venerdì 13 giugno 2025

Una grande LEZIONE da mettersi in pratica SUBITO!





Sebirblu, 12 giugno 2025

Dopo aver pubblicato il post in onore del prof. Francesco Lamendola QUI, deceduto il 31 maggio scorso, restava in me la domanda di cosa gli fosse successo per condurlo a 68 anni nell'aldilà; quesito che già aveva sfiorato la mia mente, tempo addietro, quando non appariva più sul web la testata "Accademia Nuova Italia" con tutti i suoi articoli.

Ebbene, una volta di più ho potuto constatare come la Provvidenza divina interviene per soccorrere, non solo economicamente (cfr. QUI),  come si è abituati a pensare, ma soprattutto spiritualmente, quando chi chiede lo fa in purezza d'animo e senza secondi fini. 

"Caso ha voluto" (si fa per dire perché esso non esiste), che ieri m'imbattessi in un video di un anno fa, QUI, dove il suddetto professore aveva stranamente la bocca storta; ho continuato a cercarne altri più recenti ed ho trovato questo QUI che, in effetti, è l'ultimo pubblicato prima del suo trapasso.

Volutamente non li espongo per non urtare la sensibilità di molti che, sicuramente, come ho fatto io, direbbero: "con quale coraggio si mostra così!".

Poi a seguire, sempre "a caso", ho trovato un illuminante pezzo dello stesso autore, un'autentica lezione di vita sull'«essere» e non sull'«apparire», che conviene a tutti mettere in pratica... Eccolo:




Cara amica, ti scrivo...
di Francesco Lamendola ‒ 7 maggio 2008

«Cara amica, ti scrivo per riprendere il filo di un discorso interrotto.

Quando ti ho telefonato e poi sono passato a trovarti ‒ ed era la primissima volta che entravo nella tua casa ‒ mi hai accolto, con semplicità e molta naturalezza, in tuta da ginnastica.

Poche donne avrebbero resistito al bisogno compulsivo di mettersi il vestito bello, di truccarsi e di indossare qualche gioiello, per apparire sotto la luce migliore. Così, senza un preciso secondo fine: come per un riflesso condizionato.

Tu, no.

Mi hai aspettato così com'eri, in tenuta da casa. Non ti sei cambiata né preparata: sei rimasta ad attendere la mia visita in tuta da ginnastica.

Un gesto che mi è piaciuto, perché da esso traspariva il tuo star bene con te stessa. Chi sta bene con se stesso, non sente alcun bisogno di presentarsi agli altri sotto una luce particolare: si mostra con spontaneità, così come egli è. Non desidera mostrarsi trasandato per il gusto di farlo, ma neppure vuole essere schiavo della ricercatezza.

Sembra una cosa da poco, una cosa da nulla: invece, dietro un tale comportamento, c'è tutto un mondo. Un mondo di trasparenza, di lealtà: innanzitutto con se stessi. Sono poche le persone che sanno accettarsi così come sono, anche nell'aspetto fisico; figuriamoci il fatto di saper accettare il giudizio altrui.


Si ha il timore di "perdere la faccia"... Autore: Ben Goossens

Sono poche, estremamente poche le persone che sanno guardarsi allo specchio e dire alle proprie rughe, alla propria calvizie, ai propri difetti: «Ebbene, eccoci qui. Voi siete i miei compagni di viaggio; non ho motivo di ostentarvi, ma neppure di tentare di nascondervi. Sarebbe assurdo; anzi, sarebbe patetico».

Quando un essere umano che ha passato la quarantina sa fare questo, significa che ha saputo compiere una lunga strada con se stesso; significa che, nel suo piccolo, è un grand'uomo (o una gran donna). Significa che ha compreso un sacco di cose: cose che non stanno scritte sui libri e che, dunque, non ha avuto la possibilità di imparare da un foglio di carta stampata. Vuol dire che le ha imparate dalla vita: il che è una cosa particolarmente rara, particolarmente apprezzabile.

Non solo.

Dal momento che l'intera società moderna procede trionfalmente (si fa per dire) sulla via opposta, cioè sulla via dell'apparire invece che su quella dell'essere, vuol dire anche che quella tal persona ha saputo elaborare, in solitudine, una propria scala di valori e un proprio codice di comportamento.

Vuol dire che ha capito la differenza fra la vera e la falsa stima di sé; fra il vero volersi bene e quello fasullo, suggerito dalle mille sirene idiote della pubblicità, del cinema e della televisione. Perciò, possiamo star certi che quella è anche una persona forte, capace di andare controcorrente e di infischiarsene delle mere apparenze.

Conosciamo donne che non farebbero mai entrare in casa propria  gli amici ‒ per non parlare degli estranei ‒ se prima non hanno lucidato l'ultima piastrella e spazzato l'ultimo granellino di polvere; che non scenderebbero mai nel negozio sotto casa per comperare il pane o il latte, se prima non si sono truccate per mezz'ora e se non si sono cambiate d'abito, indossando i vestiti migliori, dalla testa fino alla punta delle scarpe. Hanno il terrore di essere trovate in disordine, di essere giudicate sciatte, di essere scoperte "al naturale", senza trucchi e senza veli. [...]




Ma non solo ciò è stato bello, cara amica, nel tuo comportamento.

Anche la tua schiettezza,  il tuo confessare:  «mi manchi,  sinceramente  lo ammetto»; il tuo rinunciare al vecchio gioco ‒ tipicamente femminile ‒ del nascondimento, per mostrarti così come sei, nella sfera dei tuoi sentimenti; pure questo è stato bello. Bello perché raro.

Dovrebbe e potrebbe essere la norma, nelle relazioni umane; invece è la rara e felice eccezione. Quante persone aspettano che sia l'altro a scoprirsi, per poi approfittarne subito e mettersi in una posizione di forza, di vantaggio. 

Miseri individui ‒ ma sono la maggioranza ‒ che non hanno uno straccio di coraggio, ma si aspettano che lo abbiano gli altri; e se lo aspettano, non per ricambiare la franchezza e la lealtà ricevute, ma per tenersi al coperto quanto più a lungo possibile, in modo da non perdere il vantaggio in cui si trovano...

Perché è un gran bel vantaggio sapere quel che si muove nel cuore altrui, mentre si cela astutamente quel che accade nel proprio. Così, si è sempre in grado di avanzare o indietreggiare, secondo la convenienza, rischiando giusto il minimo indispensabile; mentre l'altro, davanti a noi, si è interamente esposto e, quindi, è più vulnerabile che mai...

Ci sono dei miserabili ‒ e non sono affatto rari ‒ che godono di un rapporto ineguale di tal fatta, dove essi hanno in mano tutte le carte buone e le tengono coperte, mentre l'altro ha messo in tavola le sue, senza calcoli o finzioni.

Perciò, le parole che ti sono uscite dal cuore: «mi manchi, sinceramente l'ammetto», ti hanno fatto onore. Avresti potuto continuare il gioco a carte coperte; non l'hai fatto: hai preferito metterle in tavola.

Insieme alle tue paure, del resto. E chi non le ha? Ma confessarle, è cosa da persone coraggiose. Tu le hai confessate: non è da tutti.

Anche questo, è stato un bel gesto. Il terzo, dopo quello di mostrarti per ciò che sei, fisicamente e interiormente.

Il quarto, è che hai saputo dire grazie.

Goffamente e un po' ruvidamente; però ti sei ricordata di ringraziare. Per quello che ritieni di aver ricevuto, attraverso un nostro lungo e gratuito impegno che, a tratti ‒ e adesso in modo particolare ‒ ci è costato quasi la salute.

Certo, ringraziare quando si riceve qualcosa di prezioso ‒ specialmente se lo si riceve gratuitamente ‒ dovrebbe far parte della normalità, nelle relazioni umane. Ma così, invece, non è: e ciascuno di noi lo sa bene, per diretta esperienza.




È raro, rarissimo, che qualcuno torni indietro a dire "grazie" per un bene ricevuto: specialmente se si tratta di un bene di natura spirituale. Se riceve in dono un oggetto materiale, magari costoso, di solito anche la persona più sgarbata si ricorda di borbottare un "grazie": fa parte delle buone maniere.

Subito dopo, probabilmente, quel costoso vassoio o quel servizio da tè prendono la via di qualche armadio polveroso, che diverrà più o meno la loro tomba; ma, intanto, il ringraziamento è stato detto (o scritto), le forme sono state salvate.

Ma dire "grazie" per un dono spirituale: quando mai? Già, perché non è avvolto nella carta da regalo di qualche boutique del centro; dunque, non è costato nulla. E allora, perché mai si dovrebbe ringraziare?

Questo è, appunto, l'atteggiamento mentale per cui così tante persone hanno smesso di ringraziare la vita. Non ringraziano più: né per il fatto di essere al mondo, e magari in buona salute; né per il fatto di avere una casa e un lavoro; né per essere circondate dall'affetto delle persone care; né per le meraviglie che la natura ci offre ogni giorno:

‒ dal canto di migliaia d'uccelli che salutano il primo albeggiare, alla pioggia che lava e purifica, al vento gagliardo che spazza le nubi e porta dolci profumi, al sole che riscalda gioioso, fino al cielo stellato che ci avvolge ogni notte, come un sipario sontuoso, quale neppure il più potente imperatore saprebbe commissionare ai suoi migliori architetti.




Queste persone danno tutto per scontato; o, per dir meglio, non vedono neppure da quanta bellezza sono circondate, da quanta bontà, da quanto splendore. Non se ne accorgono per nulla; però, non appena temono di perdere la più piccola comodità materiale, ecco che subito levano fino al cielo i loro lamenti lacrimosi e le proprie inconsolabili grida di dolore. 

Eh già: in che modo potrebbero vivere per qualche giorno senza la televisione? Come potrebbero fare a meno dell'automobile, del videoregistratore, del computer? Come potrebbero  sopportare  l'affronto che  quella antipatica  della collega,  o della vicina del piano di sotto, si sia comperata un vestito o un paio di scarpe eleganti, proprio identiche alle loro?

Ma tu ti sei accorta di aver ricevuto qualcosa. Sì, te ne sei accorta, e hai voluto dire grazie: come sapevi, senza usare espressioni ricercate. E mescolando il grazie alla confessione delle tue paure.

È scritto nella Bhagavad-gita che gli esseri umani, i quali non pregano il Signore Krishna per ringraziarlo di tutto ciò che ricevono incessantemente, sono in tutto e per tutto dei ladri. Prendono, e tuttavia non solo non offrono nulla per ricambiare, ma neppure ringraziano. Così facendo, commettono un vero e proprio furto.

Anche noi saremmo degli ingrati e, forse, dei ladri, se non ammettessimo il nostro debito con quanti, in vario modo, ci stimolano a proseguire nell'impegno di aiutare il prossimo, per quanto possibile, a trovare la via.

Non che pensiamo di averne le chiavi. A volte accade che ‒ come dice Dante ‒ chi va innanzi faccia  luce a coloro che lo seguono, ma egli stesso rimane al buio. Perciò non è il suo vantaggio che sta cercando: e, se incespica o va a sbattere; se cade e si fa male, lo fa a suo rischio e pericolo. Però, intanto, egli traccia la strada; e altri dopo di lui, se vorranno, la potranno seguire, con maggior chiarezza e con un minor grado di fatica e di rischio...

Facesti come quei che va di notte
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte… 
(Dante, Purg., XXII, 67-69).

Sappiamo che un certo numero di persone ‒ poche o tante, non importa ‒ traggono un beneficio dal nostro impegno disinteressato. Alcune di esse hanno voluto dircelo. Non molte: ma, dei dieci lebbrosi guariti dal Maestro, si sa che uno solo si ricordò, pur nella gioia del momento, di tornare indietro per rendergli grazie (cfr. Luca, 17, 11-19).

Dan Burr

A nostra volta, sappiamo bene che il merito del bene che riusciamo a fare, se pure ne facciamo, non è nostro, ma di qualcun altro.

In primo luogo, di quanti ci hanno dato il loro amore o la loro amicizia, formando il nostro mondo affettivo e morale.

In secondo luogo, di coloro che ci hanno donato la loro competenza, il loro sapere, contribuendo a formare il nostro mondo culturale e spirituale.

Non tutti sono ancora in questo mondo; alcuni ci hanno lasciati lungo il cammino: ma li ricordiamo tutti, con immutata gratitudine ‒ e li sentiamo sempre accanto.

In terzo luogo, il merito è di Qualcuno che, quando i nostri pensieri sono puri e le nostre parole sono buone, pensa attraverso di noi e parla attraverso di noi. Non abbiamo alcun merito da rivendicare in prima persona, se non ‒ forse ‒ quello della fedeltà alla chiamata. Per il resto, ci sentiamo piccoli e fragili; inadeguati, come colui che procede nel buio, a tentoni.

Sarà la strada, tuttavia, a venirci incontro; sarà essa a trovarci. Di questo, non abbiamo certo alcun merito. Perciò, vogliamo ringraziare anche la strada: lo stormire delle foglie nel bosco incantato, il vento profumato che si spande nella notte d'estate.

E poi, avanti, sempre avanti.

Una "forza benevola" guiderà i nostri passi, anche se talvolta andremo a sbattere o cadremo. Come si potrebbe imparare qualcosa dalla vita, senza cadere mai? È cosa sciocca solamente il pensarlo.

Ce n'è di strada, che si allunga innanzi a noi, nella luce argentata della luna! Forse, non giungeremo mai a vederne la fine...

Ma l'importante non è arrivare; l'importante è camminare. E, se possibile, aiutare qualcun altro ad avanzare a sua volta, rischiarandogli la strada nel buio della notte. Questo è quanto crediamo di avere imparato dalla vita.

Una saggezza semplice, umile, priva di pretese e di vanto. E di che cosa dovrebbe vantarsi, poi? Anch'essa è un dono, ricevuto gratuitamente e senza averlo davvero meritato.

Così, non possiamo fare altro che mormorare un "grazie".»




Chiosa di Sebirblu

Che dire di fronte a tale profonda saggezza?... Sicuramente un immenso GRAZIE, da parte mia e dei lettori, a questo Spirito eccezionale che se ne è andato, lasciando tutti molto, ma molto più ricchi...

Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it


lunedì 9 giugno 2025

In onore del prof. Lamendola, da poco scomparso...

 
"Il Volo dell'Anima" di Louis Janmot 

Sebirblu, 9 giugno 2025

Dedico il presente articolo alla recentissima dipartita del prof. Francesco Lamendola, del quale ho riportato nel tempo alcuni suoi scritti, disponibili, cliccandone il nome, sotto la dicitura "Etichette".

Egli ha rivolto l'intera sua vita con generosità e coraggio, non solo all'insegnamento delle giovani generazioni, ma soprattutto al "Risveglio" delle coscienze, senza deflettere mai davanti al "pensiero unico", propinato dai "media di regime" che, invece, tendono ad assopirle.

Condivido il suo pensiero, espresso qui di seguito, e la grande fatica che anch'io compio da innumerevoli anni a tal fine, sperando che la Verità finalmente emerga su questa Terra sempre più immersa e soffocata dalle Tenebre del Male.




Viviamo in un mondo di dormienti...

«Viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli. Socrate credeva, ottimisticamente, che tutti gli uomini aspirino al bene e che, se compiono, invece, il male, ciò accade per ignoranza; ma basterebbe illuminarli sul loro errore, per consentirne il ravvedimento.

Sarebbe molto bello, e inoltre molto semplice, se davvero le cose stessero in questo modo; ma, purtroppo, vi sono numerosi indizi che suggeriscono la fallacia di una tale teoria.

La verità è che più si osserva il comportamento degli esseri umani, più si finisce per ammettere che la stragrande maggioranza di essi è formata da dormienti, che non desiderano destarsi dal proprio sonno voluttuoso, e nemmeno dai propri incubi; che vogliono continuare a dormire, a dispetto di tutti, anche se la casa in cui vivono sta prendendo fuoco.

Non provano alcuna gratitudine nei confronti di coloro i quali cercano di destarli, ma, ben al contrario, nutrono nei confronti di costoro un odio implacabile, come se fossero i loro peggiori nemici, nel tempo stesso che onorano ed applaudono i malvagi pifferai che favoriscono i loro sonni e il loro sognare.

Per quella piccola minoranza di risvegliati, i quali cominciano a rendersi conto della natura illusoria del mondo in cui viviamo e del carattere risibile, se non addirittura pericoloso, della maggior parte delle cose che suscitano, nei più, compiacimento e desiderio di imitazione, il problema si pone in questi termini: che cosa fare in un contesto di sogno generalizzato, di odio nei confronti della verità, di rancore nei confronti di ogni voce che sia fuori del coro?

Come fare per evitare il treno che, guidato da un macchinista impazzito e carico di sonnambuli, sta per piombare addosso a coloro i quali sono desti, ma non possono agire sugli scambi, per deviarne la folle corsa?

E, ancora: è legittimo che il risvegliato cerchi di imporre ai dormienti la verità, se essi le preferiscono, invece, un mondo di menzogna; è giusto che cerchi di convincerli, di convertirli, di farli ravvedere, se ciò che essi vogliono è tutt'altro?...




Certo,  il giardiniere è uso  a strappare  le erbacce  le  quali  invadono  il  suo  giardino; ma il mondo non è un giardino, e ogni visione del mondo ha diritto di sussistervi: anche quella che appare manifestamente erronea. Sopprimere le visioni fittizie non è compito del risvegliato; ma, semmai, offrire a tutti gli strumenti per valutare che cosa sia giusto e cosa sia sbagliato: dopo di che, ciascuno deve assumersi la responsabilità del sentiero che intende seguire.

Nessuno può venire costretto ad essere virtuoso; nessuno può venire costretto a cercare la verità, se non la desidera e se ad essa preferisce la menzogna.

D'altra parte, è certo che, a quel punto, si pone concretamente il problema della sopravvivenza di colui il quale ritiene di essersi destato, e che si trova continuamente esposto agli urti e alle aggressioni degli altri, ossia dei dormienti: e le aggressioni più minacciose sono proprio quelle di coloro che sono stati destati a forza per essere illuminati.

È una questione di sopravvivenza.

La storia ci trasmette sin troppi esempi di saggi, i quali sono stati crocifissi da una moltitudine che non voleva essere illuminata, che desiderava continuare a vivere nelle tenebre. E la moderna società di massa è la società dei ciechi e dei dormienti per eccellenza: è il vertice dell’attuale Kali Yuga, della Età Oscura nel ciclo della vicenda cosmica.

A meno che voglia andare incontro all'olocausto, dunque – e vi sono, indubbiamente, degli ideali che meritano di essere perseguiti fino al martirio – il risvegliato è indotto a interrogarsi sul senso del suo vivere nella società, e sulle modalità con le quali deve gestire il suo rapporto con il prossimo.

In effetti, nessuno è disposto a modificare la propria concezione del mondo, o a lavorare seriamente su se stesso, se non sulla base di una profonda e sentita esigenza interiore; e quest'ultima non potrà mai arrivare da un agente esterno, se non in coincidenza con un impulso interno.

Quello che intendiamo dire, è che le persone sono disponibili ad affrontare un salto qualitativo nella propria evoluzione spirituale, solamente se, e quando, decidono di prendere coscienza del problema; ossia, in genere, quando si rendono conto, non solo di essere insoddisfatte della singola vita attuale – ciò che accade a molti ‒ ma di essere disposte a mettersi in gioco per uscire dal punto morto in cui si trovano.




In quella fase, e solo in quella fase, un evento esterno può fungere da detonatore della loro crisi benefica e affrettare una presa di coscienza: può essere l'incontro con una persona buona e saggia, o con un libro, o con una situazione inconsueta e stimolante (magari anche in apparenza negativa, come una malattia o il distacco da una persona cara).

Viceversa, se il momento non è giunto e l'essere non è ancora pronto, nessun saggio, nessun testo e nessuna situazione stimolante potrebbero innescare una evoluzione spirituale, come riporta il Libro dell'Ecclesiaste: "Vi è un tempo per ogni cosa: per parlare e per tacere, per dormire e per vegliare, per vivere e per morire". E, così come la natura fisica non fa salti, la stessa cosa può dirsi per la vita dell'anima: il suo processo evolutivo non può essere forzato.

Questo, difatti, è l'errore di fondo di tutte le rivoluzioni politiche e sociali: pensare che il mondo possa diventare migliore, una volta che si sia compresa una formula e la si sia messa in pratica, indipendentemente dalla vita interiore delle persone.

Ma se non c'è una evoluzione spirituale, alcuna formula, per quanto perfetta in teoria, potrà rivelarsi capace di rendere il mondo migliore; al contrario, la storia è piena di esempi di formule ideali che si sono trasformate in terribili strumenti di oppressione e di malvagità, trovandosi nelle mani di individui che non avevano saputo compiere nessuna evoluzione interiore.

Per l'essere umano che sia disponibile ad aprirsi, a mettersi in gioco, ad evolvere spiritualmente, la vita offre infinite occasioni di miglioramento, purché le si sappia vedere.

Un disturbo fisico, ad esempio, è certamente un segnale: un segnale che il nostro corpo ci manda, e che contiene informazioni preziose circa la disarmonia presente nella nostra vita.

In ultima analisi, ogni disturbo fisico è riconducibile alla dimensione spirituale; ed è veramente sconcertante vedere come la grande maggioranza degli esseri umani si disinteressa del problema, sforzandosi di mettere a tacere il sintomo – ossia il campanello d'allarme ‒ invece di andare alla ricerca del problema profondo che il corpo ha segnalato.

Peggio ancora: se il disturbo persiste, in moltissimi si affidano ciecamente a farmaci e a medici, come se entrambi potessero sostituirsi alla doverosa presa di coscienza del singolo problema.

E gli stessi che delegano in tal modo la salvaguardia della propria salute, firmando una cambiale in bianco nei confronti dell'apparato sanitario ufficiale, sono poi quelli che esigono di occuparsi in prima persona, e persino nei minimi dettagli, di cose assolutamente banali e secondarie, come la scelta del nuovo modello di automobile da acquistare o l'intervento di chirurgia estetica per aumentare le dimensioni del seno.




Un altro esempio di questa tendenza a delegare le questioni davvero rilevanti ad agenzie esterne, è offerto dalla politica. La grande maggioranza degli esseri non si informa adeguatamente di ciò che attiene a questa sfera e preferisce affidarsi ai partiti, i quali mandano in Parlamento i loro uomini di fiducia, una legione di «yes-men» dalla schiena flessibile, fedeli esecutori delle direttive ricevute dalle rispettive segreterie.

Un discorso analogo  si  può  fare  per  la  pubblica amministrazione.  Il risultato è che i nostri sindaci e assessori,  che si muovono nell'ambito del quantitativo  e di ciò che ha un alto grado di visibilità (indipendentemente dalla sua efficacia), difficilmente riescono a concepire delle soluzioni innovative per i problemi che devono affrontare.

Un pezzo grosso dell'amministrazione provinciale, ora divenuto ministro, qualche tempo fa propose di porre rimedio all'alto numero di incidenti mortali del sabato sera,  facendo tagliare migliaia di platani lungo uno storica strada provinciale: come se il problema fosse quello dei platani  (i quali, comunque, hanno  anch'essi il diritto di vivere) e non quello di uno stile di vita assolutamente sbagliato e di uno scarso senso di responsabilità da parte di molti giovani.

Ma torniamo al problema del risvegliato che deve confrontarsi, tutti i santi giorni, con una folla di sonnambuli, i quali si muovono pericolosamente e reagiscono in modo aggressivo se qualcuno tenta di destarli e di responsabilizzarli.

Julius Evola suggeriva che, in tempi di Kali Yuga, l'unica cosa da fare è imparare a «cavalcare la tigre»: ossia, anziché opporsi frontalmente ad una situazione negativa generalizzata, sfruttare la corrente, per procedere in maniera da non ricevere troppi danni e, addirittura, per riuscire a volgere a proprio favore le stesse caratteristiche di quella situazione, con l'obbiettivo di preservare il bene della propria interiorità.




Sia come sia, che impari a cavalcare la tigre, oppure che si abitui ad assecondare la corrente, il risvegliato ha la piena consapevolezza di non essere un superuomo e di non poter modificare, egli solo, una determinata situazione diffusa nella società in cui egli si trova a vivere; e, inoltre, che non sarebbe saggio cercar di forzare l'evoluzione spirituale degli altri esseri umani per le ragioni che abbiamo detto sopra.

Che cosa dovrà fare, allora?... È molto semplice.

Primo, dovrà proseguire incessantemente a lavorare su se stesso: perché la propria evoluzione spirituale è un'opera che non finisce mai, e che si rivela più impegnativa, mano a mano che una persona vi si addentra.

Secondo, offrire – nella misura delle sue possibilità – una diversa prospettiva a tutti coloro che gli stanno intorno e che gli sembrano aperti ad un cambiamento, ma senza illudersi di vederli cambiare dall'oggi al domani né attendersi gratitudine o amicizia; ma, invece, mettendo in conto un certo grado di incomprensione, se non addirittura di aperta ostilità.

In ogni caso, egli sa che le cose accadono quando è giunto il tempo in cui devono accadere: non un minuto prima, né un minuto dopo.

In ciò consiste l'armonia del tutto: che ogni cosa è come dev'essere; e i fatti che ci appaiono negativi, in realtà sono tali solo nella misura in cui noi non siamo in grado di farne una occasione di crescita e di perfezionamento.

In altre parole, la disarmonia è in noi, non nel Creato; è nostra la responsabilità di non essere abbastanza evoluti da gestire in modo responsabile e proficuo le occasioni che la vita ci offre, per quanto esse possano presentarsi, talvolta, nella rude veste di eventi dolorosi.

Il risvegliato, pertanto, è colui che, ad un certo punto, decide di cogliere le occasioni che l'esistenza gli offre per riprendere possesso di sé, per tornare ad essere il vero protagonista del proprio volere e del proprio agire. È colui che decide di non dare più ad altri la delega totale di ciò che lo riguarda in prima persona; di ascoltare i segni e di imparare a riconoscere gli avvertimenti.

Il mondo è pieno di segni (cfr. QUI; ndr), la vita è piena di avvertimenti. Si può dire che non vi è persona, situazione o vicenda che noi incontriamo nel nostro cammino terreno, che non costituiscano altrettanti segni, indicazioni, suggerimenti o stimoli.

Tutto ci parla, se siamo disposti ad ascoltare; ma, naturalmente, per poter compiere questo, bisogna prima imparare a fare silenzio. Troppi rumori inutili, fuori e dentro di noi, ci impediscono di udire l'Essenziale; la cacofonia che ne esce ci vieta di udire e di godere del magnifico concerto dell'Infinito.




Finché continuiamo a dormire, i nostri orecchi sono chiusi all'armonia dell'Essere, così come i nostri occhi lo sono al suo Splendore.

Impariamo ad aprire occhi e orecchi... cominciamo a destarci: ce n'è di "giorno", che ancora deve sorgere per noi... completamente immersi nel sonno.

L'unica sua "Luce" è quella che ci trova ben svegli, pronti e desiderosi di accoglierLa in noi.»
                                                                                                                 Francesco Lamendola
                                                                                                              
Concludo con una magnifica intervista fattagli dal compianto Marco Cosmo (Decimo Toro) che interesserà sicuramente non solo i risvegliati, ma soprattutto gli attenti ricercatori della "Luce del giorno" menzionata dall'Autore, a cui è andato incontro lasciando questo mondo.



 
Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonti: QUI e QUI. 

giovedì 5 giugno 2025

La Beata Conchita: Nuova Pentecoste e Tempi Finali



ATTENZIONE!  C'è un AVVISO importante, a piè pagina, da don Minutella!

Sebirblu, 5 giugno 2025

Come non c'è volontà d'uomo che possa fermare l'alba, così l'avvento ormai alle porte della Nuova Pentecoste getterà il genere umano nello stupore, per taluni disperato, e per talaltri nella gioia soprannaturale della fine dell'incubo a cui sono stati sottoposti.

Eh sì, perché la Luce Santissima di Dio investirà tutti... e questo evento straordinario, immenso Dono della Sua Bontà infinita, metterà a nudo le anime che vedranno sé stesse nel loro operato più intimo, sia nelle violazioni della Legge suprema, che nelle omissioni di soccorso ai propri simili.

Avverrà ciò che succede  nell'attimo in cui si trapassa,  quando in un 'fiat' ognuno vede scorrere davanti a sé tutta la propria vita e, da Scintilla divina qual è, prende coscienza di come ha impiegato il tempo disponibile nella sua esistenza: se in modo proficuo per lo Spirito o no.

Diversi sono i mistici del passato e del presente che hanno annunciato questa visita maestosa quanto improvvisa della Sapienza-Luce-Fuoco sull'umanità, ultima 'chance' per decidere se stare con Dio o con l'Avversario di sempre.

Tra  costoro si è distinta  particolarmente  un'anima eccezionale  che pochi anni fa, ossia il 5 maggio 2019, è stata elevata agli onori degli altari dopo aver condotto una vita esemplare come donna, sposa e madre.

QUI, si trova la biografia completa con tutti i relativi dettagli e QUI, l'articolo sulla sua beatificazione de "La Nuova Bussola Quotidiana".

Mi limito, quindi, ad esporne soltanto qualche accenno per dare spazio ai comunicati trasmessigli da Nostro Signore riguardanti il "Grande Avvertimento" in arrivo. (Sullo stesso tema confrontare anche QUI, QUI, QUI, e QUI).


"Conchita" Cabrera vestita da sposa (1862-1937)

Gli Ultimi Tempi e L'Era dello Spirito Santo

La beata María de la Concepcion Cabrera de Armida, detta "Conchita", nacque l'8 dicembre 1862 a San Luis Potosi, una città del nord del Messico. Si sposò nel 1884 a 22 anni e dalle nozze nacquero 9 figli, tra cui una bimba che sarebbe diventata suora nella comunità della Croce del Sacro Cuore e un maschietto consacratosi sacerdote nella Compagnia di Gesù.

Sia prima che dopo il trapasso del marito, avvenuto nel 1901, fondò cinque ordini religiosi ancora attivi dopo la sua dipartita nel 1937 in odore di santità.

Conchita, ricordata come una grande mistica e prolifica scrittrice, grazie anche ai numerosi messaggi ricevuti da Gesù di cui alcuni qui descritti, è stata dichiarata Venerabile da papa Giovanni Paolo II nel 1999 e beatificata nel Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, il 4 maggio 2019.

Ecco dunque le rivelazioni fatte a Conchita dal Cristo sulla seconda Pentecoste e l'Era finale dello Spirito Santo: sono contenute nel libro del domenicano padre Marie-Michel Philipon, intitolato "Conchita" – Diario di una madre di famiglia. 

Un Tesoro nascosto e inesplorato

Per molti cristiani lo Spirito Santo è uno sconosciuto. Il Signore rivelò a Conchita la Sua identità personale nell'ambito della Trinità stessa e la Sua Missione sulla terra di condurre le anime al Fuoco dell'Amore, da cui deriva l'urgente necessità del Suo Regno e di un rinnovamento del Suo culto.

"C'è un Tesoro nascosto, una Ricchezza non utilizzata e misconosciuta nel Suo vero valore che tuttavia è ciò che esiste di più grande nel cielo e sulla terra: lo Spirito Santo. No, nemmeno le anime Lo conoscono bene.

Egli è la Luce, la Sapienza delle intelligenze e il Fuoco che infiamma i cuori. Se c'è tepore, freddo, fragilità, e tanti altri mali che affliggono il mondo spirituale e la Mia Chiesa, è perché non si ricorre a Lui. La Sua missione in Cielo, la Sua vita, il Suo Essere, è Amore. Sulla terra, il Suo Compito consiste nell'avviare le anime verso quel Fuoco d'Amore che è Dio.




Con il Santo Spirito si possiede tutto quello che si può desiderare. Se c'è tristezza, è perché non si ricorre a questo Consolatore divino che è gioia perfetta. Se c'è fragilità è perché non ci si affida a Chi è Forza invincibile.

Se ci sono errori è perché si trascura Colui che è Luce. La fede si estingue per la Sua mancanza. No, non si da il culto dovuto allo Spirito Santo in ogni cuore cristiano.

La maggior parte dei mali che si deplorano nel clero e nelle anime deriva dal mancato riconoscimento come Terzo Componente della Trinità, il Quale è stato determinante nell'incarnazione del Verbo e nella fondazione della Mia Chiesa.

Lo si prega tiepidamente, Lo si invoca senza fervore e molti, anche tra i Miei fedeli, non si ricordano nemmeno di Lui. Tutto questo Mi affligge profondamente.

È giunto il tempo che Egli regni ‒ mi diceva il Signore molto commosso ‒ e non con un Regno lontano come cosa inaccessibile, anche se non c'è nulla più grande di Lui in quanto Dio, consustanziale al Padre e al Figlio.




Ma bisogna che regni, lì, vicinissimo, in ogni anima e in ogni cuore, in tutte le arterie della Mia Chiesa. Il giorno in cui lo Spirito Santo fluirà in ciascun pastore, in ogni sacerdote, così intimamente come il sangue, in quel momento saranno rinnovate le virtù teologali che ora languiscono persino nei ministri della Mia Istituzione, per la Sua assenza.

Allora il mondo cambierà, perché tutti i mali di cui ci si lamenta oggi hanno per causa l'allontanamento dello Spirito di Verità, loro unico rimedio. Che i ministri consacrati reagiscano, attraverso di Esso, e tutto il mondo delle anime sarà divinizzato.

È l'asse attorno a cui ruotano le virtù. Non esiste virtù vera senza lo Spirito Santo. L'impulso decisivo per innalzare la Mia Chiesa dallo stato di prostrazione in cui giace consisterebbe nel ravvivare il Suo culto.

Gli si dia il Suo giusto posto, ossia il primo nelle intelligenze e nelle volontà! Nessuno mancherà di nulla con questa Ricchezza celeste. Il Padre ed Io, il Verbo, desideriamo un rinnovamento ardente e vivificatore del Suo Regno nella Chiesa.

«Signore, ciò nondimeno, lo Spirito Santo regna nella Chiesa, perché Ti lamenti?»

Guai ad essa, se non fosse così! Certamente lo Spirito Santo è l'anima di questa Chiesa tanto amata! Ma quello di cui mi lamento è che non ci si rende conto di questo Dono del Cielo, non Gli si dà tutta l'importanza che deve avere.




La Sua devozione nei cuori è ordinaria e languida, tiepida e secondaria. Questo porta mali innumerevoli sia nella Chiesa che in tutte le anime. Ecco perché le Opere della Croce vengono a rinnovare il Suo culto e ad estenderlo su tutta la terra.

Che lo Spirito di Sapienza alberghi nelle anime, e il Verbo sarà conosciuto e onorato, poiché la croce prenderà un nuovo slancio nelle anime spiritualizzate dall'Amore divino. A misura che Egli si renderà presente, il sensualismo che oggi invade la terra sparirà.

Mai la Croce (ancora di Salvezza; ndt) metterà radici se il terreno non sarà stato preparato in precedenza dallo Spirito Santo. Ecco perché ti è apparso per primo nella visione. È per questo motivo che si trova al vertice della Croce dell'Apostolato.*

Uno dei frutti principali dell'incarnazione mistica è il Regno del Santo Spirito che deve far scomparire il materialismo" ‒ 19 febbraio 1911.


*Visione avuta da "Conchita" per l'Apostolato della Croce.

Lo Spirito Santo è molto vicino alle anime

"Le anime immaginano che lo Spirito Santo sia molto lontano e si tenga a grandi altezze. In realtà Egli è, per così dire, la Terza Parte divina che assiste più da vicino la creatura (se naturalmente la creatura Glielo permette; ndt). L'accompagna ovunque, la pervade, la chiama e veglia su di lei.

La copre con la Sua protezione. Ne fa il Suo tempio vivente, la difende, la soccorre, la custodisce da tutti i suoi nemici. È più vicino all'anima che l'anima stessa. Tutto il bene che un essere compie, lo attua grazie alla Sua Ispirazione, alla Sua Luce, alla Sua Grazia e al Suo aiuto.

E tuttavia non Lo si invoca, non Lo si ringrazia per la Sua azione immediata e così intima in ogni anima. Se tu invochi il Padre, se Lo ami, è per lo Spirito Santo. Se tu Mi ami con ardore, se tu Mi conosci, se tu Mi servi, se tu Mi imiti, se tu sei una cosa sola con i Miei comandi e il Mio cuore, è per lo Spirito Santo.

Lo si considera come inarrivabile e Lo è, in realtà; tuttavia non esiste nulla di più tangibile, di più vicino e alla portata della creatura nella sua miseria, quanto questo altissimo Essere, Spirito Santissimo che si riflette e costituisce un'unica stessa Santità e Potere con il Padre ed il Figlio.

Sono passati i secoli e Lui resta sempre il Principio di tutte le cose. Lascia la Sua impronta nelle anime e il Suo sigillo nel sacerdote. Comunica la Luce della fede e tutte le virtù. Irriga e feconda il campo della Chiesa. 

Malgrado tutto questo, non Lo si apprezza, non Lo si conosce, non Lo si ringrazia per la Sua azione perpetuamente santificatrice. Se il mondo è ingrato verso di Me, quanto più verso lo Spirito Santo! (Cfr. QUI le visioni di K. Emmerick e M. Valtorta sulla Prima Pentecoste al Cenacolo; ndt).

Ecco perché voglio che alla fine dei tempi si dispieghi la Sua gloria... Uno dei dolori interiori più crudeli per il mio Cuore è questa ingratitudine di tutti i tempi, questa idolatria, nel passato attuata nel culto degli idoli, ed oggi nell'adorazione dell'uomo per se stesso, dimentico dello Spirito Divino.

Nei tempi odierni la sensualità ha stabilito il suo regno nel mondo; questa vita materiale ed oscura spegne la fiamma della fede nelle anime. Per tale ragione, più che mai, è necessario che lo Spirito di Sapienza venga a distruggere e annientare Satana che, assumendo tale forma,  penetra*  anche nella Chiesa" ‒ 26 gennaio 1915.

* (Questo nel frattempo è già accaduto, non soltanto con l'avvento del Falso Profeta, Bergoglio, ma anche con l'intronizzazione di Lucifero tramite una doppia messa nera "officiata" in contemporanea il 29 giugno 1963 tra gli USA e il Vaticano, nella Cappella Paolina; ved. QUIQUI ‒ ndt).




Una Nuova Pentecoste

"Con l'inviare nel mondo una Nuova Pentecoste, Io voglio che esso si infiammi, si purifichi, e sia illuminato, acceso e mondato dalla Luce e dal Fuoco Divino. L'ultima tappa del mondo deve mostrarsi in modo del tutto speciale per l'effusione del Santo Spirito.

Egli vuole regnare nei cuori e nell'intero pianeta, non tanto per rendere onore alla Sua Identità quanto per far amare il Padre e renderMi testimonianza, benché la gloria sia dell'Unica Trinità." ‒ 26 gennaio 1916. (Sul Principio Trinitario documentarsi QUI e QUI; ndt).

"Dì al Papa (c'era allora Benedetto XV) che è Mia volontà che in tutto il mondo cristiano si supplichi lo Spirito Santo, implorando la Pace e il Suo Regno nei cuori. Solo Lui potrà rinnovare la faccia della terra; Egli porterà la Luce, l'unione e la carità negli animi.

Il mondo affonda perché si è allontanato dallo Spirito Santo: tutti i mali che lo affliggono hanno lì la loro origine. Il rimedio si trova in Lui: Egli è il Consolatore, l'Artefice di ogni grazia, il legame unificante tra il Padre e il Figlio, il supremo Conciliatore perché Egli è Carità, Amore increato ed eterno.

Tutto il pianeta ricorra a questo Santo Spirito perché il tempo del Suo regno è giunto: quest'ultima tappa gli appartiene in modo particolare affinché Egli sia onorato e sommamente esaltato. La Chiesa Lo predichi, le anime Lo amino, il mondo intero Gli sia consacrato; verrà la Pace insieme ad una reazione morale e spirituale più grande del Male da cui la terra è tormentata.

S'inizi subito ad invocare con preghiere, penitenze e lacrime lo Spirito di Sapienza, col desiderio ardente della Sua Venuta. Egli verrà... Io Lo manderò una seconda volta, in modo evidente nei suoi effetti... che stupirà il mondo e spingerà la Chiesa alla santità" ‒ 27 settembre 1918.

Supplica allo Spirito Santo

Vieni Spirito Santo, effondi su di noi la sorgente delle Tue grazie e suscita una nuova Pentecoste nella Tua Chiesa! Scendi sui Tuoi Vescovi, sui sacerdoti, sui religiosi e sulle religiose, sui fedeli e su coloro che non credono, sui peccatori più induriti e su ognuno di noi!

Scendi su tutti i popoli del mondo, su tutte le razze e su ogni classe e categoria di persone! Scuotici col Tuo soffio divino, purificaci da ogni peccato e liberaci da ogni inganno e da qualsiasi male! Infiammaci col Tuo fuoco, fa che bruciamo e ci consumiamo nel Tuo amore!

Insegnaci a capire che Dio è tutto: tutta la nostra felicità e la nostra gioia, e che solo in Lui è il nostro presente, il nostro futuro e la nostra eternità.

Vieni a noi Spirito Santo e trasformaci, salvaci, riconciliaci, uniscici, consacraci! Insegnaci ad essere totalmente di Cristo, totalmente Tuoi, totalmente di Dio!

Questo te lo chiediamo per l'intercessione e sotto la guida e la protezione della Beata Vergine Maria, la Tua Sposa Immacolata, Madre di Gesù e Madre nostra, la Regina della Pace! Amen.




"Chiedi questo cambiamento radicale, questa Nuova Pentecoste della quale necessita tutta la Mia Chiesa. 

Il mondo sprofonda nell'abisso perché manca di preti che lo aiutino a non cadervi; sacerdoti di Luce per illuminare le vie del Bene; sacerdoti puri per ritrarre dal fango tanti cuori; sacerdoti di fuoco che riempiano l'universo d'Amore divino. Prega, supplica il Cielo, offri il Verbo perché tutto sia restaurato in Me dallo Spirito Santo" ‒ 1 novembre 1927.

"Voglio ritornare al mondo attraverso i Miei ministri; voglio rinnovare il mondo delle anime manifestandomi nei Miei preti. Voglio dare un impulso potente alla Mia Chiesa infondendole,  in  una  "Nuova Pentecoste",  lo Spirito Santo  in tutti  i  Miei pastori" ‒ 5 gennaio 1928.

Concludo con le parole che Conchita ha lasciato scritte su di sé:

«Essere moglie e mamma non mi ha mai impedito di vivere spiritualmente; sembra piuttosto che nel tempo in cui ero già sposata da un anno e mezzo, il Signore abbia cominciato a chiamarmi con insistenza alla Perfezione. Chi lo crederebbe!

Da allora Gesù mi si è avvicinato sempre più chiaramente, infondendomi l'anelito della piena santità che lui auspicava per me, fino a quando, diventata vedova nel 1901, pensavo che il mondo mi fosse caduto addosso.

Quanto mi mancava mio marito! Sola e con tanti figli... a 39 anni! Ero entrata in un'oscurità enorme di cui non vedevo l'uscita, perché coincideva col fatto che anche il Signore si era nascosto a me. Mi sono ritrovata dunque in una doppia e terribile solitudine: quella di Gesù e quella di Pancho.

Ho compreso che la mia vita era di fede e che l'abbandono alla Volontà di Dio doveva essere il mio pane quotidiano.»


"Conchita" con sette dei suoi nove figli.

Immersa in un oceano di dolore, ella non aveva tregua, né di giorno né di notte; ovunque e in ogni modo soffriva amaramente.

Ciò che le rimaneva era soltanto un cuore spezzato, ma... la "strategia" del Padre è proprio questa per tante anime: chiamata anche "notte oscura", ossia la parte finale della trasformazione interiore che lascia l'«uomo vecchio» morire a sé stesso per risorgere nel «nuovo», pronto a più alte "imprese" spirituali perché il Bene trionfi. 

Traduzione, adattamento e cura di: Sebirblu.blogspot.it

Fonte dei brani da: "Conchita"  Diario di una Madre di famiglia  (QUI, il pdf in spagnolo). 

Fonte delle sue ultime parole: casaconchita.org 


AVVISO IMPORTANTE

Don  Alessandro M. Minutella, come specificherà bene nel video, ha indetto, insieme agli altri cinque sacerdoti del Sodalizio Mariano, un Evento-Raduno eccezionale del "Piccolo Resto" a Monza (nel nord-est di Milano), domenica 29 giugno festa dei SS. Pietro e Paolo, dalle ore 14 alle 18, all'Opiquad Arena ‒ viale Gian Battista Stucchi.

È fondamentale esserci perché, dopo l'elezione del nuovo pseudo-papa Leone XIV, alias "Francis 2" (ved. QUI), nulla è cambiato malgrado le apparenze... Pertanto è indispensabile, ORA più che mai, farsi vedere uniti: una Forza Viva e Ardente che combatte contro il Serpente Antico sotto la protezione SICURA della Vergine Maria, con la Quale VINCEREMO la battaglia.

Ecco la rubrica "Santi e Caffè" di ieri mattina, in cui il caro Padre comunica pure che la Magistratura, alla quale si erano rivolti calunniandolo alcuni dei suoi numerosi nemici, ha archiviato definitivamente il processo a suo carico... di sicuro con l'aiuto di Dio... che ringraziamo con tutto il cuore.

    

Un'altra voce grida la Verità...