"Predicazione in parabole" di Rudolf Yelin der Ältere (1864-1940) |
Sebirblu, 26 giugno 2022
Un recente post (QUI) ed altri di pari
sostanzialità hanno suscitato da parte dei lettori alcune domande,
tra le quali due, di indiscusso interesse generale e quindi meritevoli a
mio parere di una risposta pubblica per una corretta e proficua
crescita interiore.
Il primo quesito, un
enigma per molti, riguarda il seguente brano di Matteo 13, 10-17:
"Gli si avvicinarono allora i
discepoli e gli chiesero: «Perché parli in parabole con loro?».
Gesù rispose: «Perché a voi è
concesso di conoscere i misteri del Regno dei cieli, ma a quelli là
fuori no. Poiché a chi ha (l'umiltà e la fede; ndr) sarà dato e
sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha
(o che crede presuntuosamente di avere; ndr). Per questo parlo a loro
in parabole: perché pur vedendo non vedano, e udendo non odano e non
comprendano. Così, si compie in essi la profezia di Isaia 6, 9-10:
"Voi udrete, ma non intenderete,
vedrete, ma non riconoscerete. Perché il cuore di questo popolo si è
reso insensibile, son diventati duri d'orecchi ed hanno chiuso gli
occhi per non vedere, gli orecchi per non udire e il cuore per non
intendere e convertirsi affinché io li risani."
Ma beati i vostri occhi perché vedono
e i vostri orecchi perché sentono. In Verità vi dico: molti profeti
e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo
videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!»
Ora, analizziamo. Innanzitutto va
precisato che al tempo della predicazione profetica di Isaia (intorno
al 740 a.C.) vigeva la Legge Mosaica, ossia "l'occhio per occhio
e dente per dente", detta anche "legge del taglione",
e quindi non ci si può scandalizzare di certe espressioni o
comportamenti che oggi ci appaiono drastici e incomprensibili.
Detto questo, bisogna considerare che,
se per i popoli antichi Dio poteva apparire come un "dispensatore"
di castighi in quanto "geloso" e "vendicatore",
anche se "lento all'ira", in realtà non si può attribuire
all'Eterno alcunché di negativo o di dannoso per qualsiasi essere da
Lui creato, perché una delle Sue tre Prerogative* assolute ‒ oltre
alla Potenza e alla Sapienza ‒ è l'Amore.
*Prerogative che corrispondono
rispettivamente al Padre (Potenza), allo Spirito Santo (Sapienza) e
al Figlio (Amore).
"Trinità" di Marcello Ciampolini |
Quindi, pensare che sia Dio l'artefice
dell'«indurimento del cuore» (come quello del faraone che non
voleva lasciar liberi gli Ebrei), o dell'«accecamento spirituale»
(affinché non si comprenda e si cada nell'errore), è una forma di
blasfemìa che ai nostri tempi è intollerabile e inammissibile.
La spiegazione del suesposto passo
evangelico, dunque, così difficile a comprendersi per tanti, risulta
molto semplice se si considera che una norma ferrea e giusta regge
l'Universo, ed è la «Legge di Causa e di Effetto».
In base a tale legge, viene facile
capire che di fronte alla pertinacia ad oltranza di certi individui,
governati non dal loro Spirito «dormiente» (che è Scintilla
Divina; ved. QUI e QUI), ma dalle passioni più sfrenate (ved. QUI) e
non dome che li animano ‒ come la superbia e l'orgoglio che
offuscano l'intelletto, rendendo ciechi e quindi impedendo loro di
discernere ‒ Dio si ritiri da essi nella sua elargizione di «Grazia
illuminante» lasciandoli alle proprie convinzioni ostinate.
È esattamente quello che succede
allorché qualcuno, sebbene ci sia il sole, si incaponisca a rimanere
chiuso nella sua stanza buia e fredda senza esporsi ai raggi benefici
e salutari dell'astro, sostenendo caparbiamente di star bene così.
Perciò, non è l'Eterno che
«indurisce» i cuori o manda uno «spirito di inganno» affinché
«non si pentano e non si convertano», ma è l'essere stesso che con
la sua durezza e cocciutaggine si rinserra dentro il suo «abitacolo»
e non si apre al flusso rigenerante dell'Altissimo che PERMETTE tutto
ciò avendo creato gli esseri LIBERI e quindi anche «responsabili»
delle loro scelte.
Ecco la «Legge di Causa e di Effetto»
che sotto la spinta personale di ognuno si manifesterà positiva o
negativa, a seconda dell'impulso dato, agendo esattamente come un
boomerang, e non per mezzo del «maglio» di Dio scagliato con «potenza di inganno»* se taluno non accoglie o non vuol
riconoscere il Vero, come tramandatoci da Paolo di Tarso che era, appunto, uno zelante dottore della Legge Mosaica.
*..."E per questo Dio invia loro
una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così
siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma
hanno acconsentito all'iniquità." (2Tessalonicesi 2, 11-12).
Ritornando perciò alla domanda
iniziale dei Discepoli sull'uso delle parabole adottato da Gesù
verso le folle, la risposta è che Egli le utilizzò affinché
potessero intendere coloro che dovevano intendere, poiché ogni
individuo ha la propria ora... pertanto, le stesse divenivano chiara
visione della realtà per coloro che erano già nella fede e per i
quali tale ora era scoccata.
Ovviamente per tutti gli altri, le
similitudini potevano servire da punto di partenza e diventare
oggetto di riflessione per meglio sopportare la fatica, la lotta
interiore o la conoscenza del proprio Sé.
Ed è di questo che dovrò
occuparmi adesso con il secondo commentatore, animato dal desiderio di «riuscire ad avere un rapporto diretto e mistico
col Divino», che finora non ha coronato.
Sono anni e anni ormai che nel nostro mondo
occidentale si parla di «illuminazione interiore», di «presa di
coscienza», di «risveglio d'anima» e di tutto ciò che, in
sintesi, dovrebbe essere il risultato di una seria meditazione.
È così sorprendente la superficialità
con cui si ipotizza la scoperta più importante e fondamentale della
vita di un uomo, come lo è la «Consapevolezza del proprio Sé», tanto da rimanere esterrefatti e
sconcertati.
Lungi da me il voler esternare della
facile retorica ma, obbiettivamente, quasi sempre mancano i requisiti
indispensabili per sperare di riuscirci.
Così, malgrado l'oscurità spirituale
sempre più fitta che ci attornia, indico la «Via Maestra» e il
percorso da seguire a coloro che veramente vogliono intraprendere il
Cammino che porta alla Vetta.
Non è possibile ingannare la Legge di Dio;
non sono concesse scorciatoie. Da essa abbiamo ricevuto regole
precise: ‒ I Dieci Comandamenti ‒ (malgrado, ahimè, quello che dice Bergoglio; ved. QUI).
Il primo di essi dice: «Io sono il
Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di Me». Ebbene, chi è colui che non mette al
primo posto l'interesse per la famiglia, per i figli, per il denaro,
per la carriera, per l'eredità, per la salute, per l'ambizione e il
potere?
Come si può credere che possa essere
sufficiente una seppur metodica meditazione o un'intensa e reiterata
preghiera per risolvere la nostra vita?
Dobbiamo sapere che l'osservanza dei
«10 Articoli» che Mosè ricevette sul monte Sinai, SONO UN OBBLIGO,
UNA «CONDITIO SINE QUA NON» per tutti gli uomini, nessuno escluso!
Questa è la PRIMA TAPPA se vogliamo
davvero immetterci nel Sentiero della Risalita a Dio. Se non è così, necessita un
approfondito esame introspettivo, altrimenti ci illudiamo e ci
auto-inganniamo.
Se le nostre «carte» sono in regola,
allora possiamo procedere verso la SECONDA TAPPA: seguire
scrupolosamente la Nuova Legge di perfezionamento portata dal Cristo
e magistralmente da Lui esemplificata attraverso l'Amore e l'Umiltà.
Queste sono le colonne portanti
dell'edificio spirituale, senza le quali è impossibile giungere alla
TERZA TAPPA, al Battesimo di Fuoco, al Risveglio dell'Io, al «Nosce
te ipsum», in greco «gnōthi seautón», ossia il «Conosci te
stesso» inciso sul frontespizio del Tempio d'Apollo a Delfi e
utilizzato come motto preferito da Socrate. (Cfr. QUI).
"Socrate insegna agli studenti la Conoscenza di Sé" Pier Francesco Mola (1612-1666) |
Il Fuoco – Sapienza rende chiare e distinguibili le cose, fa emergere i contrasti, porta il discernimento necessario e
con esso la Fede ardente, la certezza assoluta dell'esistenza dello
Spirito, di gran lunga superiore al mondo fenomenico.
Se non avremo dunque purificato almeno
in gran parte noi stessi (soprattutto con la rinuncia* a qualunque cosa ci stia umanamente a cuore) ed eliminato ampiamente il bitume
dell'anima, non potremo aprirci «come il fiore di loto» alla Vita
vera e ci crogioleremo pericolosamente in una vaga illusione di
pseudo-spiritualità, senza alcun sigillo autenticato dalla Legge
Divina.
*La
parabola del tesoro e della perla preziosa (Matteo 13, 44-46)
"Il
regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo; un uomo
lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende
tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il
regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle
preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi
averi e la compra."
L'egoismo e l'orgoglio, frutti della
superbia (cfr. QUI e QUI), sono esattamente il contrario dell'amore e dell'umiltà;
elementi indispensabili per la seconda tappa; quindi, mancando
questi, si rimane bloccati, non si può procedere!
Tutto il resto, fatto di protèrvia, di
saccenterìa e di albagìa, diventa un parlare vano, blasfemo; è un
carpire il Sacro, è un insulto a Dio che si dovrà pagare con «il
pianto e lo stridor di denti», in base alle responsabilità
personali o all'insipienza dei più.
Per capire meglio come realizzare i
supporti della tappa intermedia per proseguire nella successiva,
conviene chiarire.
L'evangelista Marco, nel paragrafo 12,
versetti 28-34, riporta:
"Uno degli scribi che li aveva
uditi discutere, visto che Egli aveva loro ben risposto, si accostò
e Gli domandò: «Qual è il più importante di tutti i
comandamenti?»
Gesù rispose:
Il primo è: «Ascolta, Israele, il
Signore nostro Dio è l'unico Signore. Ama dunque il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la tua mente
e con tutta la tua forza».
Il secondo è: «Ama il tuo prossimo
come te stesso. Non c'è altro comandamento maggiore di questo».
Lo scriba replicò:
«Bene, Maestro! Tu hai detto secondo
verità, che vi è un solo Dio e che all'infuori di Lui non ce n'è
alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l'intelletto,
con tutta la forza e amare il prossimo come sé stessi è molto più
di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Gesù, vedendo che aveva risposto con
intelligenza, gli disse:
«Tu non sei lontano dal Regno di Dio». E
nessuno osava più interrogarlo."
Tale passo si riferisce al Vecchio
Testamento (Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18) che, come abbiamo
visto, non è stravolto, né abolito, ma riaffermato con una certa
forza.
Se Gesù ribadisce l'insegnamento
antico con il Suo interlocutore, ciò è dovuto alla dura cervice
della gente di allora, che non avrebbe potuto capire "ex abrupto" il
nuovo messaggio.
Infatti Egli soggiunge: «Tu non sei
lontano dal Regno di Dio».
Il dovere di un buon israelita sarebbe
stato quindi quello di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo
(ALMENO) come sé stesso.
Ma il Messia ha portato l'Amore ad
un'estensione tale da dare la Sua Vita per gli altri e, addirittura,
per i Suoi nemici! Ecco la perfezione del Movimento Cristico! (Cfr.
anche QUI).
Non più quindi il doverci limitare ad
amare il prossimo come noi stessi, ma ad amarlo dimenticando,
rinunciando, sacrificando il nostro ego, perché non c'è Amore più
grande di questo!
Concetto "identico" a ciò che proclama il "Falso Profeta", Bergoglio, in questo video, astenendosi (intenzionalmente?) di parlare del Trionfo Sublime della Risurrezione Cristica (cfr. QUI), ma sottolineando il "Fallimento di Dio!"
SI PREGA DI APRIRE GLI OCCHI, GENTE!
Altro che dottrina stile New Age, che
consiglia l'autostima ed il «volersi bene», come se noi non attuassimo questo già in abbondanza! È esattamente il contrario!
Gesù ci ricorda: «Chi ama la propria
vita la perderà» (Gv. 12,25), e d'altra parte, se qualcuno avesse
ancora qualche dubbio, vada a leggersi il brano di Giovanni 13,34
dove il Maestro Divino solennemente dice:
«Io vi lascio un Comandamento nuovo:
Amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi».
È evidente che il modo corretto di
amare non è più ristretto come prima, ma totalmente espanso. E
questo è il Vero Amore che Lui ci ha insegnato, perché così «tutti
riconosceranno che siete miei discepoli». Gv. 13,35.
Ad Maiorem Dei Gloriam!
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