venerdì 13 settembre 2024

Saper leggere i "SEGNI" è esser desti e consapevoli




Sebirblu, 12 settembre 2024

Molte volte nei miei post ho parlato di "segni" attraverso i quali l'«Imponderabile» si manifesta affinché gli esseri umani siano avvertiti. (Solo per citarne alcuni tra i più importanti: ved. QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI).

Di conseguenza, pubblico un eccellente articolo del prof. Francesco Lamendola sul tema in questione che, seppur "sfrondato" di qualche brevissimo passaggio per non appesantirne la lettura, rende bene l'idea di quanto sia necessario affinare lo Spirito per saper leggere i segnali nascosti dietro gli eventi e i messaggi che trasmettono.

Saper leggere i "segni" vuol dire essere desti e consapevoli

Quando si prepara un periodo di cattivo tempo, il contadino sa (o meglio sapeva) leggerne i segnali in anticipo, nella terra e nel cielo. Allorché si approssima uno sconvolgimento naturale, ad esempio un terremoto, gli animali lo sentono con molte ore di preavviso e lo manifestano chiaramente con il loro comportamento.

Sono esempi di come i viventi, affidandosi all'istinto, siano in grado di captare una minaccia o un pericolo in arrivo e di prendere le opportune contromisure. Ma noi, da alcuni secoli, preferiamo affidarci alla scienza: ci penserà lei, ci avvertirà lei.

Peccato che, quando è arrivato lo tsunami che ha mietuto innumerevoli vittime lungo le coste dell'Oceano Indiano, a nulla siano valse le più sofisticate strumentazioni tecnologiche: gli unici a salvarsi, rifugiandosi per tempo lontano dalla riva, sono stati i "primitivi" abitanti delle Isole Andamane, che non avevano alcuno strumento di rilevazione meteorologica o sismica e neppure un telefono con cui essere avvertiti dell'onda anomala in arrivo.

Ma vi sono altri "segni" che sembrano annunciare un diverso ordine di pericoli e che noi, forse troppo affaccendati in altre cose come la corsa al profitto e al benessere e la distruzione sistematica dell'ambiente, non siamo in grado di cogliere.

Segni inquietanti di "qualcosa" che si sta avvicinando in modo sempre più netto e che noi non sentiamo, ci sforziamo di non sentire. Altre voci e altri suoni giungono graditi ai nostri orecchi, quelli di un consumismo forsennato e di un edonismo senza limiti.

E poi, di cosa dovremmo preoccuparci? Non abbiamo forse un esercito di "tecnici" e di "esperti" che ci avvertirebbero, se vi fosse qualcosa di anomalo in vista? Non li paghiamo per questo? Già, perché con la scienza e il denaro noi pensiamo di poterci comprare tutto ‒ non solo la sicurezza contro ogni imprevisto, ma anche una lunga vita e, possibilmente, l'immortalità.

Eppure... i "segni" ci sono, per chi li sa vedere. Per chi non è del tutto obnubilato da uno stile di vita che ci fa prendere lucciole per lanterne, stravolgendo completamente le nostre facoltà di discernimento.




Per chi è sveglio in mezzo ai dormienti che si credono desti anch'essi, anzi iperattivi, ricordiamo l'ammonimento di Gesù: «Vegliate e non dormite, perché voi non sapete quando verrà il momento».

C'è una cosa che ci ha sempre colpiti, più di una domanda che ci ha sempre assillato fin da quando, bambini, abbiamo letto per la prima volta, nel libro dell'Esodo, le vicende che hanno preceduto la partenza del popolo ebreo dalla terra d'Egitto:

«Perché il Faraone non ha saputo leggere e comprendere per tempo l'avvertimento delle piaghe che si stavano abbattendo sul suo Paese e sul suo popolo? Perché ha aspettato la decima piaga, la più grave di tutte, dopo che già tanti "segni" avrebbero dovuto ammonirlo a lasciar partire gli Ebrei?

E i suoi ministri, i suoi consiglieri, erano dunque tutti ciechi e sordi davanti a tali calamità e al manifesto volere di Dio? Perché non hanno saputo interpretare per tempo il significato di quei prodigi, di quelle sciagure; perché hanno atteso che la misura dell'angoscia e della sofferenza fosse riempita sino all'orlo? Un velo copriva dunque i loro occhi, rendendoli ciechi davanti all'evidenza?». Questi interrogativi ci affollavano la mente, e non riuscivamo a trovare una risposta.

È vero che la Bibbia dice che il cuore del Faraone s'era indurito. Ma quanto doveva essersi indurito per lasciare che le cose giungessero a tanto, che tutti i primogeniti morissero inspiegabilmente, compreso il suo, prima di capire la volontà divina e di arrendersi ad essa?

La sua figura, così, acquistava nella nostra immaginazione infantile dei connotati di grandiosa tragicità, di smisurato orgoglio prometeico: com'è possibile, ci chiedevamo, sfidare la pazienza divina fino a tal punto? L'interrogativo è rimasto senza risposta, almeno sul piano psicologico. Eppure, i "segni" del cielo dovevano essere più che evidenti, nella loro drammatica successione.

Dieci piaghe,  una dopo l'altra,  una  più  sconcertante e spaventosa  della  precedente. E tutte con il marchio del soprannaturale, fin dalla prima: l'acqua mutata in sangue. Poi la seconda: un'invasione di rane; la terza: un'invasione di zanzare, la quarta: un'invasione di tafani; la quinta: l'inarrestabile moria di bestiame.

E così via: la sesta: delle ulcere ripugnanti sul corpo di uomini e animali; la settima: una grandine così tremenda da distruggere non solo i raccolti, ma anche la vita di quanti si trovavano allo scoperto; l'ottava: un'invasione di cavallette divoratrici; la nona: una densa tenebra che scende sul mondo per tre giorni consecutivi.

E infine la decima, al cui confronto tutte le altre impallidiscono: la morte improvvisa dei primogeniti d'Egitto (ma non di quelli della comunità ebraica), che riempie di pianti e di lamenti tutta la valle del Nilo.




Sono passati gli anni, e ci è capitato di fare delle "strane" riflessioni sull'attualità, tali da riportarci alla memoria quei vecchi interrogativi rimasti senza risposta.

Non si dà il caso che ora stiano accadendo molte, troppe cose insolite e piuttosto allarmanti? E non è ancora più strano che nessuno se ne sia accorto; o meglio, che nessuno abbia pensato di collegarle in un quadro completo e interrelato, benché di alcune di esse (non di tutte) le cronache dei mezzi di comunicazione di massa si siano occupate alquanto, con il solito piglio sensazionalistico, fortemente emotivo ma nel complesso superficiale?

Ci spieghiamo. Non amiamo, e non ci sono mai piaciuti, gli esaltati e i fanatici religiosi che ad ogni piè sospinto levano alte grida millenaristiche e annunziano la prossima fine del mondo: corvi del malaugurio che vedono "segni" dappertutto e seminano confusione e paura.

Questo, però, non deve renderci ciechi e prevenuti, al punto da avere occhi che non sanno più vedere e orecchi che non sanno udire. Chi si rifiuta di vedere dei "segni" ad ogni costo non è migliore di chi li vede sempre e ovunque, anche dove non vi sono: la durezza di mente e di cuore non sono migliori della credulità e della superstizione. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: l'incapacità di leggere il mondo intorno a noi, di relazionarci in maniera aperta e consapevole con quanto ci circonda.

Perché, se siamo in grado non soltanto di guardare, ma anche di ascoltare; se non abbiamo smarrito la facoltà, oltre che di udire, d'intendere, i "segni" ci sono, eccome. Segni di che genere, segni di che cosa? Segni apocalittici nel senso etimologico del termine: segni di rivelazione (dal greco apokalipto, che significa "io svelo"). Segni che ci rivelano una realtà misconosciuta, che ci avvertono di qualche cosa che si sta preparando.

Ma, per non parlare per enigmi, cercheremo di essere più espliciti e cominceremo col fare una distinzione di massima fra diversi ordini di "segni". Che cos'è, infatti, un segno? Il vocabolario Zingarelli, ad esempio, ci informa che esso è «un indizio, un accenno palese da cui si possono trarre deduzioni, conoscenze e simili riguardo a qualcosa di latente».

Il termine deriva dal latino signum che a sua volta, probabilmente, viene dal verbo secare, ossia tagliare: dunque, un segno è qualche cosa che ci taglia, che ci attraversa la strada, costringendoci a fermarci e a riflettere. Non è necessariamente un miracolo, o un prodigio, o comunque qualcosa che sfida con forza evidente le leggi conosciute della natura: un 'segno' è un indizio, non una rivelazione.

Il 'segno' suggerisce una realtà non del tutto evidente, e che deve essere comunque interpretata, non si impone con la forza immediata di un evento soprannaturale, anche se rimanda a una sfera che non è soltanto quella esperibile con i sensi ordinari e con il logos calcolante e strumentale. 

Decifrare un  'segno',  pertanto,  non ha a che fare  principalmente  con l'intelligenza, la razionalità e la cultura, ma con l'apertura della coscienza, con la disponibilità al trascendente, con il senso del limite e del mistero. Chi non possiede queste attitudini non saprà mai riconoscerne uno, anche se dovesse sbatterci contro; parlerà piuttosto di coincidenze, di singolarità, o semplicemente di suggestione. Il suo cuore resterà chiuso all'esperienza dell'altrove, chiuso e duro come quello del Faraone.


"Mosè parla col Faraone" di James Tissot 

Ed eccoci arrivati ad una iniziale, possibile risposta alla domanda circa l'incredulità del sovrano egizio al tempo di Mosè e dell'esodo degli Ebrei.

Un 'segno' non è automaticamente riscontrabile: per essere riconosciuto, è necessario possederne, se non il codice, almeno la sensibilità a riconoscervi un linguaggio, un gergo che non è completamente umano.

Chi non ammette una tale possibilità, non dispone neppure degli strumenti minimi per poterlo individuare (men che meno per decriptare i "segni" delle dieci piaghe d'Egitto): non riuscirà a vedere alcun collegamento fra la cosa significante e la cosa significata.

Un segnale bianco e rosso sul tronco di un albero, a lato di un sentiero di montagna, è ‒ ad esempio ‒ un 'segno': significa che siamo sulla strada giusta, che non ci siamo allontanati dal retto cammino. Ma, per il cervo o per il capriolo che passano lì accanto, quel segnale non significa nulla del genere: non rientra nel loro codice di comunicazione.

E così il Faraone non seppe riconoscere il significato delle dieci piaghe (se non dopo l'ultima), perché la sua mente e il suo cuore non erano disposti a riconoscervi la presenza di un messaggio: erano solo degli accadimenti naturali, e non avevano nulla di speciale ‒ a parte la loro distruttività, ovviamente. 

Per chi non possiede e non ammette altro organo di conoscenza della realtà che la mente razionale, nessun 'segno' ‒ per quanto anomalo e spettacolare ‒ ne acquisterà mai la valenza.

Noi non abbiamo a che fare con le cose, ammoniva un filosofo antico, ma con le nostre opinioni sulle cose: se pensiamo che per tutto esista una spiegazione (che magari la scienza oggi non possiede, ma domani sarà in grado di raggiungere), allora non ci viene neppure il sospetto che forse gli eventi possano essere dei "segni", ossia degli avvertimenti scritti in un linguaggio che non è umano, e che viene dall'Alto ‒ o, magari, dal basso.

In una seduta spiritica, ad esempio, la manifestazione di una presenza è il segno della irruzione di forze ed entità non umane nel nostro piano ordinario di realtà; e, sia detto fra parentesi, dubitiamo assai che esse siano quel che dicono di essere.

Un'altra possibile ragione all'incredulità del Faraone è che i "segni" ben raramente appaiono "puri", ossia totalmente staccati e rilevati rispetto alla realtà quotidiana; al contrario, vi sono frammisti e per così dire immersi, sicché il loro riconoscimento richiede un occhio che sia un minimo esercitato.




Per il turista distratto, un sentiero nel bosco non presenta proprio nulla di speciale; ma per l'uomo che conosce a fondo il mondo della natura, e non in modo libresco ‒ per un indigeno dell'Amazzonia, ad esempio ‒ quel sentiero è come un libro aperto che presenta innumerevoli tracce: quali esseri viventi vi sono passati prima di lui, da quanto tempo, di quale specie, di che età, ecc. Per i "segni" è la stessa cosa: l'occhio svagato non li riconosce perché non è abituato a leggerli.

Soprattutto, non è abituato a collegarli. Vede il ramo spezzato, ma non pensa a fare uno sforzo d'immaginazione per  "vedere"  l'animale che ha causato ciò;  percepisce, in qualche misura, il silenzio improvviso, ma non gli sovviene che quel subitaneo ammutolire delle creature viventi deve essere l'indizio di qualche cosa. Non sa concatenare: vede i fatti e gli eventi in maniera statica, isolati l'uno dall'altro.

Il faraone e i suoi ministri videro le singole manifestazioni quali le cavallette, le ulcere, la grandine, ma non furono in grado di istituire dei nessi, dei legami organici tra cose apparentemente diverse. Non venne loro in mente che fossero parole di una frase, elementi di un discorso: non venne loro in mente perché gli eventi in sé stessi erano percepiti come realtà statiche e isolate, non come una forma di linguaggio.

Ed eccoci al presente. Quel che la nostra mente analitica ha, in genere, disimparato, è la capacità di vedere le cose nella loro unità e complessità, di vederle a volo d'uccello: scorge le singole foglioline, ma non distingue la foresta; ode le singole note, ma non riconosce il concerto.

La maggior parte di noi vive con il pilota automatico perennemente inserito: vive, cioè, una vita intera senza chiedersi veramente perché fa determinate cose, o perché le incontra: bada solo a ottimizzare il rapporto mezzo-fine, a raggiungere il massimo rendimento con il minimo dispendio (come nella catena di montaggio inventata da Henry Ford).

Non ci stupiamo più davanti alla bellezza delle cose, alla loro eccezionalità, alla loro unicità; non le vediamo con gli occhi della meraviglia e della gratitudine, ma con quelli della consuetudine e dell'utilitarismo: che è come dire che non le vediamo affatto.

In sostanza, viviamo come ciechi che sono convinti di vederci benissimo, e corrono spericolatamente; come dormienti che si credono ben desti, e si aggirano invece, in stato sonnambolico, su cornicioni e tetti.

I "segni", dicevamo, si differenziano in numerose realtà. Possono essere di natura fisica, come gli strabilianti cerchi nel grano, dai disegni talmente complessi (quelli 'autentici', ovviamente) che sembrano fatti al computer: appaiono su vaste superfici di campi coltivati, nell'oscurità, e prima del nuovo giorno risultano già completi e perfetti. Solo dall'alto se ne può vedere tutta l'armoniosa geometria. Chi o che cosa piega le piantine verso terra, formando quegli arabeschi da 'Mille e una notte'?

L'immagine rappresenta l'evoluzione spirituale dell'uomo. Come il bruco che diventa farfalla; ved. QUI.

Su un altro piano di realtà sembrano collocarsi le piogge acide, il grande buco nello strato di ozono, l'effetto serra e il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, l'essiccamento di laghi e fiumi e la desertificazione di vaste regioni del pianeta.

Qui noi conosciamo bene le cause dei fenomeni, tuttavia stentiamo a leggervi dei "segni" che annunciano un disastro imminente. Come l'acqua del Nilo tramutata in sangue, così l'acqua della Terra, all'inizio del III millennio, rischia di tramutarsi in un liquido imbevibile, formicolante di virus e batteri e, per giunta, sempre più raro e sempre più caro: già, perché abbiamo deciso di monetizzare anche quella.

La scomparsa sempre più frequente di persone rimanda ancora ad un diverso piano di realtà. Migliaia di esseri umani spariscono continuamente, di cui in gran parte non sappiamo trovare alcuna spiegazione valida.

Talvolta di tratta di sparizioni improvvise e clamorose, con molti testimoni: come accadde a quell'allevatore del Tennessee che il 23 settembre 1880, presso la cittadina di Gallatin, scomparve davanti a causa sua, sotto gli occhi della moglie, dei figli e di un conoscente.

A un dato momento era lì, che camminava sul sentiero di casa sua, e un attimo dopo non c'era più. La sua voce fu udita, qualche giorno appresso, dalla figlia; ma sempre più debole, fino a quando cessò del tutto. Ed egli non fu mai più ritrovato. Si chiamava David Lang, era un uomo normale dalla vita normale; era conosciuto dai vicini e possedeva una bella fattoria. Scomparve letteralmente, e poi più nulla.

Non è questo il luogo per approfondire un tal genere di fenomeni, d'altronde molto più frequenti di quanto non si creda. Ma è un fatto che accadono, e che non siamo assolutamente capaci di spiegarli, se non ricorrendo ad ipotesi più o meno fantasiose.

Diverso ancora è il caso di quei comportamenti sociali che, non atipici in sé stessi anche se altamente negativi, non possono non sorprendere per la loro irruzione massiccia e subitanea, come se una buona fetta di umanità fosse improvvisamente impazzita o si trovasse sotto l'influenza inarrestabile di forze demoniache. (Ed è ciò che sta accadendo ora nelle nostre città; ndr).

Il cambiamento di mentalità e di costumi indotto dalla società attuale, per quanto rapido esso sia, non riesce a spiegare in modo soddisfacente il dilagare fulmineo di tali movimenti distruttivi, che fa pensare piuttosto alla diffusione di una pestilenza o ad una grandiosa operazione di magia nera, di cui l'umanità sarebbe, per così dire, la cavia. (E in effetti il Male impera: l'anti-Cristo è alle porte! Ndr).

Potremmo continuare, ma una descrizione completa (si fa per dire) dei "segni" che caratterizzano gli ultimi anni del secondo millennio, e quelli attuali del terzo, esula dall'orizzonte della nostra presente riflessione.

A noi importa, piuttosto, riconoscere che qualcosa sta succedendo, qualcosa che i mass media corporativi hanno deciso d'ignorare o di minimizzare e che la scienza "ufficiale" si gira dall'altra parte per non vedere (e per non dover ammettere di non sapere minimamente come spiegarli).

Non solo: ma che questo qualcosa non è opera del caso, che non si tratta di mere coincidenze; ma che dall'insieme degli eventi strani e allarmanti di questi nostri tempi si può evincere un disegno complessivo, o se non altro un linguaggio comune. Non possediamo il codice, ma abbiamo buone ragioni per riconoscervene uno, cioè un insieme di simboli significanti.

Forse, per tentare di penetrare in esso, dovremmo spogliarci di alcune presuntuose certezze imperniate sul raziocinio strumentale e calcolatore della nostra scienza materialista e aprirci alla dimensione trascendente. Forse, soltanto così, qualcosa capiremmo.

Magari non tutto, ma qualcosa sì. Per esempio, che stiamo percorrendo, al buio e senza freni, una strada stretta e pericolosa, lanciati a tutta velocità e, oltre a tutto, ad occhi bendati.

Forse è il caso di toglierci la benda o, per lo meno, di rallentare un po' per iniziare a riflettere verso quale meta stiamo andando, con quali mezzi, e perché.




A quel punto, forse, ma non prima, qualcosa cominceremo a comprendere, o se non altro ad intuire. L'uomo interiore, l'uomo spirituale che ora giace nell'oblio e quasi soffocato in fondo a noi stessi, ridestandosi, ci aiuterà ad interpretare quei "Segni".»

                                                                                                           Francesco Lamendola

Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonte: QUI

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