Gli Apuniani
Gli Apuniani, o semplicemente Apus,
sono un'antica razza di Esseri provenienti da una lontana
costellazione. Da migliaia d'anni i loro antenati visitarono la Terra
e si insediarono in parecchie regioni che si trovano oggi in Perù,
Cile, Messico, ed anche in Cina.
Sono loro gli artefici dei famosi
geoglifi di Nazca e delle rovine simili a quelle di Cuzco e del Machu
Picchu. I loro UFO hanno la forma classica a disco ma talvolta
appaiono come strani velivoli dalle ali ripieghevoli.
Il loro nome deriva dal pianeta
d'origine: "Apu", ma un tempo hanno abitato pure in un
altro mondo chiamato "Itibi-Ra", che appartiene
probabilmente al sistema di Andromeda.
I loro avi sono rimasti sulla Terra
solo per un periodo molto breve, qualche decina d'anni. Furono
costretti poi a ripartire a causa di una malattia respiratoria che
avevano contratto sulla nostra Terra, provocata dalla mancanza
d'ossigeno nella nostra atmosfera.
In epoca più recente, i loro
discendenti, essendo riusciti a superare le difficoltà ambientali,
sono tornati qui per studiare le vestigia delle loro colonie
ancestrali, e senza dubbio anche per altre ragioni che rimangono per
il momento parzialmente misteriose.
Alcuni si trovano attualmente tra noi,
come i Venusiani della Terra Cava di cui ho già parlato in altri
articoli (vedere QUI e QUI; ndt).
Nessuno può dire con certezza da
quanto tempo sono ritornati: secondo certi, da alcune decine d'anni,
ma secondo altre fonti, addirittura da parecchie migliaia. Vivono in
un luogo segreto da qualche parte nelle alte montagne del Perù.
Ma contrariamente alla maggior parte
degli extraterrestri che visitano il Pianeta, tendono più facilmente
a mostrarsi agli uomini, presentandosi anche in pieno giorno, per
guarire i malati. Questa vicinanza alla popolazione è certamente
molto relativa, ma è reale.
Capita pure che soccorrano animali in
pericolo. In Perù, "Apu" è un termine che significa "Dio"
o più esattamente "Divinità della Montagna." Gli indios
del Perù pensano che la loro colonia attuale si trovi sotto i
maestosi picchi di Hua-Marcu.
Due celebri ufologi americani
dell'Arizona, Jerry e Kathy Wills che visitano frequentemente il
Perù, sono riusciti da qualche anno a prendere contatto con gli
Apuniani nel corso di una spedizione sul Plateau di Markawasi vicino
alla città di San Pedro de Costa.
Jerry e Kathy Wills |
Gli Apuniani li hanno condotti a bordo
di un'astronave e hanno mostrato loro certe rovine non ancora
scoperte della propria antica civiltà. L'ipotesi di Jerry Wills è
che vengano dalla costellazione delle Pleiadi e possiedano una base
in Perù, sotto Terra.
Molti gruppi di turisti, avendo
visitato l'isola del Sole sul lago Titicaca, dichiarano di avervi
incontrato degli Apuniani e sembra che gli indios Quechua di quella
regione abbiano dei contatti regolari con loro.
Esiste uno sciamano di nome Cucho che
afferma essere in grado di condurre gli stranieri fino all'entrata di
una grotta dove è possibile incontrare qualcuno di loro. Se i
turisti sono ammalati ed esprimono chiaramente la loro volontà di
essere guariti, gli Apuniani possono aiutarli.
Hanno anche il potere di trasmettere a
certe persone una forma di immortalità come, a quanto pare, è
accaduto ad una europea di nome Ivanka che, secondo Cucho, vivrebbe
con essi da più d'un secolo e avrebbe conservato l'apparenza di una
giovane donna di una ventina d'anni.
Anche lo scrittore Anton Ponce di Léon
Paiva, conosciuto in Perù per aver creato un grande centro
d'accoglienza, dove sono ospitati, nutriti e curati gli anziani
indigenti e i bambini abbandonati della regione, è entrato in
contatto con gli Apuniani alla metà degli anni '70.
Anton Ponce |
In seguito ha fondato un nuovo centro
chiamato "Samana Wasi" dove elargisce un insegnamento
basato sulla loro saggezza.
Alcuni di loro sono stati pure visti
vicino alla montagna del Machu Picchu, così come in Messico, a
Huajutla e Chiatipan, nello Stato di Hidalgo. In ogni caso, quando si
presentano, sembrano arrivare dall'interno della Terra.
Numerosi ufologi considerano la
presenza degli Apuniani in Perù come un mito. Le testimonianze si
moltiplicano tuttavia da alcuni anni.
Il primo studioso ad avere confermato la loro realtà e presenza sulle montagne del Perù è un ingegnere
peruviano di origine iugoslava, Vlado Kapetanovic, più
conosciuto con lo pseudonimo di Vitco Novi.
Nato nel 1918, è oggi un uomo molto
vecchio ma che non ha perso nulla della sua vivacità di spirito. Il
suo approccio è caloroso e si è sempre mostrato di un'estrema
gentilezza verso tutti coloro che l'hanno incontrato. Afferma di aver
avuto, dalla metà degli anni '60, centinaia d'ore di colloqui con
gli Apuniani.
Vlado Kapetanovic |
Ecco una parte dell'intervista dove
racconta in che modo si sono svolti i suoi primi rapporti con loro.
Domanda dell'intervistatore: "Chi
sono essi Vlado?"
Victo Novi (Vlado): "Sono persone
che vivono su un pianeta chiamato Apu, che non fa parte della nostra
galassia ed è distante dalla Terra parecchi milioni di anni-luce."
Domanda dell'intervistatore: "Che
sembianze hanno?"
Victo Novi: "Ci rassomigliano, ma
sono fisicamente meglio proporzionati. Decidono da sé il tipo di
fisico che desiderano avere; alcuni sono alti più di due metri ed
altri meno di un metro cinquanta."
Domanda dell'intervistatore: "Quando
sono iniziati i vostri incontri?"
Victo Novi: "Fu nel 1960; lavoravo
alla centrale idroelettrica di Huallanca, ad Ancash in Perù, come
tecnico responsabile della produzione di elettricità. Una notte,
mentre ero di guardia — era il 10 marzo — l'illuminazione si spense
senza un motivo apparente.
Uscii per mettere in funzione il gruppo
elettrogeno. Ma all'esterno c'era una luce tale che si sarebbe
creduto essere pieno giorno. Proveniva da una sorta di disco
posizionato sulla stretta fascia di terra che divideva i due fiumi
alimentanti la centrale.
Quiroz, il responsabile della sicurezza
mi suggerì di non avvicinarmi. «Bisogna lasciarli fare — mi disse — sono degli Esseri che operano molto bene nei villaggi: guariscono le
persone, fanno piovere e vengono in aiuto ai più miseri».
Ero persuaso che facessero parte
dell'esercito, perché per raggiungere il luogo dove si trovavano,
era necessario superare un groviglio di linee e di cavi elettrici ad
alta tensione. Chiesi tuttavia a Quiroz chi fossero e da dove
venissero.
Con mio grande stupore, rispose: «Sono
i nostri amici del pianeta Apu». Pensando che fosse ubriaco, gli
intimai di lasciarmi passare e proseguii per incontrarli.
Avvicinandomi, scoprii che la luce
proveniva da un oggetto ovoidale, simile ad una grossa lenticchia che
non poggiava direttamente sulla terraferma ma sembrava sospeso nel
vuoto a qualche centimetro dal suolo.
Malgrado la sua intensità, la luce non
abbagliava. Era piacevole e quasi distensiva. Arrivando in prossimità
dell'oggetto, vidi due persone che avevano l'apparenza di esseri
umani di razza bianca. Erano giovani e sorridenti e portavano delle
strane tute.
Mi salutarono allora nella mia lingua,
il serbo, cosa che mi sorprese ma non mi convinse della loro origine
extraterrestre perché, dopo tutto, numerosi uomini e donne erano
capaci di esprimersi in un idioma diverso dalla propria lingua madre.
Domandai perché avevano provocato un
guasto elettrico alla centrale e la loro risposta mi sbalordì. Mi
dissero soltanto: «Amico caro, siamo venuti qui dallo spazio, e
quando passiamo per questa galassia, visitiamo la Terra, fraternamente.
Noi non siamo venuti sulla Terra per
nuocere a chicchessia, ma per aiutare i nostri fratelli terrestri,
perché viviamo soltanto per soccorrere gli altri!» Mentre mi
parlavano, osservai il loro veicolo e vidi che poggiava su tre enormi
fasci di luce.
Dopo, risalirono a bordo per una sorta
di scala che raggiungeva la parte superiore, la quale poi si ritrasse
contemporaneamente ai fasci di luce. Il loro mezzo si alzò allora
silenziosamente in verticale e sparì dalla mia vista in una frazione
di secondo.
Rimasi immobile durante lunghi minuti,
come folgorato dalla meraviglia, indi feci un mezzo giro verso la
centrale. All'entrata, rincrociai Quiroz.
«Ascolti — gli domandai — per favore,
può spiegarmi? Chi è atterrato là? Cosa sono venuti a fare qui? Crede che possano causarci dei problemi?»
Quiroz: «No, non tema nulla, vengono
da un altro mondo assai lontano e sono degli individui molto elevati. Si
recano spesso sulle alture dove i pastori conducono le loro greggi.
Vengono per soccorrerli.»
I chiarimenti di Quiroz non fecero
altro che aumentare la mia confusione. Provavo a convincermi che
fossimo rimasti entrambi vittime di allucinazioni, che dei
ricercatori operanti per l'esercito ci avessero senza dubbio
ipnotizzati per utilizzarci come cavie. Ma dentro di me, sapevo bene
che esisteva un'altra spiegazione..."
Domanda dell'intervistatore: "Come
si è svolto il suo secondo contatto?"
Victo Novi: "Fu un mese più
tardi, il 12 Aprile 1960. Si era appena fatto giorno. Il cielo era
terso e il Sole cominciava ad illuminare l'orizzonte. Le alte sommità
delle montagne di Ancash, per la maggior parte sconosciute ed
inesplorate dall'uomo, riflettevano i dolci raggi solari sulle cime
immacolate.
Questo delizioso inizio di mattino
annunciava una giornata completamente idonea alla mia gita
settimanale attraverso le collinette circostanti.
Decisi di recarmi da un giovane uomo,
Adrian Perez, che apparteneva alla squadra di manutenzione della
centrale e, conoscendo tutti i percorsi di montagna, gli proposi di
accompagnarmi.
Accettò e ci mettemmo subito in
viaggio. Avevamo camminato quasi tutta la mattinata, quando
raggiungemmo un altopiano isolato, a più di quattromila metri d'altezza.
Le rocce e le rupi abbondano in quel
luogo, al punto che fummo obbligati a zigzagare e quindi a lasciare
delle tracce al nostro passaggio per essere in grado di tornare con
lo stesso itinerario, senza perderci.
Improvvisamente Adrian si fermò
additandomi una piccola zona piatta, senza rocce, distante circa
trecento metri, dove era posizionato un veicolo identico a quello che
avevo visto il mese precedente a Huallanca di fronte alla centrale
idroelettrica.
Il disco era circondato da un gregge di
capre e qualche pecora. Da un lato c'era una piccola radura con
parecchie persone: uomini donne e bambini. Erano dei pastori con le
loro famiglie. Mi chiesi come riuscivano a sopravvivere in un luogo
tanto isolato così vicini alle nevi eterne.
Egli mi disse che si trattava di un
luogo particolare, perché delle astronavi pilotate dagli
extraterrestri avevano l'abitudine di recarvisi regolarmente.
Aggiunse che essi erano molto buoni perché avevano prestato
aiuto molto spesso alla gente locale.
Paragonai le spiegazioni di Adrian Perez con
quelle che mi aveva dato Quiroz l'altra volta e ne dedussi che
la gente di quella regione doveva essere molto ingenua per arrivare a
credere a tali assurdità.
Per me, le cose stavano diversamente:
tutti erano, a loro insaputa, oggetto di azioni militari che venivano
testate su di loro per mettere a punto un nuovo programma di ipnosi
collettiva. Accettai, tuttavia, la proposta di Perez di raggiungerli.
Alcuni minuti più tardi arrivammo alla
loro altitudine dove essi avevano costruito una piccola capanna.
C'erano quattro uomini seduti davanti al fuoco, con tre donne e
quattro bambini. Accanto, avevano anche i due personaggi strani nei
quali mi imbattei tre settimane prima vicino alla centrale
idroelettrica.
Questi sorrisero vedendoci, ma gli indios sembravano disorientati dalla nostra presenza. Uno di loro si
alzò per venirci incontro e ci chiese con tono scocciato che cosa
andassimo a fare in quel luogo remoto. Gli dissi che cacciavamo un
puma. Ma sentii che non mi credeva.
Uno dei due extraterrestri ci salutò
allora con la mano, sorridendoci e facendoci segno di sederci presso
i pastori, ciò sembrò calmare colui che si era mostrato aggressivo.
Ci sedemmo dunque là, di fronte al fuoco.
L'atteggiamento minaccioso dell'uomo
che mi aveva posto la domanda e lo sguardo sospettoso dei suoi
compagni confermò i miei foschi pensieri.
In un certo modo, gli abitanti del luogo erano in combutta con quegli estranei, e per questa ragione
temevano che gli intrusi scoprissero un certo complotto o
cospirazione con cui dovevano certamente essere immischiati.
Siccome era ancora giorno, ebbi il
tempo di osservare bene i due «forestieri»: erano alti, longilinei
e piuttosto belli.
Di primo acchito, niente permetteva di
distinguerli da qualsiasi altro essere umano vivente sul nostro
pianeta, se non per il fatto che si sarebbe potuto credere che
appartenessero ad una razza proveniente dalla mescolanza di tutte le
altre etnie ora esistenti sulla Terra.
La forma dei loro visi somigliava a
quella degli arabi, i loro occhi erano blu ma leggermente obliqui
come quelli del ceppo mongolo, il naso e la bocca somigliavano a
quelli dei paesi nordici; la barba e la capigliatura davano loro un
aspetto indù, la muscolatura del loro corpo evocava quella degli
africani, e il colore della pelle era di un rosa molto pallido, come
quella delle popolazioni di origine celtica.
Quello dei due extraterrestri che ci
aveva dato il benvenuto sorrise di nuovo. Da questo, compresi che mi
aveva letto i pensieri e che la mia riluttanza nei loro confronti non
gli causava alcuna pena.
Ancora una volta, iniziò a
parlare nella mia lingua natale e disse: «Sappiamo che lei non vuole
considerare la possibilità che siamo giunti da un altro pianeta.
Questo comportamento rivolto a noi è naturale, perché le sue
cellule sono programmate per rigettarci.
Ma le saremmo riconoscenti se rimanesse
alcuni minuti con noi per osservare bene ciò che desidereremmo
mostrarle. Lei non ha alcuna ragione di avere paura, perché è
armato, invece noi non lo siamo.»
Mentre mi parlava, osservai che la sua
tenuta era un completo formato da una sorta di sottile
passamontagna quasi trasparente, che cingeva il viso, così come da
due curiosi rigonfiamenti che fungevano da scarpe.
La cintura, le caviglie e i polsi
dell'uniforme avevano delle piccole tasche senza aperture. Un
pettorale brillante ricopriva il torace, ornato da una bottoniera
disposta su tre linee verticali, da cinque bottoni ciascuna, per un
totale di quindici.
Aggiunse ancora: «Queste tute ci
permettono di spostarci nello spazio senza utilizzare alcun veicolo.
Ve lo dimostro.»
Quindi si alzò, sfiorando con il dito
due dei bottoni suddetti. L'indumento prese a gonfiarsi
all'altezza delle tasche ed egli istantaneamente si sollevò in
verticale! Fece un piccolo giro nell'aria volando per parecchie
centinaia di metri come un volatile, per poi ritornare!
Ero completamente sbalordito. Provai ad
auto-persuadermi che anch'io ero stato ipnotizzato, ma sapevo in
fondo che ciò a cui avevo assistito era molto reale.
«Come fate?» gli chiesi allora.
Sorrise e mi rispose: «Queste piccole tasche che ho ai polsi, alle
caviglie e intorno alla mia cintura sono sature di ioni positivi. Da
quando scatta il sistema, possiamo regolare il campo gravitazionale
secondo le nostre esigenze.
Questo ci permette di raggiungere
esattamente la velocità desiderata e ci dà la possibilità di
volare in orizzontale, in verticale o a zig-zag. Su Apu, il pianeta
di cui siamo originari, ci spostiamo da milioni di anni grazie a
questo procedimento.»
Tacque un momento, poi riprese: "Apu
è situato alla periferia della Via Lattea. Noi siamo i protettori
della vita degli abitanti di questa galassia.
Viaggiamo attraverso lo spazio per
aiutare coloro che incontriamo. Non siamo qui per tentare di
impressionarvi. Vogliamo semplicemente insegnarvi a fare la nostra
conoscenza."
Continuò la sua narrazione, e mi parlò
di una gigantesca esplosione che si sarebbe prodotta un tempo su Apu,
della formazione delle galassie, dei problemi della Terra e degli
altri pianeti, così come di molte altre cose che mi erano totalmente
sconosciute e che, anche oggi, continuo ad essere incapace di
spiegare con un certo raziocinio.
Cominciava ad essere tardi. Avevamo già
trascorso parecchie ore in quel luogo. Era tempo per noi di
congedarci.
Nel momento in cui dicevo arrivederci
ai pastori, uno dei due extraterrestri si avvicinò a me, prese la
mia mano e guardandomi diritto negli occhi pronunciò ad alta voce e
con fervore mistico la frase: «Tutto per gli altri».
Poi, a sua volta, anche il compagno mi
si accostò e fece esattamente la stessa cosa, con un slancio di
gioia e di entusiasmo che appariva così potente e spontaneo da darmi
qualche difficoltà a spiegarne la ragione. Quindi, chiamai Perez che
parlava ancora con uno dei pastori, e cominciammo a tornare indietro
verso il nostro villaggio.
Ovviamente, sulla strada del ritorno, gli posi tutti i tipi di domande su ciò che sapeva di quegli
incredibili visitatori e gli domandai se pensava trattarsi veramente
di extraterrestri; era quello che non potevo decidermi ad ammettere
malgrado ciò che era appena accaduto.
(Perez) «Signore — mi apostrofò ad un
certo punto — come può essere talmente cieco?!!! Come si spiega che
così tante persone li abbiano incontrati e siano tutte arrivate alla
stessa conclusione di asserire che si tratta effettivamente di
extraterrestri?
È molto abituale in questi luoghi
avere dei rapporti con Esseri venuti da altri mondi. Certi volano
come coloro che ha appena visto. Altri hanno dei dischi ovoidali come
quello che lei ha veduto al momento del vostro primo incontro.
Inoltre talvolta, certuni si spostano
con l'ausilio di velivoli più piccoli, simili ad aerei con ali
ripieghevoli. Gli indios li chiamano "los vientos" (i
venti), perché arrivano e spariscono proprio come il vento, senza
che la gente se ne accorga.»
Rappresentazioni dei "vientos" eseguiti nel secolo passato dai pastori Quechua |
«Lei dice che sono più piccoli degli
aerei che utilizziamo comunemente per il trasporto dei passeggeri?»
(Perez) «In effetti, hanno una
grandezza molto inferiore, ed alcuni hanno ali sorprendenti. Le
estraggono o le ritirano a volontà, come certi uccelli. Altri
assumono la parvenza di farfalle. Ce ne sono anche di somiglianti a
foglie di trifoglio.
Hanno una straordinaria velocità;
appaiono e scompaiono senza che nessuno veda quando, né sappia come.
Da principio, gli stranieri hanno la
medesima sua reazione, pensano che siano dei prototipi dell'esercito;
ma quando li vedono spiegare o reinserire le ali per poi scorgere i
loro occupanti volare come uccelli, curare i malati per guarirli da
malattie insanabili, o far piovere da un cielo senza nuvole, allora
iniziano, pari a me, a ritenere che siano Angeli.
E allorché si presentano come esseri venuti da un pianeta lontano — che chiamano Apu — ne restano più che convinti! Una cosa è certa, comunque, ed è che si tratta di
persone altruiste e caritatevoli ogni volta che lo possono, e non
hanno mai fatto un torto a nessuno. In quanto a dare una spiegazione
del perché siano venuti sulla Terra, e cosa desiderino, non sono in
grado di precisarlo.»
«E lei, Perez, li aveva già visti
prima?»
(Perez) «Sì, certamente, e
l'ultima volta risale a meno di un mese fa. Ma le persone di qui non
amano molto parlarne. Temono che le autorità prendano atto della
loro presenza e che la polizia cerchi di distruggerli o farli
ripartire. Ed ai paesani sta veramente a cuore che questo non si
produca mai!»
Finalmente rientrammo nelle nostre
sedi, giusto prima che si facesse completamente notte. Turbato da
questa esperienza, decisi di riposarmi e dimenticare, per qualche
settimana, anche la mia passione per l'escursionismo e l'esplorazione
delle vette."
Domanda dell'intervistatore: "Come
si è svolto il suo terzo contatto?"
Victo Novi: "Ogni mattina, man
mano che il tempo passava, il desiderio di riprendere il mio sport
preferito mi assillava sempre più. Resistetti un mese, poi scelsi di
tornare verso le cime innevate delle Ande. Mi ero solo prefissato di
evitare i luoghi vicini a quelli dove avevo in precedenza
incontrato gli extraterrestri.
Adrian Perez era in viaggio, ma un altro
collega di lavoro, un giovane chiamato Quispe mi disse che conosceva
bene la regione e domandò il permesso di accompagnarmi. Accettai la
sua offerta e decidemmo d'intraprendere insieme una grande escursione
la domenica successiva.
Il 15 maggio dello stesso anno, partii
con lui. Notai all'istante che il mio nuovo compagno camminava sulle
rocce con scioltezza e scalava i ripidi pendii con grande agilità.
Percepii che con lui avrei potuto
esplorare, in giornata, molti più siti di quanti non ne avessi visitati con Perez, e questo mi piaceva. Tuttavia, al termine delle molte ore di marcia, cominciai a sentire una certa pesantezza alle gambe e
gli proposi di fare una piccola sosta.
Nel momento in cui era seduto accanto a
me e stavamo contemplando in lontananza lo splendore immacolato delle
nevi perenni, si voltò bruscamente dalla mia parte e guardandomi
dritto negli occhi, disse: «Siamo in un luogo dove si incontrano
talvolta persone insolite che dicono di venire da un mondo lontano.»
«Sì. Lo so già, Quispe - replicai -
e sostengono di essere gli abitanti di un pianeta che chiamano Apu;
viaggiano attraverso lo spazio con straordinari apparecchi che possono
prendere la forma di aerei, dischi volanti, uccelli, sigari e molto
altro ancora.»
«Ma come sa tutto questo, Vlado? Chi gliel'ha detto?» Si meravigliò egli.
«Nessuno me lo ha detto, Quispe, li ho
visti!»
«Veramente?» esclamò, «Che fortuna
ha!» E si alzò, con l'aspetto davvero sorpreso e felice. Poi
aggiunse: «Se ciascuno sostituisse la parola diffidenza con il
termine fiducia e il vocabolo guerra con fraternità, la Terra intera
potrebbe vederli!»
Riprendemmo poi la nostra marcia, e
poco tempo dopo giungemmo sul bordo di un pascolo dove c'erano
mucche, pecore, capre ed anche alcuni cavalli.
Dall'altra parte della verde distesa si
trovava una capanna di tronchi con un tetto di paglia. Ne usciva un
fumo bianco, e davanti c'erano numerose persone sedute vicino ad un
fuoco.
«Si direbbe che ci attendano per
pranzare!» dissi a Quispe scherzosamente.
In quel mentre, due cani ci videro e ci
vennero incontro abbaiando. Uno dei pastori si alzò allora per farli
tacere e ci fece segno di raggiungere il gruppo.
Salutammo tutti e Quispe cominciò a
parlare con essi in lingua quechua. Io, invece, rimasi silenzioso,
accontentandomi di osservare, perché nessuno comprendeva lo
spagnolo.
Ad un certo punto, dalla capanna
uscirono una donna e un ragazzino, entrambi in lacrime. Quizpe chiese
a questa signora perché piangesse ed ella gli spiegò che una
settimana prima uno dei suoi figlioli era scivolato da una roccia.
Si era fratturato il braccio destro e
parecchie costole e il suo stato sembrava peggiorare sempre più.
Entrammo nella casupola per vedere il suo piccolo ragazzo. Aveva
circa dieci anni e giaceva disteso su un mucchio di fieno in uno
stato pietoso.
Aveva gli occhi e la bocca socchiusi.
La sua lingua e le sue labbra si erano enfiate smisuratamente; il
viso tumefatto aveva preso un colore violaceo. Tutto sembrava
indicare che fosse già in balìa di una cancrena avanzata. Gli presi
il polso per sentire le pulsazioni e il risultato confermò i miei
timori.
Domandammo allora a sua madre il
permesso di condurlo con noi fino alla città di Caraz affinché
fosse ricoverato. Ella rifiutò categoricamente la proposta,
adducendo che «gli dei erano in procinto di arrivare per guarire il
suo bambino».
Mi sarei aspettato di vedere queste
persone iniziare una danza o un rituale per evocare gli Spiriti
quando, improvvisamente, un piccolo congegno alato scese in verticale
dal cielo, senza alcun rumore, e si immobilizzò proprio accanto al
fuoco, a pochi centimetri dal terreno.
Allora, tutti coloro che erano seduti
intorno al falò si alzarono, ed una donna giovane e bella uscì
dallo strano veicolo e ci salutò sorridendo. Portava la medesima
uniforme di entrambi gli extraterrestri che avevo incontrato al tempo
dei miei due precedenti contatti.
Era giunta fino a noi senza camminare
sull'erba, spostandosi a brevissima altezza dal suolo! Appresi, ma un
po' dopo, che evitava di calpestare la superficie erbosa e le piante
per non danneggiarne le cellule.
Entrò dunque nella casetta; prese il
ragazzino nelle sue braccia e lo portò all'interno del suo
apparecchio continuando sempre a sfiorare il terreno, malgrado il
peso che portava. Il gruppo intorno a me si era allora inginocchiato.
Io, ero talmente pietrificato da restare in piedi, finché il mio
compagno non mi chiese di fare lo stesso.
In una frazione di secondo, la donna
ricomparve, tenendo sempre il bimbo tra le sue braccia. Aveva ripreso
colore, il suo viso non era più enfiato e sembrava in buona salute.
Mi avvicinai a lui ed esaminai il suo braccio: non v'era più alcuna
traccia di frattura! Era sorridente e non tardò a chiedere a sua
madre qualcosa da mangiare.
Mentre osservavo il piccolo figliolo
che sembrava ora perfettamente rimesso e gioioso come un fringuello,
udii la speciale «infermiera dello spazio» scherzare con i paesani
riuniti. Conversavano in quechua.
In quel momento, non solo comprendevo
perfettamente tutto ciò che dicevano, ma avevo l'impressione di
sentirli esprimere nella mia lingua originaria! Raggiunsi allora
precipitosamente Quispe per interrogarlo su questo fatto.
«Sente quello che dicono?» — gli
chiesi.
(Quispe) «Sì, li odo.» rispose.
«E li comprende?"
(Quispe) «Sì, molto bene.»
«Ma in quale lingua parlano?»
(Quispe) «Conversano nel loro proprio
linguaggio ed anche, nel contempo, in tutti gli altri.»
«Ma come è possibile questo?»
(Quispe) «Non so, Vlado. So soltanto
che una volta ci hanno detto che potevano influenzare tramite il
pensiero il movimento di certi elettroni nel cervello. Quelli che
sono presenti accedono, di conseguenza, alla comprensione di tutti gli
idiomi, simultaneamente.»
Ero del tutto sbalordito. La misteriosa
ospite, divertita dal mio stupore, si avvicinò a me sorridendo e si
presentò con il nome di Ivanka. Poi rivolgendosi all'insieme degli
astanti ci chiese di rialzarci (evidentemente erano ancora in
ginocchio; ndt) e ci disse:
«Noi non siamo venuti sulla Terra per
essere ringraziati, retribuiti né tanto meno adorati. Siamo qui per
dedicarci alla nostra sola ed unica Missione, cioè fare di tutto per
aiutare gli altri.»
Le domandai perciò come fosse
intervenuta su questo giovane ragazzo.
Ella rispose: «Ho prelevato le sue
cellule guaste, le ho riarmonizzate, poi le ho reinserite nel suo
corpo. Tutto il suo sistema cellulare è ora sano e lui è guarito.»
La terapia genica: medicina praticata da migliaia d'anni mediante gli Apuniani. |
«Ma chi è dunque lei, Ivanka, per
essere in grado di compiere tali prodigi?»
«Sono soltanto una Terrestre come voi
che è diventata anche un'Apuniana; in effetti, ho vissuto su Apu in
un periodo paragonabile a 100 dei vostri anni; ma sono dapprima una
cittadina dell'Universo, e come tale, sorella di ogni Essere che vi
abita.
Il principale compito degli Apuniani è
di proteggere la vita e di aiutare tutti gli Esseri a continuare a
vivere, qualunque sia il luogo dove si trovino. Non abbiamo né
preferenze, né favoriti, e non avvantaggiamo mai certi individui a
detrimento di altri.
Il nostro Amore, la nostra compassione
e le nostre conoscenze sono destinate a tutti coloro che ne
abbisognano e che sono pronti ad aprire il loro cuore, perché noi
siamo una parte di tutto ciò che esiste nell'Universo e quindi siamo
Uno con esso.
Non c'è niente di prodigioso in ciò
che ho appena compiuto. Il concetto di "miracolo" esiste
soltanto nella mente di coloro che vivono separati dall'Unità.
Similmente, la durata di vita dei Terrestri potrebbe essere
altrettanto lunga quanto quella degli Apuniani.
Vi sarebbe sufficiente accettare di
organizzarvi fraternamente in maniera positiva, senza denaro, senza
guerre e senza ingiustizie, formando un solo organismo umano, in seno
alla Grande Famiglia Universale.»
Appariva interessata alla mia
perplessità e aggiunse: «Vi mostrerò ciò che la consapevolezza
dell'Unità permette di realizzare... » Poi, unendo il gesto alla
parola, tracciò nell'aria un segno incomprensibile con la mano.
All'istante, davanti ai miei occhi,
sette pecore del gregge si ritrovarono bruscamente trasformate in
vasi di fiori! Pensai che fossimo stati sottopposti ad una seduta di
ipnosi collettiva, come al tempo del mio incontro precedente.
Ella sembrava leggere i miei pensieri e
dichiarò che uno dei problemi degli esseri umani era di avere grosse
difficoltà ad accettare ciò che supera il loro intendimento. Fece
allora un nuovo segno con la mano e, questa volta, i vasi si
tramutarono in sette colombe!
Alcuni cani si misero immediatamente a
correr loro dietro per tentare di prenderle, ed io pensai: «Poveri
cani; sono stati ipnotizzati come me.»
Ne disegnò un altro ancora nell'aria,
e le sette pecore riapparvero in un lampo! Poi, visibilmente
compiaciuta e soddisfatta dell'effetto prodotto su di noi con il suo
piccolo "giro di prestidigitazione" ci invitò ad
accompagnarla all'interno della sua macchina volante.
Questa volta Ivanka non fluttuava più
sul prato. Camminava come noi, ma constatai che i suoi piedi non
lasciavano alcuna impronta sul terreno. Sembrava concentrata sui suoi
passi, come se la vita di ogni filo d'erba dipendesse dall'attenzione
che poneva per non distruggerlo.
Quando arrivammo in prossimità del
velivolo, notai che era sospeso a circa 70 centimetri dal suolo.
Compresi quindi, intuitivamente, che questa assenza di contatto
diretto con la Terra aveva ancora soltanto lo scopo di non
danneggiare i fiorellini del campo che cominciavano a sbocciare in
quel luogo.
Iniziai perciò ad osservare
l'apparecchio. Dalla forma delle sue ali, somigliava ad un aereo, ma
la sua carlinga era molto più corta. "Le ali sono ripiegabili e
possono superare la velocità di un milione di chilometri al minuto" — commentò ella — mentre ci invitava a seguirla dentro l'abitacolo.
All'interno, c'era un altro occupante a
cui Ivanka ci presentò. Lui ci accolse con un gesto caloroso e ci
propose di sederci di fronte ad uno schermo di vetro che sembrava
incorporato in una delle pareti dell'abitacolo.
E presto quel monitor cominciò a
proiettare tutte le scene della mia vita che iniziarono allora a
dispiegarsi ed io rividi ciò che avevo vissuto dalla mia nascita, ma
in una dimensione strana, come se la natura, le persone, gli alberi e
gli animali esistessero realmente.
Vedevo tutto nei minimi dettagli. Avevo
l'impressione di poter toccare ogni cosa, se ne avessi avuto il
desiderio.
Osservai la mia venuta in questo mondo,
l'infanzia e la gioventù, poi i particolari di un gran numero di
sequenze intime della mia esistenza che nessuno avrebbe potuto
filmare, essendo il solo a conoscerle.
Vidi anche altri contesti dove non ero
stato direttamente protagonista ma che mi toccavano nel profondo. In
maggioranza erano fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale.
Scorsi un gran numero di amici scomparsi, i luoghi e i modi in cui
erano trapassati.
Assistetti all'esilio dei miei genitori
in America del sud. E ad un certo punto, rividi me stesso a fianco di
Quispe, dei pastori e della donna eccezionale.
Davanti a me sfilarono tutti i pensieri
negativi che avevo formulato nei confronti di quegli Esseri,
associati ad immagini diverse, fino al momento speciale in cui le
pecore, i vasi e le colombe si erano trasformate sotto i nostri
occhi.
Dopo, mi venne mostrata la Nascita e la
Vita di Gesù ed anche quella degli Apuniani all'epoca in cui si
erano insediati nella regione del lago Titicaca. (Per approfondire,
documentarsi QUI e QUI; ndt).
Li osservai mentre introducevano in
tale regione embrioni di animali originari del loro pianeta. È per
questo motivo che esiste una strana fauna sul lago, come le rane
giganti che sono state scoperte recentemente e studiate da una
squadra di scienziati francesi.
Rana gigante del lago Titicaca che può raggiungere anche 80 cm. |
Huape rosso dei contrafforti andini. |
Dopo questo, Ivanka mi lanciò un
sguardo acceso da un'immensa compassione e disse: «Come ci si sente
felici ogni volta che si può fare del bene al prossimo e collaborare
ad alleggerire la sua sofferenza!»
E fu allora che cominciai a comprendere
la bontà di questi forestieri, molto lontana da ciò che avevo
presunto su di loro.
Se gli stessi fossero stati dei
Terrestri e avessero avuto la cognizione, proprio come hanno, della
mia diffidenza e delle ipotesi assurde da me elaborate su di loro,
sarebbero rimasti certamente offesi da quell'ondata negativa di cui
ero, davvero, l'unico responsabile.
Dunque, non solo ciò non sembrava
urtarli, ma al contrario, la mia reazione aveva provocato in essi un
vivo compiacimento, come se al posto della mia sfiducia avessi
apportato loro un bouquet di fiori.
Questo, dovuto al mio tentativo d'aver
provato soltanto a scoprire la verità che li riguardava e che pareva
aver suscitato la loro ammirazione.
Giunsi a concludere che nessun umano
avrebbe reagito in modo tanto nobile, e che tale sublime contegno non
poteva essere che la prerogativa di Esseri straordinariamente
evoluti, interamente guidati dal concetto più elevato dell'Amore: l'Amore di tutto ciò che è e di tutto ciò che vive, l'Amore
Universale.
E per la prima volta accettai l'idea
che questi visitatori fossero realmente originari di un pianeta
lontano dove non esistono egoismo, paura, aggressività, menzogna, e
intimamente, chiesi loro perdono."
Domanda dell'intervistatore: "Qual
è il più importante messaggio degli Apuniani, Vlado?"
Victo Novi: "Essi non conoscono né
odio, né guerra, e sanno come mutare la negatività in energia
positiva. Sono amici di tutti gli Esseri che popolano l'Universo.
Amano anche i più crudeli ed egoisti,
e se qualcuno vuole fare loro del male, sono capaci di trasformare i
suoi pensieri negativi in espressioni d'Amore. Per questo, il loro
motto è: "Tutto per gli altri." Ed è pure il più sublime
dei principi!"
Plateau di Markawasi - Perù |
Plateau di Markawasi - Perù |
Domanda dell'intervistatore: "Lei
ha ancora rapporti con essi?"
Victo Novi: "Ne ho qualche volta.
Ma chiunque può averne. Basta tranquillizzarsi interiormente e
chiedere la loro venuta. In realtà, noi ne incrociamo tutti i
giorni, perché sono capaci di assumere qualsiasi forma e di apparire
con i tratti di qualunque essere.
Possono prendere le parvenze di
Europei, di Bianchi, di Neri, di Asiatici perché si preoccupano solo
di rivestire al meglio l'aspetto visibile più adatto alla loro mutua
Missione."
Presentazione e trascrizione di Olivier
di Rouvroy
Traduzione: Sebirblu.blogspot.it
Fonte: erenouvelle.fr
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