credetti di comprendere uno dei
motivi: noi non apprezziamo il nostro pianeta, non ne abbiamo cura,
mentre essi lo fanno con il loro.
"Come ti chiami?" La mia
domanda lo fece ridere.
"Non te lo posso dire."
"Perché, è un segreto?"
"Macché! E solo che non esistono nella tua lingua quei suoni."
"Quali suoni?"
"Quelli del mio nome."
Questo mi sorprese, avevo pensato che parlasse la mia lingua, anche se con un altro accento; ma subito ricordai che se sulla Terra ci sono cento o mille lingue e dialetti differenti, nel resto dell'Universo ce ne dovrebbero essere milioni.
"Allora, come hai imparato a
parlare la mia lingua?"
"Non la parlerei e non la
comprenderei... se non avessi questo" ‒ rispose ‒ mentre
prendeva un apparecchio dal suo cinturone.
"Questo è un «traduttore». È uno strumento che esplora il tuo cervello alla velocità della luce e mi trasmette quello che vuoi dire: così posso comprenderti, e quando devo dire qualcosa, mi fa muovere le labbra e la lingua come faresti tu... beh... quasi come te. Niente è perfetto..."
"Questo è un «traduttore». È uno strumento che esplora il tuo cervello alla velocità della luce e mi trasmette quello che vuoi dire: così posso comprenderti, e quando devo dire qualcosa, mi fa muovere le labbra e la lingua come faresti tu... beh... quasi come te. Niente è perfetto..."
Ripose il «traduttore» e si mise a
contemplare il mare, mentre si stringeva le ginocchia, seduto sulla
sabbia.
"Certo, anche se sto facendo
progressi nelle mie pratiche di telepatia."
"Allora, come posso chiamarti?"
‒ gli chiesi.
"Puoi chiamarmi «Amico», perché
è questo che sono: un amico di tutti."
Ci pensai un po' e mi venne un'idea
molto carina:
"Ti chiamerò «Ami», è più corto e sembra un nome."
"Ti chiamerò «Ami», è più corto e sembra un nome."
Mi guardò con allegria e poi esclamò: "È perfetto, Pierre!..." e mi abbracciò. Sentii che in
quel momento si stava suggellando una nuova amicizia, molto speciale.
E così sarebbe stato...
"Come si chiama il tuo pianeta?"
"Boh... nemmeno. Non c'è il suono equivalente, ma sta da quelle parti" e indicò sorridendo alcune stelle.
"Boh... nemmeno. Non c'è il suono equivalente, ma sta da quelle parti" e indicò sorridendo alcune stelle.
Mentre Ami osservava il cielo, io mi
misi a pensare ai film di invasori extraterrestri che avevo visto
tante volte alla televisione e al cinema.
"Quando ci invaderete?" La
mia domanda lo fece ridere.
"Perché pensi che invaderemo la
Terra?"
"Non saprei... nei film gli
extraterrestri invadono la Terra... Tu sei uno di quelli?"
Questa volta la sua risata fu così allegra, che mi contagiò. Poi cercai di giustificarmi:
"...È che alla tele..."
"...È che alla tele..."
"Certo, la televisione!...
Vediamone una sugli invasori!" ‒ disse entusiasta, mentre
dalla fibbia del suo cinturone estraeva un altro apparecchio.
Premette un bottone ed apparve uno schermo illuminato. Era un piccolo
televisore a colori, molto nitido e cambiava canale rapidamente.
La cosa più sorprendente era che in
quella zona arrivavano poche stazioni, ma nell'apparecchio ne stavano
apparendo una moltitudine: film, programmi in diretta, notiziari,
comunicati commerciali, tutti in lingue differenti e per persone di
diverse nazionalità.
Come poteva vedere tante stazioni senza
essere collegato a nessuna trasmissione via cavo?... "Le storie
degli invasori sono molto ridicole" ‒ diceva Ami divertito.
"Con quanti canali puoi
sintonizzarti?"
"Con tutti quelli che stanno
trasmettendo in questo momento nel tuo pianeta... questo riceve i
segnali captati dai nostri satelliti, invisibili a voi. Certo, sono
più piccoli di una moneta... Qui ce n'è uno in Australia, guarda!"
Apparvero degli esseri con la testa di
polipo e molti occhi sporgenti solcati da venuzze rosse. Sparavano
raggi verdi contro una moltitudine di atterriti esseri umani. Il mio
amico sembrava divertirsi con quei film.
"No, perché?"
"Perché quei mostri non esistono
che nella deformata immaginazione di chi ha inventato queste
pellicole..."
Non mi convinse. Avevo trascorso troppi
anni a vedere ogni genere di esseri spaziali perversi e spaventosi
perché lui potesse cancellarli d'un tratto.
"Ma se proprio qui sulla Terra ci sono iguana, coccodrilli, polipi... perché non possono esistere esseri bruttissimi negli altri mondi?"
"Ma se proprio qui sulla Terra ci sono iguana, coccodrilli, polipi... perché non possono esistere esseri bruttissimi negli altri mondi?"
"Ah, quelli. Sì, ci sono, ma non
costruiscono pistole a raggi, sono come quelli di qui: animali. Non
sono intelligenti."
"Ma forse esistono mondi con
esseri intelligenti e malvagi..."
"«Intelligenti malvagi»!... È
come dire «buoni cattivi», «grassi magri», «belli brutti»"
‒ Ami rideva a pieni polmoni.
Non riuscivo a comprendere. E quegli
scienziati pazzi e perversi che inventano armi per distruggere il
mondo, contro i quali combattono i super-eroi dei cartoni animati?
Ami percepì il mio pensiero e spiegò:
"Quelli non sono intelligenti:
sono folli."
"Bene, allora è possibile che
esista un mondo di scienziati pazzi che potrebbero annientarci..."
"A parte quelli della Terra... è
impossibile."
"Perché?"
"Perché i pazzi distruggono sé stessi prima di arrivare al livello scientifico necessario per poter lasciare i loro pianeti e andare ad invadere altri
mondi."
Non gli credevo troppo, pensavo che
potessero esistere dei pianeti abitati da individui che non sono tanto
pazzi... cioè gente intelligente, fredda, scientifica ed efficiente
e al tempo stesso malvagia, crudele... Lui, naturalmente, riuscì a
vedere quello che stavo pensando e questo lo fece molto ridere.
"E dove sono quei mostri così freddi e perversi che non sono mai venuti a distruggere nessuna civiltà terrestre?..." ‒ Mi chiese con espressione innocente.
Io pensai un po' prima di rispondere... e non trovai alcun indizio di malvagità extraterrestre nella nostra
storia. "Beh... non so... ma ci dovrà pur essere una prima
volta..."
"«Dovrà»... questo vuol dire che,
pur senza avere una solida base, sei assolutamente sicuro della
ferocia dei tuoi vicini dello spazio... Paranoia cosmica!" Esclamò, e si mise a ridere.
Trovai che aveva ragione, anche se comunque non ero così certo dell'«innocenza» di tutti gli
abitanti dello spazio esterno. Pensavo che ce ne fossero di buoni,
come Ami, ed anche di cattivi, come succede sulla Terra.
Lui cercò di tranquillizzarmi:
"Credimi, Pierre, nell'Universo ci
sono dei «setacci» che non lasciano passare ciò che non è buono.
Lassù non è uguale a quaggiù. Da un certo punto in avanti, non ci
sono più orrori. I difetti che deve superare la gente di là non
sono «grossi» come quelli di qua."
"Sei sicuro che non ci sia nessuna civiltà scientificamente avanzata, ma crudele?"
"Posso dirti soltanto che è di
gran lunga più facile arrivare a conoscere la tecnologia necessaria
alla costruzione di bombe che di navi inter-galattiche, e se una
civiltà non ha né saggezza, né bontà e raggiunge un alto
grado scientifico, presto o tardi lo userà contro sé stessa,
molto prima di poter partire per altri mondi... per nostra
fortuna..."
"Ma in qualche pianeta potrebbero
sopravvivere, per caso..."
"Caso? Nella mia lingua non esiste
questa parola. Che significa caso?"
Dovetti fare vari esempi perché
comprendesse. Quando ci riuscii, si mise a ridere. Disse che
l'Universo è il riflesso di un Ordine Superiore perfetto e niente è
casuale, perché tutto è collegato.
"Ma se ci sono tanti milioni di
mondi, potrebbero sopravvivere alcuni spietati senza distruggersi"
‒ io continuavo a pensare alla possibilità di invasori.
Ami cercò di farmi comprendere:
"Immagina che molte persone debbano prendere una sbarra di ferro
incandescente, una alla volta, con le mani nude: che probabilità ci
sono che una non si scotti?"
"Nessuna: tutti si scottano"
‒ risposi.
"Allo stesso modo, tutti gli
esseri incoscienti di fronte all'amore si auto-distruggono, se
raggiungono un alto livello tecnologico e non riescono a superare la
durezza del loro cuore. In altre parole, quando il grado scientifico
di un mondo supera troppo il suo livello di amore, quel mondo si
auto-annienta.”
"Livello di amore?" Potevo capire benissimo cos'è il livello scientifico di un pianeta, ma non comprendevo che cosa fosse il "livello di amore".
"L'amore che irradiano gli esseri
umani di un mondo può essere misurato dai nostri strumenti" ‒
disse.
"Davvero?"
"Certo, perché l'amore è
un'energia, una forza, una vibrazione, e se il livello d'amore di un
pianeta è basso ne scaturiscono odio, violenza, divisione, guerre,
infelicità generale e contemporaneamente ne deriva un alto grado di capacità
distruttiva... Mi comprendi, Pierre?"
"In generale, no. Che cosa
vorresti dire?"
"Devo dirti molte cose, ma andiamo
avanti un po' per volta: cominciamo dai tuoi dubbi."
Io ancora non riuscivo a credere che
non esistessero mostri invasori. Gli raccontai di un film nel quale
degli "extraterrestri lucertola" dominavano molti pianeti
perché erano molto ben organizzati.
Lui disse: "Senza bontà non può
esistere un'organizzazione duratura e in questo caso si deve
obbligare, costringere, o "lavare il cervello", ma siccome presto o
tardi tutte le creature cercano la libertà, la saggezza e l'amore,
alla fine ci saranno ribellione, divisione e distruzione.
Esiste una sola forma universale e
perfetta di pianificazione, in grado di garantire la sopravvivenza:
si raggiunge naturalmente quando una civiltà si avvicina alla
saggezza, quando evolve. I mondi che vi arrivano sono pacifici, non
fanno male a chicchessia. Non esiste nessun'altra alternativa in tutto
l'Universo. Un'Intelligenza più grande della nostra ha inventato
tutto questo..."
In seguito riuscì a spiegarmelo
meglio, ma per il momento io continuavo con i miei dubbi sugli esseri
intelligenti e malvagi.
"Troppa televisione!" esclamò
Ami, quindi aggiunse: "I mostri che immaginiamo sono dentro noi
stessi. Finché non li abbandoneremo, non meriteremo di raggiungere
tutte le meraviglie dell'Universo che sono in attesa dell'elevazione
del nostro sguardo per rivelarsi ai nostri occhi..."
"I malvagi non sono né
intelligenti, né belli."
"Ma... e quelle donne belle e
cattive che ci sono nei film?"
"O non sono belle, o non sono
cattive."
"Io ne ho viste alcune che erano
cattive, ma al tempo stesso si presentavano bene..."
"Può darsi che per te si
presentassero bene, all'esterno, ma all'interno?... Per noi, la vera
bellezza deve essere unita all'intelligenza e all'amore: se non è
così, non la consideriamo bellezza."
Non ero molto d'accordo con il suo modo
di vedere le cose, ma non dissi niente. ‒ "Esiste altra gente
cattiva nell'Universo, a parte quella della Terra?"
"Certamente, anche peggiore. Ci
sono mondi nei quali tu non potresti sopravvivere neanche mezz'ora...
Come qui sulla Terra un milione di anni fa... Esistono mondi abitati
da veri mostri..."
"Vedi, vedi?" Esclamai
trionfante, "tu stesso lo riconosci, avevo ragione io, mi
riferivo proprio ad essi..."
"Ma non ti preoccupare: quelli
stanno «sotto», non «sopra», abitano mondi più arretrati di
questo, le loro rozze menti non permettono loro di conoscere nemmeno
la ruota, quindi non arriveranno fin qui..."
Questo era tranquillizzante.
"Allora, dopo tutto, non siamo noi
terrestri i più cattivi dell'Universo..."
"No, ma tu sei uno dei più tonti
della galassia!" Ridemmo da buoni amici...
Tratto da: "Un
Amico dalle Stelle" di Enrique Barrios. ‒ Il Punto d'Incontro
Edizioni.
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