San Pio da Pietrelcina (1887 - 1968) |
Sebirblu, 22 settembre 2016
Mai come adesso la Chiesa Cattolica si è
trovata in uno sconvolgimento così radicale da scuoterne le
fondamenta istituite e volute dal Cristo due millenni fa.
La Massoneria-sionista l'ha invasa fino
al suo vertice (ved. QUI, QUI, QUI e QUI, ma consiglio di leggere anche gli articoli
all'etichetta "Bergoglio"), e siccome ci troviamo nel
periodo in cui, secondo le parole cristiche, "la Verità dev'essere gridata dai tetti, perché
nulla vi è di occulto che non debba essere svelato", ecco un articolo che in occasione della ricorrenza
del Santo di Pietrelcina farà contenti molti Lettori.
Debbo pure dire che, in questi nostri giorni, la persecuzione e l'obbedienza assimilano Padre Pio a Padre Mannelli (dei Francescani dell'Immacolata, ved. QUI) in due storie analoghe (cfr. QUI), a testimonianza che quando lo Spirito guida davvero un'anima votata a Dio, ogni artificio o volontà umana decadono miseramente!
Perché il Sant'Uffizio condannò Padre
Pio?
I Papi lo ammiravano ma il Sant'Uffizio
emise decreti di condanna. Padre Pio ha subìto per tutta la sua vita
l'incomprensione e l'ostilità di molti. Eppure tutti, oggi,
riconoscono che fu un grande Uomo e un santo Frate.
Per cercare di capire e spiegare come e
perché il francescano di Pietrelcina abbia sollevato reazioni così
controverse, Renzo Allegri ha pubblicato il libro "La passione
di Padre Pio", edito da Mondadori.
Per chiarire il significato di quanto
accadde al religioso, il noto scrittore ha indagato su migliaia di
documenti conservati nell'Archivio segreto del Vaticano e in quello
del Sant'Uffizio.
Egli ha lavorato anche sui dossier
degli schedari dell'Ordine dei Frati Cappuccini della Provincia di
Foggia e di fascicoli privati di laici, che ebbero ruoli estremamente
importanti in questa vicenda. Molti di questi sono inediti.
Allegri ha scritto altri nove libri su
San Pio da Pietrelcina, tutti pubblicati dallo stesso Editore ed
approdati nelle collane dei best seller internazionali dopo esser
stati tradotti all'estero.
Intervistato da "Zenit", egli
ha affermato che quest'ultimo testo "è il più importante perché mette il dito sulla piaga del Male, cioè Satana che, per rovinare le Opere dell'Eterno, predispone trappole diaboliche che riescono ad ingannare perfino i rappresentanti della Chiesa. Tema estremamente grave ed attuale".
Sant'Agostino e il diavolo di Michael Pacher (1430-1498) |
Cosa c'era di così strano in Padre Pio
al punto da sollevare i dubbi del Sant'Uffizio?
Le stigmate. Il Sant'Uffizio cominciò
ad interessarsi a lui nel 1919, dopo che si era diffusa la notizia
che sul suo corpo erano comparse le piaghe della Passione e della Morte di
Gesù.
L'evento, sconvolgente e sconcertante,
si era verificato il 23 settembre 1918, nella solitudine di un
conventino sul Gargano. Era stato tenuto segreto perché gli stessi
suoi confratelli non riuscivano a dargli un significato.
Solo nel maggio 1919, la notizia
cominciò a circolare, finì sui giornali e la gente accorse in
massa. Fu il quotidiano di Napoli "Il Mattino", che era allora molto
in auge, ad intuirne l'importanza esplosiva.
Il direttore del giornale mandò a San
Giovanni Rotondo uno dei suoi più noti operatori, il quale a metà
giugno realizzò un reportage dettagliato su ciò che avveniva
intorno al Frate, e che poi venne pubblicato su due pagine, con un
titolo eclatante:
«Padre Pio, il "santo" di
San Giovanni Rotondo opera un miracolo sulla persona del cancelliere
del paese, presente un nostro inviato speciale.»
Scoppiò il caso. Se ne interessarono
massicciamente anche i rotocalchi stranieri. Il convento fu assediato
dai pellegrini. Le autorità civili, preoccupate per la presenza di
tanta gente, soprattutto per gli ammalati in quel luogo privo di servizi
igienici, temevano epidemie ed inviarono esposti al Ministero della
Sanità.
Ma niente e nessuno riusciva a fermare
il flusso dei pellegrini. La gente comune, impressionata da quelle
piaghe che richiamavano la Passione di Gesù, e dalle conversioni così come dalle guarigioni prodigiose, era convinta di
trovarsi di fronte ad un portentoso segno del soprannaturale.
Il Sant'Uffizio, invece, supremo
Tribunale Ecclesiastico per la difesa della Dottrina, temeva che
quelle persone fossero vittime di superstizione e scelse un
atteggiamento critico, antitetico, che poi mantenne sempre.
Erano vere le stigmate di Padre Pio?
Il popolo semplice non aveva dubbi. Ma
le persone istruite e gli ecclesiastici si ponevano domande. E fin
dall'inizio, il clero locale, vedendo nel Frate un rivale che
richiamava i fedeli dalle rispettive parrocchie, affermava che era tutto
un imbroglio, una truffa per incamerare soldi.
I superiori di Padre Pio si resero
conto che dovevano far chiarezza su quella vicenda per evitare
scandali irreparabili e, trattandosi di ferite, ricorsero ai medici.
Il primo giudizio venne dato dal medico locale, il dottor Angelo
Maria Merla, che conosceva da anni il Cappuccino del Gargano.
La sua opinione si basava su
un'osservazione elementare: quelle ferite sanguinanti dovevano,
secondo le conoscenze mediche, o cicatrizzare o trasformarsi in
cancrena, e poiché non accadeva, quello era un fenomeno al di sopra
della scienza conosciuta.
Ultima Messa di Padre Pio (22 settembre 1968). Come si vede, le stigmate sono misteriosamente scomparse. |
Gli stessi superiori di San Pio si
rivolsero allora ad uno specialista più qualificato, il professor
Luigi Romanelli, primario dell'ospedale di Barletta. Anche questi
escluse "ogni origine naturale". La notizia del fenomeno si
allargava sempre più. Era nota anche a Roma, in Vaticano.
Il Superiore Generale dei Frati
Cappuccini si consigliò con un rappresentante del Papa e decisero
insieme di inviare a San Giovanni Rotondo un luminare di fama
internazionale, il professor Amico Bignami, ordinario di Patologia
generale alla Università "La Sapienza".
Questi era ateo e massone dichiarato.
Visitò le ferite di Padre Pio a metà luglio 1919 e, in coerenza
con le sue convinzioni, scartò ogni possibile riferimento
soprannaturale dicendo che quelle piaghe "dovevano" essere
certamente provocate dallo stesso Frate.
Ordinò di impedire al religioso di
intervenire su esse, bendandogliele e sigillando le fasciature.
Dichiarò che si sarebbero chiuse nel giro di dieci giorni. Ma non
accadde.
Fu allora chiesto l'intervento di un
altro illustre esperto, il dottor Giorgio Festa, che a Roma aveva un
laboratorio scientifico molto rinomato. Questi eseguì le sue
indagini nell'ottobre del 1919, concludendo che le ferite di Padre
Pio sfuggivano al controllo medico.
Scrisse nella sua relazione: "Hanno
un'origine che la nostra conoscenza è molto lontana dal poter
spiegare".
Alla fine del medesimo anno, tutti i
medici che avevano visitato il Francescano, ufficialmente o per
iniziativa privata, erano convinti della soprannaturalità del
fenomeno. Tutti, tranne uno: il professor Bignami. E Il Sant'Uffizio
(e ti pareva!; ndr) abbracciò e sostenne sempre questa tesi.
Chi erano gli oppositori di San Pio e
perché lo osteggiavano e lo calunniavano?
Le prime lettere accusatorie contro
Padre Pio, arrivate al Sant'Uffizio (e sono ancora conservate negli
Archivi Vaticani), risalgono al giugno 1919, ossia subito dopo la
diffusione della notizia delle stigmate. Erano lettere anonime,
firmate "un gruppo di fedeli".
Dal contenuto si evince che erano
scritte da ecclesiastici. Sostenevano che le piaghe erano un inganno,
architettato dal Frate e dai suoi confratelli per attirare la gente e
raccogliere denaro. Affermavano che i consacrati
conducevano una vita agiata e allegra, dando scandalo con festicciole
notturne frequentate anche da giovani donne.
In alcune lettere si affermava che nel convento c'erano state pure liti sanguinose tra loro, con fucilate e
bastonate (addirittura?! Ndr) per la spartizione dei soldi e fu
necessario l'intervento dei carabinieri. Ma una successiva inchiesta
dimostrò che era tutta una menzogna.
"Il corvo" di Tim Cantor |
Le missive anonime si moltiplicarono e
divennero un'arma per il clero locale e per l'arcivescovo di
Manfredonia, che si impossessarono di quelle voci, le sostennero, le
incrementarono, diventando loro i veri registi delle accuse contro
Padre Pio.
L'alto prelato della città, Monsignor
Pasquale Gagliardi, aveva amici potenti in Vaticano, per questo le
accuse false che egli avallava con lettere personali venivano accolte
a Roma come autentiche, con tutte le conseguenze del caso.
Questa situazione durò diversi anni, durante i
quali il Cappuccino subì condanne e proibizioni di ogni genere. L'ingiusta persecuzione fu interrotta da alcuni laici, che fecero una
guerra spietata ai calunniatori e alla fine ricorsero all'autorità
civile, denunciandoli.
Alcuni di essi furono processati e
condannati. Il vescovo di Manfredonia destituito. Ma presso il Sant'Uffizio la diffidenza nei confronti del santo Frate rimase
sempre. Il Padre trapassò sotto il peso di cinque condanne dell'ex Santa Inquisizione,
mai ritrattate, e decine di interventi disciplinari.
Nel corso della sua vita, subì settanta "visite apostoliche", che sono severe inchieste giuridiche
ordinate dalle maggiori autorità della Chiesa nei casi di
trasgressioni gravissime alle leggi ecclesiastiche o al fine di
accertare delitti, sacrilegi, deviazioni dottrinali e cose del
genere.
Perché padre Agostino Gemelli accusò
San Pio di essere un soggetto isterico e inconsciamente psicopatico?
In che modo arrivò ad esprimere un giudizio così duro?
In tutte le biografie di Padre Pio,
Gemelli viene indicato come il nemico numero uno del religioso. Ma
all'esame dei documenti, i fatti sono diversi.
Egli è degno di grande ammirazione. È
stato uno dei più eminenti personaggi della storia del Novecento,
sia in campo religioso che scientifico. Però, è storicamente
dimostrato che commise un grave errore nei confronti del Frate. Lo
compì nel 1920, e poi non ebbe mai il coraggio di riconoscerlo e
riparare.
Nell'aprile 1920, Padre Gemelli era già
un ecclesiastico di grande prestigio. Medico, psichiatra, fondatore
della psicologia sperimentale, era anche teologo ed esperto proprio
di teologia mistica. Proveniva da una famiglia borghese massonica. Da
giovane era stato ateo e ribelle.
Padre Agostino Gemelli (1878-1959) |
All'università fu allievo del
professor Camillo Golgi ‒ Premio Nobel per la medicina 1906 ‒ che
lo riteneva suo erede. Dopo la conversione, avvenuta nel 1903, il
giovane medico si fece religioso francescano e fu ordinato sacerdote.
In un paio d'anni, divenne il più
qualificato rappresentante della cultura cattolica. L'unico che,
nelle discussioni scientifiche, potesse tener testa ai più grandi
scienziati.
Non si è mai saputo perché
nell'aprile 1920 Gemelli volle andare da Padre Pio. Nelle sue
relazioni, riferì ogni volta versioni contraddittorie. Nella prima, sempre in aprile del medesimo anno, affermò di essersi recato là
per devozione e per chiedere al Cappuccino consigli e preghiere per
l'Università Cattolica che stava fondando.
In un secondo rapporto, scritto nel
1926, raccontò di esservi andato su richiesta del vescovo di Foggia.
In seguito sostenne che l'incarico di quella visita gli era stato
dato dal Sant'Uffizio.
In tutti i suoi comunicati, dichiarò
di aver visitato le ferite di Padre Pio. Affermazione totalmente
menzognera. Padre Gemelli non le vide mai, e non fece alcun esame medico al religioso.
Arrivò a San Giovanni Rotondo la sera
del 17 aprile 1920, accompagnato da sei persone, monsignori e
religiosi, suoi amici e ammiratori, che furono poi testimoni
qualificati di quanto accadde.
Padre Pio dimostrò subito un'istintiva
avversione per Gemelli e non si recò a salutarlo, come invece faceva
con gli ospiti importanti. Il giorno successivo, il 18 aprile,
l'autorevole personaggio non riuscì a farsi ricevere dal Frate.
In serata, il rettore del convento che
faceva da tramite fra i due disse che poteva incontrarlo al mattino,
quando il Padre sarebbe sceso in sacrestia per celebrare la Messa. Il
medico-sacerdote era indignato per quel trattamento, ma si adattò.
La mattina del 19, avvicinò il
Cappuccino in sacrestia, chiedendogli un appuntamento per visitare le
stigmate. Alla domanda se avesse l'autorizzazione del Sant'Uffizio,
Gemelli gli rispose di no, e San Pio se ne andò immediatamente.
L'incontro, secondo la testimonianza
giurata dei testimoni, durò non più di un minuto. Il visitatore era
furibondo e decise di ripartire all'istante. Quello stesso pomeriggio
inviò la sua prima relazione al Sant'Uffizio esternando terribili
giudizi sul Francescano e sulle sue piaghe.
La sua tesi, espressa e sostenuta nei
rapporti successivi, era sempre la medesima: Padre Pio era un povero
isterico che si procurava le ferite da solo con acido fenico o altre
sostanze. I suoi giudizi scritti erano totalmente negativi: "Ritengo
che Padre Pio sia uno psicopatico..."
"È un soggetto a intelligenza ben
limitata, che presenta le note caratteristiche di una deficienza
mentale in grado notevole con conseguente restringimento del campo
della coscienza".
"Né i suoi scritti, né ciò che
si racconta, né ciò che egli dice rivelano un animo innamorato di
Dio. È un buon religioso tranquillo, quieto, mansueto, più per
opera della deficienza mentale che per virtù".
E per quanto riguarda i segni della
Passione, scrisse: "Dall'esame da me compiuto sorge il legittimo
sospetto che si tratti di caratteristiche e note autolesioni".
"Un caso di suggestione, in un soggetto malato come è Padre
Pio, che ha condotto a quelle tipiche manifestazioni di psittacismo
che sono proprie della struttura isterica".
Dal momento che egli era l'autorità
massima nel settore, sia per la sua preparazione scientifica che per
quella teologica, i suoi giudizi vennero recepiti dal Sant'uffizio
come "verità scientifiche assolute e inconfutabili".
Trasmise la sua prima relazione sotto
l'impulso dell'ira provocata dal rifiuto del Cappuccino di parlare
con lui. In seguito tornò sull'argomento solo due volte, quando
venne accusato di essersi inventato tutto.
In uno di quei rapporti vergò: "Non
ho mai parlato con nessuno di Padre Pio; non ho mai manifestato ad
alcun uomo la mia opinione su di lui. Ne ho parlato soltanto con i
funzionari del Sant'Uffizio e con il Cardinale segretario".
Probabilmente, era convinto di ciò che
scrisse sul Santo di Pietrelcina. Lo aveva giudicato secondo i
criteri della "Psicologia sperimentale" in cui si riteneva
il massimo esperto. Era un convertito. Da anni si batteva contro la
Massoneria e l'ateismo.
Osteggiava tutte la forme religiose di
dubbia chiarezza. Aveva sempre stroncato tutti i fenomeni di
stigmatizzazione, tranne quello riguardante San Francesco d'Assisi.
Nel caso di Padre Pio, era rimasto vittima del furore e del suo
zelo.
Il Frate del Gargano, che era una
grande santo, se ne rese conto e non ebbe mai alcuna espressione
ostile contro Gemelli.
Luigi Villa, che fu molto amico del
medico-sacerdote e che per 15 anni fu assistente spirituale
all'Università Cattolica, in una intervista rivelò che Gemelli
prima di trapassare scrisse una lettera a Padre Pio chiedendogli
perdono. E sembra che questi sia andato a trovarlo in bilocazione.
Resta però il fatto che ancora oggi a
distanza di tanto tempo molti, soprattutto intellettuali, parlando
del Cappuccino affermino: "Padre Gemelli lo riteneva uno
psicopatico".
Quale fu il rapporto dei Pontefici con
Padre Pio?
Sostanzialmente positivo. Anche nel
periodo della grande persecuzione di Padre Pio da parte del
Sant'Uffizio, i Papi non ne furono coinvolti.
Avevano intuito che qualcosa di grande
avveniva in quel religioso. Papa Benedetto XV era convinto che fosse
un santo. Pio XI, essendo molto amico di Padre Gemelli, all'inizio
del suo pontificato appoggiò le idee di quest'ultimo, ma in seguito
si dissociò varie volte dalle decisioni dei Cardinali del
Sant'Uffizio. Pio XII, appena eletto Papa disse: "Lasciate in
pace Padre Pio".
Giovanni XXIII era un suo sostenitore
ma, nel 1960, di fronte ad una mole di dossier che gli furono
portati dal generale dei Cappuccini ‒ documenti risultati poi
falsi, ma che accusavano il Santo di delitti contro i voti di
povertà, di castità e di obbedienza ‒ si spaventò e ordinò
un'ennesima visita apostolica che, data l'età del religioso, fu tra
le più severe e dolorose.
In seguito Papa Giovanni capì di
essere stato imbrogliato e ritrattò i suoi giudizi. Paolo VI fu sempre un difensore di Padre Pio. Papa Wojtyla, testimone
diretto di strepitosi miracoli, fu il promotore e il sostenitore del processo di beatificazione.
Perché il Sant'Uffizio mantenne un
atteggiamento di condanna così a lungo?
Il Sant'Uffizio è il dicastero più
importante della Chiesa. Il suo compito precipuo, sin dalla
fondazione avvenuta nel 1542, è la difesa dell'ortodossia. Non
esiste, nel corso dei secoli, un solo provvedimento che sia stato
ritrattato. Quindi, anche per quanto riguarda Padre Pio, una volta
emanati dei decreti di condanna, non sono più stati cambiati.
Oggi Padre Pio è stato riconosciuto
nella sua santità ed è un testimone del Giubileo della
Misericordia. Chi, come, quando e perché è stato possibile
riconoscere la verità sulla vita di Padre Pio?
Furono i miracoli, continui,
incessanti, portentosi che Dio operò attraverso di lui a ribaltare
le convinzioni negative che il Tribunale ecclesiastico aveva espresso per
decenni nei confronti di questo religioso.
I suoi confratelli cominciarono a
raccogliere i documenti sulla sua santità subito dopo il trapasso.
Ma la Chiesa in modo ufficiale non poteva far niente perché
bloccata dalle sentenze del Sant'Uffizio.
Fu l'elezione a Papa di Karol Wojtyla
a cambiare totalmente la situazione. Giovanni Paolo II aveva
conosciuto Padre Pio nel 1948, ne era rimasto conquistato, aveva
sempre continuato a seguirlo e nel 1962 era stato testimone diretto
di un clamoroso miracolo avvenuto per sua diretta richiesta.
Così, appena eletto, avviò subito
il suo processo di beatificazione, lo sostenne contro tutti e fu lui
a proclamarlo Beato nel 1999 e Santo nel 2002.
Qual è il suo parere sull'intera
vicenda?
Stesi il mio primo articolo sul Padre
nel settembre 1967. In quell'occasione potei incontrarlo e parlare
con lui. Lo rividi nell'aprile 1968. Alcuni mesi dopo la sua morte
venni incaricato dal giornale, dove allora lavoravo, di effettuare un'inchiesta dal titolo "In difesa di Padre Pio".
In seguito scrissi centinaia di articoli
e dieci libri, venendo in possesso di migliaia di documenti
riguardanti la persecuzione cui Padre Pio venne sottoposto nel corso
della sua vita.
L'opinione che mi sono fatto su questa
incredibile vicenda è racchiusa nelle parole che mi disse in
un'intervista il cardinale Giuseppe Siri nel 1984: "La lotta
spietata che è stata fatta a Padre Pio, anche da parte vaticana, è
la più grande trappola diabolica messa in atto da Satana ai danni
della Chiesa stessa".
Con un lungo e dettagliato discorso, il
presule mi spiegò che il demonio, essendo rimasto di fatto puro spirito, è in grado anche di prevedere il futuro. Conoscendo quindi
la grandezza e l'importanza massima della missione che Dio aveva
assegnato a quel Suo figlio, fece di tutto per distruggerla.
E per raggiungere meglio il suo scopo,
cercò di coinvolgere nelle sue trame anche i vertici stessi della
Chiesa.
"La vita e la vicenda umana di
Padre Pio – disse il cardinale Siri – sono lo specchio della
lotta ad oltranza, spietata e senza esclusione di colpi, che avviene di continuo e in modo costante tra le Forze del Bene e quelle del Male".
Post Scriptum
Per altri interessanti articoli su Padre Pio, tra cui una NDE (esperienza di pre-morte) di un sacerdote suo figlio spirituale, seguono i link:
Relazione, adattamento e cura di: Sebirblu.blogspot.it
Fonte: it.zenit.org
Nessun commento:
Posta un commento