giovedì 17 aprile 2025

Olezzanti Petali di Pasqua da Kirill in poi...




Sebirblu, 16 aprile 2025

Nella decadenza rovinosa dell'Occidente, di cui tutti noi dovremmo vergognarci, viste le radici cristiane del passato che ne hanno fatto la storia e la cultura, respinte clamorosamente dall'Europa (ved. QUI, QUI e QUI), pubblico oggi, a ridosso della Pasqua di Resurrezione (che quest'anno coincide con quella ortodossa), tre brani russi di differente origine, a testimonianza della solida quanto peculiare spiritualità di questo popolo. (Cfr. QUI).

Il primo appartenente a Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, la cui biografia completa si può trovare QUI, affronta il problema dei flussi migratori e del nuovo paganesimo.

Il secondo scritto proviene da Constantin von Hoffmeister (classe 1976), saggista tedesco, esperto di letteratura inglese e scienze politiche studiate a New Orleans, ha viaggiato molto, operando come business trainer (formatore aziendale) nelle Indie, in Ouzbékistan e in Russia dove si è sposato e avuto due figli.

Il terzo autore è lo schivo Aleksandr Ivanovič Notin, per il quale ho fatto fatica ad avere qualche notizia in più, ma infine la ricerca è stata premiata. (QUI, ho rintracciato la pagina dove, azionando il traduttore automatico, si possono leggere le sue note biografiche).


Kirill o Cirillo 1° (classe 1946) 

Il 10 aprile 2025, Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill ha presieduto la riunione del Consiglio supremo della Chiesa ortodossa russa. Aprendo l'incontro, Sua Santità si è rivolto ai partecipanti con un discorso:

«Oggi all'ordine del giorno abbiamo l'esame dei rischi legati alle migrazioni e al tema sulla creazione di un gruppo di lavoro interministeriale riguardo alla prevenzione del neopaganesimo. 

Per secoli la Russia è stata e rimane la patria di molte etnie e rappresentanti di diverse religioni tradizionali. Il nostro Paese ha sempre dimostrato ospitalità e compassione verso coloro che cercavano rifugio o che semplicemente venivano qui per guadagnare denaro a causa della difficile situazione finanziaria dei loro Paesi d'origine. 

Queste tradizioni sono radicate  nella nostra fede cristiana,  così come in quella di altri popoli indigeni della Russia. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte a sfide che richiedono una risposta urgente. Le migrazioni di massa rappresentano una seria minaccia per l'identità tradizionale della società russa. 

L'afflusso di persone diverse da noi per cultura, stile di vita e abitudini non può che influenzare l'ambiente sociale. Un problema potenzialmente di vasta portata sorse quando si formarono comunità etniche chiuse, ostili alla popolazione indigena russa.

Ciò  che  risulta  particolarmente  allarmante  è che  tra i migranti  molti  non  cercano di integrarsi nella società russa, non vogliono imparare la lingua, non vogliono conoscere la nostra cultura, la nostra diversità culturale o almeno non vogliono rispettare le leggi russe. E non si tratta di differenze religiose, ma di disintegrazione culturale.

In effetti, se guardiamo le statistiche, compresi gli atti criminali, una percentuale molto alta ricade proprio su questi gruppi etnici, i cui rappresentanti, ripeto, spesso hanno una scarsa padronanza della lingua russa, non hanno nulla in comune con la nostra cultura, non vogliono integrarsi, ma sfruttano solo il potenziale economico e il benessere materiale dei cittadini russi per l'arricchimento illegale.

In queste condizioni, la Chiesa deve dichiarare con fermezza l'obbligo di difendere l'unità spirituale e culturale del nostro Paese. Siamo chiamati a testimoniare la necessità di politiche migratorie responsabili. E questa tesi non contraddice in alcun modo la preoccupazione per i diritti umani, le libertà religiose, ecc.


Monastero Laura della Trinità di San Sergio. Massimo Centro spirituale della Russia

Un'altra sfida che dobbiamo affrontare oggi è la diffusione del neopaganesimo. Ne abbiamo già parlato, ma oggi vorrei ripeterlo. Più di mille anni fa la Russia storica scelse consapevolmente e risolutamente la via della sequela di Cristo, cioè rifiutò il paganesimo.

Questa scelta ha determinato l'intero destino futuro del nostro popolo e della nostra patria, ha costituito i cardini della statualità e la base per la formazione degli ideali culturali delle popolazioni. Tuttavia, oggi assistiamo a tentativi di distorcere il nostro passato, di sostituire la vera tradizione spirituale con surrogati costruiti in maniera artificiosa.

Ciò che è particolarmente allarmante è che il neopaganesimo viene spesso presentato ai giovani come una sorta di alternativa all'Ortodossia, presumibilmente più storica, naturale e autenticamente nazionale. In realtà abbiamo a che fare con un mix eclettico di fantasie, elementi presi in prestito da culture diverse e idee decisamente distruttive. 

Molti movimenti neopagani predicano il culto del potere, disprezzano i valori cristiani della misericordia e talvolta impongono apertamente visioni molto distruttive. Forse la cosa più pericolosa è che all'interno di questa cosiddetta cultura, o meglio pseudo-cultura, si forma un atteggiamento particolare nei confronti dell'uso della forza.

Come nelle comunità etniche chiuse, la forza è vista come un fattore decisivo per mantenere l'identità ed estendere un'influenza reale sulla vita della maggioranza. Non si può dire che le nostre forze dell'ordine non prestino attenzione a questo problema, ma è chiaro che le misure adottate non sono sufficienti e che la minaccia alla nostra identità nazionale e culturale permane. 

Naturalmente, la Chiesa, lo ripeto, non può restare indifferente. Dobbiamo affermare chiaramente che il neopaganesimo non ha nulla a che fare con la vera storia dei nostri antenati che accettarono il cristianesimo e trovarono la luce della verità cristiana.

È nel contesto di questa tradizione religiosa che si è formata e sviluppata l'alta cultura russa, che è entrata con tutta la sua forza nel contesto di quella mondiale e continua a rappresentare un fattore di grande attrazione per molte persone, soprattutto perché essa porta in sé una dimensione morale molto specifica.


Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, il 13 aprile 2025, in occasione del
solenne sermone di Kirill sull'«Ingresso di Gesù a Gerusalemme».

Oggi vediamo che c'è una certa fusione di neopaganesimo con tutti i tipi di pratiche occulte ed esoteriche che vengono pubblicizzate senza alcuna restrizione e che sono semplicemente diventate un business: tutti i tipi di stregoni, streghe e tutto ciò che ognuno di noi conosce bene.

Ecco perché il problema del neopaganesimo richiede sia sforzi spirituali ed educativi da parte della Chiesa, sia misure di risposta da parte dello Stato quando questo movimento assume un carattere apertamente distruttivo. Da questo punto di vista, quanto sta accadendo in Russia non è un fenomeno isolato o unico: qualcosa di simile sta accadendo oggi anche in Europa. 

Sappiamo come si formano i gruppi religiosi, che tendono ad usare metodi coercitivi per influenzare la maggioranza circostante. La solidarietà etnica e pseudo-religiosa contribuisce alla formazione di comunità che, violando la legge, terrorizzano la popolazione indigena e creano un contesto estremamente sfavorevole al suo sviluppo spirituale e culturale.

Queste tendenze rappresentano una minaccia molto seria per l'Europa, ma purtroppo dobbiamo riconoscere che minacciano anche la nostra identità nazionale. Dobbiamo quindi esaminare attentamente questo argomento e riflettere su come potremmo rispondere – teologicamente, culturalmente, storicamente – alle sfide delle quali ho parlato ora.

Purtroppo, oggi nella nostra società non si vede alcuna seria discussione su questo argomento.  C'è una reazione emotiva,  in particolare  da parte di coloro  che sono stati offesi dai membri dei gruppi etnici. È risaputo che le forze dell'ordine sono preoccupate per l'aumento della criminalità, ma non ho visto un solo programma televisivo serio in cui questo argomento venisse affrontato apertamente. 

Sono convinto che ci sia una falsa paura di offendere qualcuno. No, non offenderemo nessuno! Ma la società maggioritaria ha diritto alla protezione. Dibattiti aperti, pubblicazione di articoli pertinenti, coinvolgimento di rappresentanti delle comunità scientifiche, culturali e religiose nella discussione dovrebbero essere oggi la nostra risposta alle reali minacce alla nostra identità, e chiedo a tutti di riflettere su come potremmo creare un meccanismo per considerare e studiare seriamente questo problema.»

Aggiungo adesso un articolo di Constantin von Hoffmeister che, pur riferendosi all'Europa nel suo insieme, cita ad un certo punto solo la Francia ma potrebbe essere, a mio avviso, un qualsiasi altro paese del continente europeo, compresa l'Italia.


Il Cristo Pantocratore - Duomo di Monreale, Palermo.

Cristo come asse eterno dell'Europa

«Credo in Cristo in un modo diverso dalla fede nel sorgere del sole o nella solidità della pietra. Cristo esiste oltre al regno della credenza empirica. È una forza, una corrente storica, il plasmatore degli aneliti più intimi dell'anima occidentale.

Quando parlo di Cristo, parlo di una rottura nel tempo, di una singolarità spirituale, del tuono silenzioso nel cuore del divenire dell'Europa. La Sua nascita è stata un cambiamento nella grammatica stessa della coscienza umana.

Ci ha insegnato che la storia non è una ripetizione di stagioni, ma un dramma, un pellegrinaggio, un tendere verso una fine e, in quella fine, un nuovo inizio. Egli si è posto all'incrocio tra l'eternità e il tempo e, così facendo, ha ridisegnato l'intera mappa dell'anima.

Cristo è l'asse della forma europea, il nucleo vivo delle nostre cattedrali, delle nostre leggi, delle nostre visioni di giustizia e bellezza. 

La Sua immagine non è solo un simbolo tra tutti i simboli. È la pietra angolare, l'architettura nascosta sotto il nostro pensiero, le nostre aspirazioni, il nostro dolore. Anche quando ci allontaniamo, lo portiamo con noi. 

Nella rivolta, nel silenzio, nel dubbio ‒ Lui rimane. Possiamo vestire l'uomo moderno con gli abiti del progresso e delle statistiche. Sotto di essi, egli piange di nuovo il Golgota.

Il cristianesimo ha dato all'Europa la sua profondità, il senso dell'interiorità, del peccato e della redenzione, del sacro al di là del visibile. E Cristo, più di qualsiasi sistema o impero, ha dato forma e fiamma a questa interiorità.

Il cristianesimo culturale è una necessità. Una casa non può stare in piedi senza le sue fondamenta, anche se i suoi abitanti hanno dimenticato i nomi dei costruttori.

Éric Zemmour  e  Alain Soral,  pur  non  essendo  uomini  di  preghiera,  lo  capiscono. La loro visione non è teologica ma civile. Vedono che senza i ritmi del calendario liturgico, senza la gravità morale della Croce, la Francia diventa un mercato, un meccanismo, un luogo senza memoria.

Non è necessario credere in tutti i dogmi per riconoscere che il cattolicesimo ‒ con i suoi riti, il suo silenzio, la sua bellezza ‒ tiene insieme l'anima di una nazione. Un popolo senza trascendenza non è libero. È semplicemente "dissociato".


I santi e fratelli Cirillo e Metodio, propagatori del cristianesimo in Europa

L'Europa non ha bisogno di sermoni. Ha bisogno di tornare ‒ non alla superstizione ‒ ma alla sostanza vera, al rispetto di sé, alla cornice sacra che ha reso possibile un Beethoven, che ha dato a Dante il suo fuoco.

Le vecchie chiese, anche se in rovina, parlano ancora. Il linguaggio del cristianesimo è nelle nostre ossa, e vivere come se non lo fosse significa dissolversi nell'astrazione.

Dobbiamo vedere che il Cristo, sia che pronunciamo il Suo nome con devozione o con dubbio, rimane la Fonte dell'immaginazione morale e artistica dell'Europa.

Il Suo potere non dipende dalla fede. Si manifesta nella maniera in cui la luce cade attraverso le vetrate, nel silenzio davanti ad un Kyrie, nell'impulso a perdonare, a cercare, a sperare.

Quindi, rispondo come storico dell'anima piuttosto che come teologo. Credo in Cristo come credo nel destino ‒ attraverso una certezza interiore, perché la Sua assenza cancella la mappa dell'Occidente.

La Sua presenza dà struttura al nostro anelito. In Sua assenza, diventiamo frammenti. Alla Sua presenza, anche nella crisi, rimaniamo integri. Imperfetti, ma in lotta. Impuri, ma guidati da un senso di direzione.

Cristo incarna più del passato. Egli offre il potenziale del ritorno, della restaurazione, della forma. E in questa forma, l'Europa può ancora una volta riconoscere sé stessa ‒ meno come utilità, più come vocazione.»




Ed ecco l'ultima "chicca" di spiritualità russa, presentata da un certo Aleksandr Notin, del quale sicuramente in futuro esporrò ancora la profondità di pensiero.

Verso la Fede attraverso la sofferenza

«La Sacra Scrittura insegna, e noi, se stiamo attenti a noi stessi, siamo convinti che il cammino dell'uomo sulla Terra in generale, e verso la fede in Cristo in particolare, passi per i dolori.

Il Signore dice: «Nel mondo avrete tristezza». Non credete ai ricchi, ai famosi e alle persone di successo se affermano il contrario: anche loro soffrono e sono in lutto, ma per la fama e il denaro preferiscono tacere.

Un credente, quando ha già attraccato alla riva della fede e vi ha addirittura messo piede, non solo riconosce il beneficio del dolore, ma ringrazia anche sinceramente Dio per la sofferenza provata, proprio come un paziente ringrazia il medico per un buon medicamento.

Questa gratitudine non nasce dalla conoscenza, ma dalla convinzione, dal cuore stesso. E allora il "Dottore Onnisciente", sicuro che la medicina contro i mali, nel dosaggio appropriato e nel momento giusto, apporta risultati, può persino ridurre l'entità degli spasmi, ma solo a condizione che il paziente sia confermato nell'umiltà e nell'obbedienza alla volontà di Dio.

L'esperienza personale m'ha convinto di tutto questo. Ho capito che i problemi e le difficoltà  che  si presentano nella vita  seguono un certo ordine  e  non sono  "a caso"! E se Dio vuole con un risultato crescente, che ad un certo punto sfocia in un vero e proprio parossismo di dolori, chiamata crisi.

Ripeto, non c'è nulla di casuale in tutto questo. Il Signore dice per mezzo del profeta: «Io sono il padrone delle circostanze.»

Ma torniamo alla mia storia. Per molto tempo, nella maggior parte della vita, benché ciò sia dovuto all'educazione sovietica ricevuta, ho dovuto vivere nella condizione di non credente. In famiglia non si parlava di Dio, evidentemente per paura della condanna pubblica dell'epoca.

Da ciò concludo  che  la  ragione principale  della  mia  incredulità  era  l'ignoranza, ossia, quella più elementare su cosa fosse il cristianesimo. Per ben cinquant'anni ho pensato che le persone che si segnavano in chiesa non fossero del tutto normali. Senza condanna o amarezza, ma con una certa condiscendente simpatia.


Viktor Bychkov

La mia vita scorreva bene: famiglia, carriera, ricchezza, rispetto ostentato da parte di chi mi circondava... Questo, visto dall'esterno. Dentro di me crescevano irritazione, ansia e stanchezza inconsce, dalle quali non c'era manifesta via di fuga.

Apparentemente, nell'arco della crisi, la profondità e l'ampiezza di queste esperienze interiori avevano raggiunto un livello tale che l'Onnipotente ritenne indispensabile intervenire.

Intorno all'anno 2000, in qualche mese, la piramide immaginaria del successo crollò. E la psiche mia, non aspettandosi nulla del genere, sprofondò nelle tenebre della depressione. C'era ancora molta strada da percorrere per arrivare alla fede.

In quello scorcio di tempo, l'anima, grazie al "giudizio di Dio" ‒ è così che si traduce dal greco la parola "crisi" ‒ prese per la prima volta contezza di sé, del proprio essere, della sua presenza personale nel corpo. (Cfr. QUI, QUI, QUI, QUI e QUI; ndt).

Nell'oscurità totale della confusione e della paura, essa realizzò che esisteva. Poi, sempre sull'orlo della follia e persino di pulsioni suicide, cominciai a cercare risposte alla domanda di che cosa fosse l'anima stessa. Le ho trovate in due o tre autori di esoterismo orientale.

Questo ha permesso di evitare il peggio. Ma quando, un po' più tardi, ho provato a trasmettere le mie "nuove scoperte" all'anziano staretz Elia di Optina Pustyn, questi aveva brevemente replicato: "L'ortodossia ha tutto, figlio mio".

Ciò mi ha toccato ed anche un po' offeso. Ma il risentimento si è rivelato fruttuoso, incitandomi ad abbandonare quelle letture per cominciare a rispondere al quesito principale: cosa significava quel "nell'ortodossia c'è tutto"?

Da allora, ogni giorno mi sono sempre più persuaso non solo dell'esistenza di una scienza ortodossa sull'uomo e sull'anima, ma pure che tale scienza è illimitata e può essere studiata durante il corso della vita nella Tradizione Sacra e nelle opere dei Santi Padri.

Alla metà di quegli anni 2000, il Patriarca Alexis II aveva personalmente incaricato la comunità Pereprava "di aiutare le persone che non avessero ancora deciso la loro scelta spirituale". Ero rimasto colpito dalla sua frase secondo la quale noi "avevamo costruito chiese a sufficienza ed era tempo ormai di edificare le anime".

Queste parole sono divenute il filo conduttore di tutti gli anni successivi del nostro lavoro. Così, le sofferenze guariscono i traumi mentali più disperati, se una persona ragionevole le accoglie con comprensione, e addirittura ne ringrazia il Signore.

Nessuno le può evitare sulla Terra. Ma comprenderne il significato è una questione di libera scelta. Nel mio caso, qualcosa di miracoloso s'è prodotto: il Signore, da quel che vedo chiaramente ora, è corso dal Suo figlio perduto quando questi era già "in fondo al baratro con i morti".

Essendo io peccatore e cieco, non Lo conoscevo, non Lo cercavo e non chiedevo nulla. Ma fino al giorno d'oggi, riconoscendo la Sua Misericordia, non mi stanco mai di ringraziarLo per la Sua inesplicabile attenzione verso il mio essere decaduto e, nel contempo, per mezzo di quei "dolori-medicina" con i quali mi ha condotto alla Fede.»

Aleksandr Ivanovič Notin

Concludo con un interessante video di don Minutella sul tema sin qui svolto.




Relazione, Traduzione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonti: QUI, QUI e QUI.

domenica 13 aprile 2025

L'INGRESSO a Gerusalemme VISTO da Caterina Emmerick


Brian Jekel
 
Sebirblu, 12 aprile 2025

La volta scorsa ho esposto uno scritto, QUI, mirato a far riflettere sull'importanza di decidere da che parte stare: o con il Creatore dell'Universo al Quale dobbiamo tutto, inclusa la nostra vita per chi ci crede, o con il mondo (chiamato anche "Mammona" dal Cristo, nel Vangelo), stigmatizzando come repellente la "tiepidezza" che affligge tantissimi "credenti", il più delle volte senza che se ne rendano conto.

Questo richiamo è necessario per tante anime che si ritengono "a posto" ma che, purtroppo si dimenticano del famoso ammonimento cristico: ... "se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli"... Ossia se vi sarà l'ipocrisia loro, presumendo di essere nel giusto.

Sant'Agostino diceva: "Affinché siano senza scuse" (ved. QUI) per cui, specialmente ora, all'inizio della "Settimana Santa" e con i venti di guerra già sibilanti intorno a noi, invito tutti a rivedere la propria posizione spirituale davanti a Dio, proponendo dei brani della beata Caterina Emmerick su quello che ha "veduto" intorno all'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, prima di essere tradito e messo a morte. 

Di questa mistica ho già parlato QUI, dove ho tracciato anche un breve quadro biografico oltre che profetico, come QUI e QUI.


Anna Katharina Emmerick (1774-1824)

Insidie

Il divin Maestro parlò della profonda miseria e perversità umana, e dichiarò che, senza sofferenze nessuno si sarebbe giustificato. Alluse a certi suoi discepoli non ritenuti tali, perché essi dovevano compiere una missione, che non avrebbero potuto svolgere in altra condizione.

Mentre si trovava solo con gli Apostoli, Gesù confidò quanto sarebbe loro successo dopo il suo ritorno al Padre celeste. Disse a Pietro che avrebbe dovuto soffrire, ma gli raccomandò di non spaventarsi e di mantenersi fedele.

Lo incaricò di governare la piccola Comunità, la quale sarebbe poco a poco sempre più aumentata; gli precisò di restare per tre anni con Giacomo, il minore, e con Giovanni a Gerusalemme, per dirigere la Chiesa in formazione. Alluse al discepolo che avrebbe versato per primo il sangue per Lui, ma senza nominare Stefano.

Parlò di un altro, che si sarebbe convertito e avrebbe poi lavorato per Lui più di tanti altri, ma non nominò Paolo. Predisse che sarebbero stati perseguitati anche Lazzaro e le pie Donne, e precisò dove sarebbero dovuti andare gli Apostoli sei mesi dopo la sua morte. Gli Apostoli si stupirono nell'udire che la Vergine sarebbe andata a dimorare ad Efeso.

Il Nazareno parlò inoltre di un mago di Samaria, che avrebbe operato molti prodigi con l'aiuto di Satana. Poi aggiunse che se quell'uomo avesse voluto convertirsi, lo ricevessero pure, poiché anche il demonio doveva dar gloria a Dio.

Quando Gesù lasciò il Tempio, i farisei stavano appostati a una porta per lapidarlo, ma Egli non si lasciò vedere e si diresse verso Betania. Poi per tre giorni non ritornò più al Tempio. A Betania parlò agli Apostoli della loro missione. Il suo colloquio, prima della Domenica delle palme, perdurò circa quattro ore.

Durante quella conversazione, Gesù predisse che quanti avrebbero tagliato i rami, per gettarli sul suo cammino, non sarebbero rimasti fedeli a Lui, bensì lo sarebbero stati quelli che si fossero spogliati dei propri indumenti per tappezzare, con essi, la strada dalla quale avrebbe dovuto passare.

E poiché non disse che avrebbe montato un somarello, si pensava che sarebbe entrato a Gerusalemme sopra un superbo destriero, o sulla groppa di un cammello come i re Magi.

Ma queste predizioni causarono agitazione tra gli scribi e i farisei, che si riunirono in consiglio presso la dimora di Caifa,  e poi pubblicarono un decreto  per  vietare  a tutti di accogliere Gesù e i suoi discepoli in casa propria. Essi mandarono inoltre spie, affinché custodissero le porte della città. Ma Gesù rimase a Betania in casa di Lazzaro.



Trionfali acclamazioni
 

Il Salvatore restò nascosto in casa di Lazzaro con Pietro, Giacomo e Giovanni, vi erano anche sei pie Donne con la Vergine, poiché l'abitazione era ampia e comoda. In quel tempo, Gesù preannunziò la propria entrata trionfale a Gerusalemme.

Parlò assai con tutti gli Apostoli e discepoli che andavano da Lui, anche con Giuda si mostrò amorevole, e lo mandò perfino ad avvisare gli Apostoli che mancavano.

Il mattino seguente, il Redentore mandò a Gerusalemme i discepoli Eremenzear e Silas tra i giardini e i poderi di Betfage, per sentieri solitari, al fine di aprire cancelli e serrande che potessero impedire il passo verso la città.

Precisò loro che, lungo la strada di Betfage, avrebbero incontrato una giumenta con il suo puledro; chiese poi loro di legarli, e se qualcuno ne avesse domandato il motivo, avrebbero dovuto rispondere che quello era il comando del Signore.

Intanto Gesù aveva mandato alcuni Apostoli, per la strada principale, a Gerusalemme affinché annunziassero agli amici la sua entrata trionfale; poi si avviò a Betfage con gli altri Apostoli.

Mentre la Vergine e le pie Donne Lo seguivano a distanza, il Salvatore si fermò presso una dimora attigua alla via, per impartire vari ordini a coloro che l'abitavano. Quella casa era tutta adorna di rami di palme e fiori, le cui pareti erano illeggiadrite con festoni.

Di là, il Nazareno ordinò il corteo. Volle che gli Apostoli camminassero ai suoi lati, poiché dovevano rappresentarlo dopo la sua morte futura. Pietro era il primo, e tutti portavano rami e palme.

La giumenta, sulla quale sarebbe salito il Trionfatore, fu coperta con una gualdrappa, in modo che le si poteva vedere appena la testa. Gesù indossò una bianca tunica, che si strinse ai fianchi con una lunga fascia adorna di fregi e lettere; si mise inoltre una stola che giungeva fino ai piedi.

Egli aveva  ai  lati  Eliud e Silas;  Eremenzear  Lo seguiva con parecchi altri discepoli. La Vergine, che di solito se ne stava ultima, in quel giorno si mise invece alla testa delle pie Donne. A seguire iniziarono i canti e, man mano che il corteo procedeva, accorrevano tante persone a renderlo più imponente.

Intanto a Gerusalemme, gli stessi mercanti fatti allontanare dal loro posto di vendita, non appena vennero a sapere che il Nazareno sarebbe entrato solennemente in città, si apprestarono ad ornare la via per la quale Egli sarebbe passato.

Anche i discepoli diffondevano ovunque la notizia dell'imminente entrata trionfale di Gesù; molti forestieri accorrevano per vederlo, anche perché avevano appreso che Egli aveva richiamato in vita l'amico Lazzaro.

Alcuni sacerdoti, invece, avrebbero voluto impedire quel tipo d'ingresso fastoso al loro odiato Avversario. Dal momento che quei figuri si volsero a Lui per chiedergli ragione del suo procedere, in quanto non impediva i canti e le acclamazioni della moltitudine, Gesù dichiarò che se quella gente avesse taciuto, "avrebbero gridato le pietre".

Tom Dubois  (dettaglio)

Intanto molti non solo acclamavano il divino Trionfatore, ma ricoprivano anche di rami e di palme il suolo su cui Egli passava; altri invece vi stendevano i propri manti. Perciò il cammino era ricoperto di verde e di stoffe; migliaia di bambini pregavano e seguivano l'imponente corteo, inneggiando all'«Amico dei pargoli» che passava sotto archi trionfali, intessuti di ramoscelli fioriti.

Ma il Redentore fremeva al riflettere che molti di coloro che in quel frangente Lo osannavano avrebbero, pochi giorni dopo, chiesto la sua morte; piangeva inoltre nel pensare alla futura distruzione del Tempio.

Quando Egli arrivò alle porte della città, il giubilo e il clamore di quanti Lo seguivano giunsero all'apogeo. Il Nazareno si fermava, di tratto in tratto, per guarire senza distinzione tutti gli ammalati che incontrava nel corso del suo trionfale passaggio.

Gli ornamenti, che pavesavano gli edifici attigui al Tempio, erano più vistosi di quelli che si ammiravano altrove;  per la via saltellavano perfino agnellini  adorni di nastri. Il tragitto dalla porta di Gerusalemme al Tempio, che in tempi normali si poteva percorrere in mezz'ora, durante il trionfo del Redentore richiese invece almeno tre ore.

Rosi dalla gelosia e dall'invidia, i nemici del divin Trionfatore fecero chiudere tutte le porte della città, le quali non si apersero che tardi; perciò molti subivano sgradite conseguenze per tali disposizioni.

Maddalena era molto preoccupata di non poter offrire al Signore di che ristorarsi; soltanto più tardi ella poté preparare a Betania una buona cena per Lui e i suoi discepoli. 

Quando il Salvatore entrò nel cortile di Lazzaro, a tarda ora, la stessa Lo attese in casa per lavargli i piedi. Allorché Egli sedette a mensa, ella sparse nuovamente sulla testa di Lui un unguento assai prezioso.

Allora vidi Giuda Iscariota con una smorfia alle labbra, perché scontento di quello «spreco». Ma Maria di Magdala gli diceva, per placarlo, che non avrebbe mai potuto dimenticare quanto il Salvatore avesse fatto per lei e per il suo caro fratello (Lazzaro; ndr).


La "Penitente"

Giunto al Tempio, Gesù Redentore congiunse le mani e guardò verso l’alto. Allora vide irradiare da una piccola nube un raggio di Luce che scese ad aureolarLo. Contemporaneamente si udì l'eco di una Voce misteriosa. Anche gli astanti videro quella Luce straordinaria e abbagliante.

Tutti perciò osservavano verso l'alto con ammirazione e si rivolgevano domande. Anche mentre il divin Maestro continuò a parlare, quel fenomeno si ripeté varie volte.

Ma durante la sua predicazione al Tempio, i giudei ebbero ordine dal Sinedrio di chiudere le proprie case, e la proibizione di ricevere il Nazareno e i suoi discepoli, nonché il divieto di dar loro da mangiare.

A Betania si era intanto preparata una lauta cena in casa di «Simone il lebbroso». Maddalena, tutta compassione per le pene del Redentore, era vestita da penitente, con una fascia, e i capelli sciolti sotto un ampio velo; ella Lo accolse alla porta del convito.

Al comparire di Lui, si gettò ai suoi piedi per togliere da essi la polvere, con i suoi capelli. Poiché i convitati si disponevano al sabato, indossarono le vesti rituali e pregarono. Poi sedettero a mensa. Verso la fine del banchetto, riapparve la penitente, tutta amore per Colui che l'aveva così generosamente perdonata.

Ella dissuggellò un vasetto di unguento assai prezioso per spargerlo, in parte, sulla testa di Gesù e, il resto, sui suoi piedi, che poi asciugò con la sua morbida chioma. Dopo avere reso questo omaggio al Salvatore, Maddalena lasciò la sala.

Alcuni convitati, specialmente Giuda, si erano scandalizzati di quanto aveva fatto la penitente, ma il Redentore lodò invece l'operato di lei, perché aveva agito per puro amore e per gratitudine verso Chi l'aveva tanto beneficata.

Avversari

Vidi, dopo quella cena, Giuda Iscariota, livido d'invidia e roso dall'avarizia, errare per l'Orto degli ulivi tra le tenebre della notte. Mi pareva che il suo cammino fosse, a tratti, rischiarato da una luce sinistra: era quella di Satana che lo guidava.

Egli andò alla casa di Caifa per parlar brevemente con il sommo sacerdote; poi si avviò verso l'abitazione di Giovanni Marco per chiedergli alloggio, come se giungesse con gli altri Apostoli per intrattenersi con Gesù.

Mentre, il giorno dopo, il Nazareno insegnava al Tempio, Gli si avvicinarono alcuni sacerdoti scribi per sapere chi mai Lo autorizzasse a parlare alla gente nel Tempio.

Ma Gesù dichiarò:"Anch'io voglio farvi una domanda e se risponderete ad essa, pure io risponderò: il Battesimo di Giovanni proveniva dal Cielo o dagli uomini?"

I suoi avversari risposero che non lo sapevano; perciò Egli concluse: "Neppure io dirò a voi con quale autorità agisco, come vedete"...

Al pomeriggio, il divin Maestro raccontò, a quanti Lo ascoltavano, la parabola del «padrone della vigna». Poi spiegò che i lavoratori omicidi erano i farisei, i quali avrebbero ucciso il Figlio del Re come erede della vigna. Per questo i farisei si adirarono talmente, che stavano per mettergli le mani addosso, ma non osarono farlo perché il popolo era favorevole a Lui.



Un altro giorno, a Gesù, ritornato al Tempio, si avvicinarono 5 farisei per chiedergli se fosse lecito pagare il tributo a Cesare. Allora il Nazareno disse loro:

"Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo!" Quando gli fu presentato un denaro, domandò di chi fossero l'effige e l'iscrizione. "Di Cesare!" risposero. E il Salvatore: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio!"

Poi parlò del Regno di Dio e dichiarò che soltanto i convertiti vi sarebbero arrivati. Soggiunse che il Regno sarebbe passato ai gentili e concluse con queste parole: – Verrà il tempo in cui sull'Oriente incomberà l'oscurità, e in Occidente splenderà invece la luce! Tutti si meravigliavano dei suoi insegnamenti.

Mentre, il giorno dopo, il Nazareno ritornava al Tempio, i discepoli Gli chiesero il preciso significato delle parole: – Venga a noi il tuo Regno!

Allora Gesù affermò di essere Uno con il Padre Suo, al quale sarebbe presto ritornato. Colloquiava così amorevolmente e con termini così convincenti che gli Apostoli, entusiasti di Lui, esclamarono: – "Noi vogliamo propagare il tuo Regno sino agli ultimi confini della terra".

Al pomeriggio Egli fu circondato da molti farisei e scribi, gli Apostoli si ritrassero indietro. Gesù parlò severamente contro i suoi avversari, tra l'altro Lo udii dir loro: – "Adesso non mi potete prendere, poiché l'ora vostra non è ancora venuta."

Veraci Predizioni

Il Salvatore rimase tutto il giorno a casa di Lazzaro con i Dodici e le pie Donne. La mattina seguente, insegnò e, alla sera, la cena fu consumata in una sala sotterranea.

Intanto il divin Maestro parlava; disse, tra l'altro, che a casa di Lazzaro non sarebbe più tornato a ristorarsi, che avrebbe partecipato ad un banchetto nella dimora di «Simone il lebbroso», ma senza la tranquillità di cui gli ospiti godevano quella sera.

Raccomandò che Lo si trattasse con la massima confidenza, e che Gli si rivolgessero domande come se Egli fosse stato un commensale qualunque. 

Quando Gesù rivelò come Lo si sarebbe tradito, Pietro non riusciva a persuadersi che uno di loro potesse essere il suo traditore, quindi garantiva che, tra i Dodici, non v'era assolutamente nessuno capace di tradirlo.

Disse questo come offeso nel suo onore da capo degli Apostoli, ma ricevette questa risposta, più severa di quelle avute fino ad allora: – "Allontanati da me. Satana!" – gli intimò Gesù, asserendo poi che se la Sua Grazia non avesse soccorso i Discepoli, questi sarebbero caduti.

Predisse inoltre che durante l'ora del pericolo tutti Lo avrebbero abbandonato, e che fra loro uno solo sarebbe ritornato dopo la fuga. Nell'esprimersi così, il Redentore si riferiva a Giovanni.


"Gesù e i Dodici" di Walter Rane

Anche al Tempio, nel parlare ai farisei, il Salvatore svelò come Lo avrebbero trattato: cioè, Lo avrebbero fatto morire come un delinquente ma, tuttavia, non sarebbero riusciti ad estinguere il Suo ricordo dopo la Sua dipartita.

Parlò anche dei "giusti" assassinati, i quali sarebbero risorti, e precisò perfino il sito, da dove quegli estinti sarebbero usciti redivivi; dichiarò pure che i farisei non avrebbero conseguito il loro intento, ma sarebbero rimasti sotto l'incubo del timore e dell'angustia.

Alluse ad Eva, responsabile del primo peccato commesso nel mondo, ma dichiarò che la salute dei mortali proveniva da un'altra Donna: cioè dalla Vergine sua Madre. Poi il Nazareno trascorse la notte presso l'Orto degli ulivi.

Mentre Egli procedeva con il seguito dal torrente Cedron al Getsemani, indicò agli Apostoli la zona più bassa dell'Orto degli ulivi e disse loro: – "Là sarò abbandonato, un po' più in là, sarò arrestato!" Quindi si diresse verso Betania per andare alla casa di Lazzaro e poi all'alloggio dei discepoli, con i quali s'intrattenne passeggiando per i dintorni della stessa Betania.

Volle così confortare tutti come per licenziarsi da ognuno. Il mattino seguente il divin Maestro ritornò ad insegnare al Tempio dove parlò della sua spirituale unione con gli Apostoli: unione che si sarebbe attuata durante l'ultima Cena.

Quando trattò del Battesimo e degli altri Sacramenti, annunziò ai suoi uditori che avrebbe mandato lo Spirito Santo sopra i purificati, dopo che li avesse resi tutti "figli della Redenzione". 

Dichiarò che, come un tempo scendeva un Angelo a rimuovere le acque, in avvenire sarebbe disceso lo Spirito Santo su di essi, dopo che Egli avesse sparso il proprio sangue per l'umanità peccatrice.



Parlò pure della penitenza, della Confessione e dell'assoluzione, della fine del mondo e dei Segni che l'avrebbero preceduta. Disse finalmente che un suo Apostolo avrebbe avuto una visione di quei tempi ultimi.

Prima di separarsi dai Dodici, il Nazareno dichiarò di voler lasciar loro quanto aveva: non oro né argento, ma la Sua Forza e il Suo Potere. Disse che avrebbe fondato con essi una "società", destinata a perdurare sino alla "fine dei tempi", che voleva unirli spiritualmente tra loro, in modo da formare con Lui delle membra di un unico corpo.

Siccome espresse agli Apostoli tanti propositi, Pietro Gli fece notare che, per svolgere tutto quel vasto progetto d'azione, sarebbe dovuto rimanere con loro sino al termine dei giorni.

Gesù parlò anche dei misteri dell'ultima Cena, e Pietro, dopo averlo udito discorrere così misteriosamente, Gli chiese se avrebbe associato al suo vasto programma anche la Sua Santa Madre che tutti amavano di un rispettoso affetto. 

Il divin Maestro rispose che la Vergine sarebbe rimasta con loro, poi continuò a parlare di Lei in un modo incomparabilmente elogiativo.

Allorché, a tarda ora, Egli lasciò il Tempio, dichiarò a chi Lo accompagnava che non sarebbe più tornato corporalmente tra quelle mura, lo disse con voce così commossa, che tutti singhiozzarono, ad eccezione di Giuda. 

La sera seguente, a casa di Lazzaro, Gesù parlò ai Dodici della sua morte prossima. Svelò che il traditore Lo avrebbe venduto per consegnarlo ai farisei e che per pattuire il prezzo quel disgraziato non avrebbe neppure discusso...

Eppure – soggiunse – quando i farisei comperano uno schiavo, domandano quanto pretenda il suo proprietario, invece il traditore venderà il Figlio dell'Uomo per la cifra che gli si offrirà: un valore più vile che per la vendita di uno schiavo!

Il Redentore dichiarò inoltre che la Sua Santa Madre avrebbe sofferto con Lui ogni martirio e che, per l'amarissimo dolore avrebbe potuto morire anche Lei, ma che sarebbe vissuta con gli Apostoli ancora parecchi anni.


Ad Maiorem Dei Gloriam


Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Fonte da: "Le Rivelazioni di Caterina Emmerick" di Eugenio Pilla. Ed. Cantagalli.


mercoledì 9 aprile 2025

Sei né freddo né caldo? Ti vomiterò dalla Mia Bocca!

 
Giovanni Apostolo nell'isola di Patmos

Sebirblu, 8 aprile 2025

Le Sette Chiese dell'Apocalisse (ai capitoli 2 e 3) erano situate nella provincia romana dell'Asia Minore, l'odierna Turchia, e furono fondate dai primi cristiani risalenti al primo secolo d.C.

I loro nomi erano Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea.

Sull'isola greca di Patmos, il "discepolo amato" in esilio venne incaricato direttamente dal Cristo di scrivere ed inviare un messaggio a ciascuna di quelle comunità che, ancor oggi, rappresentano simbolicamente le chiese di ogni epoca storica, in quanto raffiguranti il Corpo Mistico di Gesù, fino al termine dei giorni.

Vista l'indifferenza generale della gente verso il «sacro», e l'apostasia dilagante nella Chiesa di Roma che adesso ‒ per mano di Bergoglio, il Falso Profeta ‒ ha cambiato il Vangelo, ho deciso di evidenziare ciò che Giovanni scrisse per comando divino all'ultima di tali Chiese:

«All'angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l'Amen, il Testimone fedele e veritiero, il Principio della Creazione di Dio. "Io Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo io ti vomiterò dalla Mia bocca."

Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!" Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Perciò Io ti consiglio di comperare da Me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere.

Tutti quelli che amo, Io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. "Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la Mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con Me. Chi vince lo farò sedere presso di Me sul Mio trono, come anch'Io ho vinto e Mi sono seduto con il Padre Mio sul Suo trono. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".» (Ap. 3, 14-22).

Necessita sapere che non meno di sei città, portavano il nome di Laodicea. Quella menzionata nel testo, si chiama 'Laodicea sul Lido', perché era sulle rive dell'affluente del Meandro.

Si trovava a 65 chilometri a sud-est di Filadelfia ed era vicina a Colosse e a Ierapoli, sicché era posta su un'importante arteria commerciale che univa la principale via dell'interno con le due maggiori strade della costa: quella diretta verso Efeso ad est e quella che andava verso nord-ovest e conduceva a Pergamo.

Fu fondata verso il 250 a. C. da Antioco II, re di Siria e la città portò il nome della sua terribile moglie Laodice. Da qui 'Laodicea', appunto, che significa "come piace al popolo", e questo stigmatizza molto bene lo stato effettivo in cui vivevano i cittadini.



Vestigia di Laodicea, oggi

Un gigantesco ippodromo e tre lussuosi teatri, uno dei quali era grande una volta e mezzo il campo di calcio, era l'orgoglio della città. Le sue ricchezze ci sono descritte dallo storico romano, Tacito. La disponibilità finanziaria permetteva agli abitanti di non dipendere da nessuno.

L'ostentazione delle dovizie e dell'egoismo di massa era tale che, similmente a quanto ho spiegato altre volte QUI, QUI e QUI, nel 60 d.C. si produsse, di conseguenza, un rovinoso terremoto che la smantellò quasi del tutto. Venne restaurata ed abbellita poi, senza sovvenzione alcuna da parte dello stato, durante l'impero di Tiberio e di Nerone.

Vi sono almeno 3 cose che possono essere ricordate come fonti di risorse economiche:

1) La città era nota per le sue operazioni bancarie, e a quell'epoca tutte le transazioni avvenivano soltanto con l'oro. Questo creava un'atmosfera di sicurezza economica.

2) Era conosciuta per la sua fiorente industria tessile. Si producevano tappeti e vestiti pregiati confezionati con lana di Frigia, il cui principale prodotto era una specie di soprabito senza cuciture chiamato "mantello" (2 Timoteo 4, 13).

3) Era la sede di una scuola medica rinomata non soltanto per la presenza di acque termali nella vicina Ierapoli, ma perché si curavano i problemi della vista con un collirio approntato con una 'polvere' detta «balsamo di Frigia».

A nessuna delle Chiese, alle quali il Cristo rivolge il Suo messaggio, sono state fatte menzioni così insistenti sull'economia e sulla relativa condizione sociale come per Laodicea, ma tutte queste notizie sono importanti perché ci aiutano a capire meglio certe allusioni e riferimenti contenuti nella "Lettera" ad essa indirizzata.



Nell'anno 1402 la città fu distrutta interamente (come quella di Efeso) dal brutale esercito di Tamerlano, conquistatore Tartaro. Il suo luogo è oggi un cumulo di macerie, chiamato Eski-Hissar (ossia «vecchio castello») ed è tutto ciò che rimane della fiorente società di un tempo, dopo il "giudizio di Dio" cadutole addosso.

Purtroppo, la comunità cristiana di Laodicea, come spesso accade, si era lasciata influenzare e contaminare dal mondo esterno. Per mancanza di vigilanza, nel giro di pochi decenni, si era del tutto "mondanizzata" tanto da perdere le sue caratteristiche ed acquisire il triste primato di Chiesa peggiore dell'Asia.

Nonostante questa brutta situazione, Dio, nella Sua Grazia, parla ancora per offrire la Sua Salvezza a chi è sensibile alla Sua Voce.

Per questa Chiesa spiritualmente decaduta, disposta ai compromessi, apostata, il Signore non ha una sola parola di lode. Si sarebbe potuto pensare che Gesù trovasse qualcosa per elogiare Laodicea, ma Egli mal sopporta il compromesso e l'apatia spirituale così intensamente da non voler incoraggiare in nessuna maniera una tale specie di cristiani.

La condotta a cui i laodicesi si erano abbandonati richiedeva un trattamento energico: la "Lettera" indirizzata a loro è in gran parte un rimprovero divino progressivamente duro: Egli comincia innanzitutto parlando della Sua Onniscienza, a conferma che il Suo Giudizio è perfetto: "Io Conosco le tue opere"...

Al Signore non sfugge nulla, proprio nulla. Sia che siamo sinceri o falsi, mossi da buoni o cattivi sentimenti, desiderosi o no di fare la Sua volontà, semplici o astuti, il Signore tuona dicendo: "Io Conosco le tue opere"...

"Dove potrei andarmene lontano dal Tuo Spirito, dove fuggirò dalla Tua presenza? Se salgo in Cielo Tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoTi là. Se prendo le ali dell'alba e vado ad abitare all'estremità del mare, anche là mi condurrà la Tua mano e mi afferrerà la Tua destra. Se dico: "Certo le tenebre mi nasconderanno e la Luce diventerà notte intorno a me", le tenebre stesse non possono nasconderTi nulla e la notte per Te è chiara come il giorno; le tenebre e la Luce Ti sono uguali" (Salmo 139, 7-12).





Cosa conosce il Cristo di questa Chiesa?

A.  La sua Tiepidezza.

E necessariamente ripeto:

"Tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido, e non sei né freddo né caldo, Io ti vomiterò dalla Mia bocca" (Apocalisse 3, 15-16).

Prima dell'annuncio evangelico, tali credenti erano stati dei 'freddi', quando avevano accettato il Cristo erano divenuti ardenti e zelanti suoi seguaci. Poi, però, erano caduti in uno stato di assoluta apatia, in una condizione di "tiepidezza". Non erano freddi al punto da rendersi conto del loro bisogno spirituale e non erano caldi abbastanza per piacerGli.

In questo modo non c'era niente che si potesse fare per loro. Il Signore non accetta persone che non può né impiegare né benedire.

Egli, quindi, rigetta un tal genere di persone. Perché il Cristo preferisce che un'anima sia "fredda" piuttosto che "tiepida"? Alcuni studiosi della Scrittura, hanno offerto dei suggerimenti sul motivo per cui un credente "freddo" potrebbe essere preferito ad uno "tiepido".

Essere indifferente è lo stato dell'uomo naturale, agnostico, estraneo all'esistenza spirituale. Il fervoroso è l'essere pervaso interamente dal Fuoco dello Spirito di Dio. Il tiepido è colui che conosce il Vangelo, ma che i mezzi di Grazia e l'Amore infinito del Salvatore non sono riusciti a strapparlo dal mondo e da sé stesso.

Uno stato di freddezza è più schietto, più sincero, più diretto. Non c'è inganno, non c'è simulazione, non c'è pretesa. La persona tiepida, invece, è quasi sempre ipocrita... e spesso risulta pure apparentemente onorevole.

Il tipo freddo o indifferente è qualcuno che, pur nel suo errato modo di ragionare, ha deciso di rigettare il Cristo. Al contrario, colui che sostiene di avere un'idea spirituale e poi non vive in conformità ad essa è una persona incoerente e imprevedibile.

Si può classificare Giuda come un individuo sostanzialmente tiepido. Egli, sebbene legato al Cristo con una pubblica professione di fedeltà, mai si era dato davvero a Lui e, pertanto, alla fine, la sua esperienza cristiana fu un terribile fallimento.

Molto diverso, invece, fu il caso dell'«Apostolo delle genti», Paolo di Tarso: questi era ferocemente avverso al cristianesimo, ma quando si trovò di fronte alla Verità, l'accettò con la massima apertura mentale.


Folgorazione di "Saulo" sulla via di Damasco. Ved. QUI.

E ancora, nel caso di completa freddezza, c'è maggiore speranza di conversione e di ripensamento perché una persona apatica e avulsa ragiona sulla sua posizione ed è abituata a riflettere per accogliere, applicandola a sé stessa, la Realtà allorché riesce a vederla.

Al contrario, lo stato di tepore non porta dal freddo al caldo, ma percorre il cammino inverso. Nel 'tiepido' non c'è né lo zelo, né l'entusiasmo. Egli non è avverso al Cristo ma non è neppure acceso di ardore per conoscere il Vero, per l'amore verso Dio e i suoi simili. Si adagia sulla mediocrità senza smuoversi da lì.

Quelli di Laodicea avevano conosciuto la Verità ed avevano manifestato una fede sincera, poi si erano progressivamente allontanati da tutto ciò... Come l'acqua tiepida è disgustosa e repellente da ingerire, così la tiepidezza spirituale è ostica all'Eterno Padre.

L'unico modo per gioire della vicinanza di Dio è quello di diventare ardenti, operando prima su sé stessi e poi sugli altri, servendoLo, vibranti d'amore e di fede: "Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore" (Romani 12, 11).


B.  Il suo Orgoglio:

Emerge in modo chiaro ed evidente l'orgoglio di tale Chiesa: "Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!" Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo" (Apocalisse 3, 17).

L'economia della città di Laodicea era molto florida ed è assai probabile che i credenti del posto partecipassero a tale prosperità. Poiché tutti, in quel luogo, accumulavano ricchezze, nessuno considerava il benessere dei cristiani come una minaccia agli interessi altrui.

Giudei e Gentili erano così indaffarati nell'amministrazione dei beni materiali, che non pensavano affatto ad infastidire o a perseguitare i seguaci del Cristo. A Laodicea non c'erano neppure false dottrine che disturbassero la Chiesa perché i falsi maestri capitati in città si erano dati da fare per arricchirsi, dimenticando qualsiasi altra cosa.

Quell'agglomerato di fedeli, in realtà, si trovava nella più squallida miseria perché ricco unicamente di beni materiali. Data la facilità di procurarsi comodità e ricchezze, i laodicesi cristiani arrivarono a sentirsi completamente soddisfatti. Il denaro e tutte le cose che per mezzo suo ci si poteva procurare li fecero smettere di perseguire quelle spirituali.

Paolo di Tarso aveva appreso a vivere sia nella miseria quanto nell'abbondanza. Egli sapeva sopportare la persecuzione e la perdita di qualsiasi bene, senza amareggiarsi troppo o sentirsi per questo dimenticato da Dio.


Paolo di Tarso, chiamato "Saulo" da Gesù allorché gli è apparso.

Quando aveva oltremisura tutto ciò che gli occorreva, non pensava di averlo meritato e non si lasciava prendere dal materialismo fino ai punto di perdere il suo ardore per la diffusione del Vangelo:

"Non lo dico perché mi trovi nel bisogno, poiché io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell'abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato ad essere saziato e ad aver fame; ad essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica" (Filippesi 4, 11-13).

Purtroppo, i cristiani di Laodicea non avevano imparato questo semplice segreto. La cosa più triste era che ormai essi non si rendevano nemmeno conto di avere delle necessità spirituali. Avendo perduto il desiderio di acquisirle, di conoscere meglio la Parola di Dio, di essere dotati appieno della Potenza dello Spirito Santo, di godere maggiormente la presenza di Gesù, non realizzavano di aver fatto naufragio e di trovarsi in una condizione miserabile.

Vivevano in case bellissime, indossavano vesti eleganti, possedevano mezzi lussuosi per spostarsi, ma tutto questo non era che superficiale apparenza. Il Cristo vedeva sotto la patina, al di là della maschera, li vedeva con gli occhi di Dio. I loro successi e la loro prosperità materiale non facevano testo. Egli considerava quegli pseudo-credenti al pari di compiaciuti individui che ingannavano sé stessi.

Quando gli esseri umani diventano schiavi della loro presunzione e del loro orgoglio, allora possono affermare le peggiori sciocchezze ed asserire: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!"

Queste parole fanno pensare al ricco insensato della parabola. Aveva fatto tutti i suoi piani: nuovi granai, scorte sufficienti, si sentiva al sicuro, ma il Signore gli disse:


"Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".  (Lc. 12, 13-21).  E questo è ciò che avveniva nella Chiesa di Laodicea.


"Il ricco stolto che la stessa notte morì" di Rembrandt Harmensz van Rijn (1627)

Ma i rimproveri di Dio non sono mai fini a sé stessi. Egli non scarta nessuno, non respinge chi non gli è utile, ma continua a sperare in lui:

«Tutti quelli che amo, Io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la Mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con Me» (Apocalisse 3, 18-20).

Malgrado la Tiepidezza e l'Orgoglio di quella comunità di 'credenti', il Signore rivolge ad essa parole di esortazione colme di Grazia. Dio rimane fedele, nonostante la rovina generale della cristianità professante e incoraggia la fede individuale che vi scorge. 

Questo però non modifica in nulla la sentenza pronunciata su uno "spirito spento": lo vomiterà dalla Sua bocca.

Ai cristiani di Laodicea, divenuti tiepidi nei rapporti con l'Altissimo, il Cristo rivela la necessità di scuotersi e di ravvedersi, dimostrando un profondo impegno in un deciso cambiamento di vita e di pensiero. 

Se invece avessero continuato nel tepore o nella cieca indifferenza, seppur con tutto il Suo Amore, Egli li avrebbe "rigettati dalla Sua bocca": questa era la scelta che essi avevano davanti e non c'era altra via di mezzo.

Perciò, non vi è nulla di esagerato nel sostenere che la Lettera alla Chiesa di Laodicea, situata in Asia al tempo di Giovanni, oltre a descrivere il suo stato morale, illustra pure, drammaticamente, l'attuale condizione pietosa in cui giace la cristianità d'oggi, che si crede ancora "Chiesa", ma che in realtà non riconosce più il suo Signore, Gesù Cristo.

Relazione e cura di Sebirblu.blogspot.it

Spunti e brani rivisitati, corretti e accorciati, presi da QUI.